Italia
Pubblichiamo di seguito un estratto dello studio ‘La banda larga in Italia’ curato da Emanuela Capanna e Daniele Sabbatici per Bankitalia.
La possibilità di accedere a servizi a banda larga di connessione alla rete internet è essenziale per lo sviluppo e la competitività di un moderno sistema economico, basato sulla conoscenza e sullo scambio veloce ed efficiente di dati e informazioni. Dopo aver passato in rassegna le tecnologie di supporto della banda larga (rame, fibra ottica e Wi-fi), il lavoro si propone di documentare, sulla base dei dati Eurostat e OCSE, la diffusione e la qualità del servizio broadband in Italia, individuando le principali esigenze di intervento sul piano regolamentare.
Dall’analisi si evince un netto ritardo dell’Italia rispetto alla media europea, sia per quanto concerne il tasso di penetrazione sia per l’ampiezza media effettiva della banda erogata. Le determinanti del ritardo appaiono riconducibili a problemi culturali, orografici e strategici (legati, questi ultimi, alla struttura del mercato e agli ostacoli burocratici alla realizzazione di infrastrutture). Si presentano infine gli interventi regolamentari a sostegno della diffusione della banda larga e si offrono alcune indicazioni volte a migliorare la qualità del servizio e a ridurre il divario digitale.
Il ritardo italiano nei dati
Secondo dati OCSE al 31 dicembre 2007, l’Italia, con 10 milioni e 122 mila connessioni a banda larga (che comprendono DSL, fibra e satellite), si trova al quarto posto in Europa dopo la Germania (19 milioni 579 mila), il Regno Unito (15 milioni 600 mila) e la Francia (15 milioni 550 mila). Nonostante i dati in termini assoluti appaiano confortanti, ben più modesto è il tasso di penetrazione, comunemente misurato rapportando il numero di linee totali (residenziali e di business) a banda larga fisse disponibili (DSL, fibra, cavo, satellite) alla popolazione del paese.
In base a tale indicatore, utilizzato dalla Commissione Europea, alla fine del 2007 l’Italia presenta un livello di penetrazione del 17,2%, inferiore alla media della Ue27 (20%) e a quello dei principali paesi (18% in Spagna, 23,8% in Germania, 24,6% in Francia, 25,8% nel Regno Unito).
Ai primi posti della graduatoria è la Danimarca, con un tasso di penetrazione pari al 35,1 per cento, seguita dall’Olanda (34,8) e dall’Islanda (32,2), tutti paesi con più di 30 connessioni per 100 abitanti.
Nella classifica OCSE l’Italia è al ventunesimo posto, preceduta dalla Spagna (18) e appena sopra alla Repubblica Ceca (14,6). La situazione dell’Italia appare insoddisfacente anche in termini di dinamica. Tra il secondo trimestre del 2002 e il corrispondente periodo del 2007 il tasso di penetrazione è cresciuto infatti di 14,9 punti percentuali, 3,6 punti in meno rispetto a quanto abbiano fatto in media i paesi della UE15. Tra il luglio del 2006 e il luglio del 2007 il tasso di penetrazione nel nostro paese ha registrato un aumento di soli 2,8 punti, una crescita modesta se paragonata ai 7,6 della Danimarca, ai 5,8 della Germania o ai 4,3 della Francia, quest’ultima allineata alla media della UE27.
Le cause del ritardo italiano
I principali fattori che concorrono a determinare la modesta diffusione della banda larga in Italia riguardano entrambi i lati del mercato. Dal lato della domanda, domina la scarsa alfabetizzazione informatica. Dal lato dell’offerta, vi sono più fattori:
i) la carenza di infrastrutture, il cui sviluppo è ostacolato dall’orografia del territorio e dalla dispersione della popolazione;
ii) la bassa convenienza economica da parte degli operatori a investire in tecnologie all’avanguardia: gli investimenti in infrastrutture sono ingenti a fronte di rendimenti fruibili solo nel lungo periodo e di ammontare incerto;
iii) i disincentivi di prezzo dovuti al persistere di una posizione dominante da parte di Telecom Italia.
L’alfabetizzazione informatica
Secondo gli ultimi dati Eurostat, riferiti al secondo trimestre 2007, la penetrazione dei computer nelle famiglie italiane è pari al 48%, contro una media UE15 del 64% (60% nella UE27). Allo scopo di stabilire se la bassa penetrazione della banda larga in Italia rifletta un ritardo nell’alfabetizzazione informatica o piuttosto altri fattori (quali l’assenza della tv via cavo, largamente diffusa in altri paesi europei) è utile guardare al rapporto tra il totale delle linee in banda larga e il numero delle famiglie dotate di computer. Il netto recupero dell’Italia nella graduatoria generale consente di concludere che la scarsa diffusione dei computer, e quindi l’alfabetizzazione informatica, sia uno dei fattori determinanti per il grado di penetrazione della banda larga.
Secondo l’indagine Multiscopo dell’Istat sulla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, tra il 2006 e il 2007 la quota delle famiglie in cui almeno un componente accede a Internet (considerando in questo caso nel computo anche le famiglie di soli anziani) è passata dal 35,6% al 38,8%. Migliora anche la qualità della connessione usata per l’accesso da casa: diminuisce, infatti, la quota di connessioni a banda stretta (linea telefonica tradizionale o linea telefonica Isdn) dal 18,7% al 14,7% e aumenta la quota con connessione a banda larga, dal 14,4% al 22,6%. Nel centro-nord si riscontra la quota più alta di famiglie con accesso ad Internet (oltre il 41%) e alla connessione a banda larga (25%), mentre nel sud e nelle isole le quote scendono rispettivamente al 32% e al 18%.
Al fine di porre rimedio al problema dell’alfabetizzazione informatica, in attuazione delle raccomandazioni già presenti nella Strategia di Lisbona, sono state intraprese molte iniziative a livello regionale basate su un sistema di vouchers formativi. Si tratta di “titoli di spesa” emessi solitamente dalle Pubbliche Amministrazioni (Regioni e Province) che consentono la partecipazione a percorsi di formazione erogati dagli organismi di formazione accreditati e dalle Università. I corsi di alfabetizzazione informatica con durata compresa tra 24 e 50 ore devono concludersi entro i tre mesi successivi rispetto alla data di assegnazione del voucher.
L’orografia del territorio e le carenze infrastrutturali
L’Italia ha un’orografia particolarmente eterogenea: più della metà del territorio è costituito da aree rurali o semi-rurali, che di solito corrispondono a zone montuose o collinari, isolate e meno densamente popolate. Queste zone sono spesso prive delle infrastrutture necessarie alla diffusione della banda larga, in quanto i doppini in rame utilizzati per i collegamenti telefonici sono molto lunghi (grande distanza dalla centrale) e dunque non hanno un’ampiezza di banda sufficiente a supportare la connessione veloce. Si parla in questi casi di digital divide, ovvero del fenomeno per cui parte della popolazione ha accesso alle nuove tecnologie digitali (connessione a internet in particolare) mentre la restante frazione ne resta esclusa. L’unica soluzione praticabile per dare accesso ai servizi a banda larga ai comuni periferici sarebbe il cablaggio con fibra ottica.
Nonostante tale investimento in infrastrutture sia in questi casi molto meno costoso rispetto alle aree urbane, la posizione periferica e lo scarso numero di potenziali utenti rende queste aree economicamente poco appetibili agli operatori, che preferiscono concentrare gli investimenti in aree metropolitane.
Nonostante l’elevato livello di copertura nazionale, questa non è tuttavia omogenea, con le aree a più elevata densità di popolazione che si differenziano significativamente dal resto del territorio. In particolare, a fine 2007, si rileva una copertura prossima al totale della popolazione nelle aree urbane, mentre la copertura nelle aree rurali risulta essere di poco inferiore ai tre quarti della popolazione. L’analisi per dimensione comunale evidenzia come mentre per i comuni con oltre 10 mila abitanti la copertura sia superiore al 97 per cento, tale valore scende di dieci punti percentuali per i comuni la cui popolazione è compresa tra 2 e 10 mila abitanti e come essa scenda al di sotto del 70 per cento per i comuni minori. All’elevato livello di copertura della popolazione non corrisponde una copertura analoga del numero di comuni. In particolare, a dicembre 2007 oltre 6.500 comuni erano raggiunti dai servizi ADSL (copertura maggiore del 5 per cento della popolazione), ma solo 5.500 godevano di totale copertura, mentre circa 1.500 ne erano totalmente privi.
I prezzi e il contesto competitivo
Come sottolineato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) nella Relazione Annuale 2007, i prezzi per i servizi di accesso a larga banda hanno registrato negli ultimi anni una progressiva diminuzione. Il livello dei prezzi proposti dai principali operatori è oggi allineato a quello vigente nei più grandi mercati della UE su tutta la gamma delle offerte disponibili tra i profili tariffari flat .
Anche i dati OCSE confermano un discreto rapporto qualità-prezzo per l’Italia: il prezzo medio per Mbitps trasmesso, è di 4,6 dollari, mentre la velocità media di download è 13Mbitps. Sono valori molto lontani da quelli di Giappone (3 dollari e 93,6Mbitps) e Corea (6 dollari e 43,3Mbitps), superiori a quelli di Germania e Spagna, ma al di sotto di quelli della Francia. La differenza maggiore rispetto agli altri paesi OCSE si riscontra invece per le tariffe minime, sulle quali l’Italia, con 27,75 dollari al mese (19 euro) è il terzo paese più caro; in Francia il prezzo minimo è 20,7 dollari; negli Stati Uniti, in Danimarca e in Olanda, esso è pari 15, 9,3 e 9,2dollari, rispettivamente (fig. 9). In realtà, ancor prima che sui prezzi, il problema della scarsa pressione concorrenziale nel mercato della banda larga e più in generale delle telecomunicazioni in Italia ha risvolti negativi sullo sviluppo di nuove tecnologie e sugli investimenti in infrastrutture all’avanguardia. Vi è dunque un problema strategico: con il diffondersi presso le famiglie delle tecnologie digitali, la domanda di banda larga cresce non solo in termini di numero di contratti, ma soprattutto nel senso di maggior velocità di trasmissione dell’informazione, si parla di banda ultralarga, per cui nei prossimi due anni una portata di 2-5Mbit/s sarà classificata come narrowband. D’altro canto, il perdurare fino ad ora di una posizione di monopolio sull’Ultimo Miglio da parte di Telecom Italia e la conseguente difficoltà da parte degli OLO di rendersi competitivi sul mercato, ha rallentato l’investimento in reti di nuova generazione, rendendo l’offerta sempre più inadeguata. Le pressioni dal lato della domanda, in presenza di offerta inelastica, generano fenomeni di congestione, con conseguente rallentamento della trasmissione e peggioramento dei servizi oltre a spingere i prezzi a rialzo.
La mancanza di concorrenza comporta inoltre l’incapacità di attrarre capitali nel mercato monopolizzato, in quanto i rischi per gli investitori sarebbero troppo elevati. Questo fa sì che il processo di diffusione dei servizi e delle nuove tecnologie sia più lento, in quanto a seguito di una bassa pressione concorrenziale vengono a mancare gli incentivi a investire in ricerca e sviluppo e a intraprendere investimenti di lungo periodo.
Valutazioni conclusive
Dall’analisi condotta sullo stadio di sviluppo del mercato della banda larga in Italia si evince il permanere di una situazione di arretratezza del nostro paese rispetto alla media europea e alla media OCSE. Ciò appare evidente sia con riferimento al tasso di penetrazione, che in molte aree del paese appare estremamente basso, sia considerando l’ampiezza media effettiva della banda erogata. Quest’ultimo problema riguarda non solo le zone periferiche e rurali, ma anche quelle urbane e densamente popolate non raggiunte da fibra ottica.
I principali fattori che vi concorrono sono: la scarsa alfabetizzazione informatica della popolazione, l’orografia del territorio, l’assenza di incentivi economici per gli operatori del mercato a investire in aree a basso rendimento futuro, il permanere di una posizione dominante da parte dell’impresa incumbent. Le risposte regolamentari comprendono sia interventi regolamentari finalizzati a garantire l’accesso alla rete di Telecom Italia da parte degli operatori concorrenti, sia interventi (a livello statale e regionale) per potenziare le infrastrutture e abbattere il divario digitale tra aree urbane e periferiche.
La recente presentazione da parte di Telecom dell’offerta di riferimento per la fornitura del servizio bitstream su rame e fibra ottica, a un prezzo fissato sulla base di un meccanismo che riflette il costo effettivo del servizio intermedio più una quota di rendimento adeguato fissata dall’Autorità (c.d. cost plus), può costituire un utile strumento per l’ingresso di altri operatori. Occorre, tuttavia, un controllo stringente da parte dell’Agcom sulle applicazioni dell’offerta di riferimento per i servizi bitstream da parte di Telecom Italia s.p.a. al fine di garantire l’effettivo orientamento al costo dei prezzi praticati agli operatori concorrenti. Con riferimento allo sviluppo delle infrastrutture necessarie a garantire la connettività a banda larga, l’analisi delle principali iniziative intraprese a livello statale e regionale suggerisce che è tuttora necessario, da un lato, intensificare le iniziative volte a coordinare i vari livelli territoriali di governo per il potenziamento delle infrastrutture, dall’altro, ricorrere all’erogazione di un finanziamento pubblico agli operatori nelle zone maggiormente esposte al fallimento di mercato. Non appare, invece, risolutivo del problema del digital divide che colpisce le aree rurali e periferiche il ricorso alla tecnologia WiMAX. Analizzandone in dettaglio le caratteristiche teoriche e le effettive potenzialità, almeno per le frequenze nella banda dei 3.5GHz, oggetto dell’asta in Italia e negli altri paesi UE, si giunge alla conclusione che WiMAX presenta gravi limiti di capacità e di trasmissione del segnale, che si accrescono quando si passa dai centri urbani alle zone rurali.