Italia
Ancora ore convulse intorno a Telecom Italia.
L’emergenza quotidiana di oggi di chiama Telefonica.
La visita di Alierta non ha però nulla di ordinario. Incontra in un sol giorno Scajola, Calabrò, Catricalà, Romani, Geronzi, Letta, Valducci, Tremonti. I conti son presto fatti: i due Ministri di maggior peso, il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio (in sostituzione del premier), il Sottosegretario alle Comunicazioni, i presidenti delle due Autorità di regolazione, infine il presidente della Commissione parlamentare presso cui si terranno a giorni (guarda caso) le audizioni sul futuro dell’infrastruttura di telecomunicazioni in Italia, il capo della più importante banca d’affari, con un tour de force che definire come di “cortesia” fa sorridere.
Alierta è in Italia per chiarire, chiedere, sapere cosa pensa il quadro politico italiano della vicenda Telecom Italia, capire quali possono essere gli spazi di manovra per definire i prossimi passi di Telefonica. La società che rappresenta, come è noto, è presente in Telco, maggior azionista di Telecom Italia con una quota del 42,3%
Proviamo a disegnare gli scenari possibili. Sono tre. Proviamo a sintetizzarli.
Tutto rimane come è ora?
Difficile immaginarlo. Vuol dire consumarsi come una candela.
Tutti sono in attesa di qualcosa che può accadere o che deve accadere.
L’accusa più insistente che qualcuno fa a Bernabè è quella di essere immobilista.
Il che francamente non è vero.
Segue un suo filo, ma non campa certo alla giornata.
Tutti aspettano positivamente delle novità: gli azionisti, il mercato, l’azienda, il Paese, gli stessi concorrenti (a cui lo stato di incertezza che ormai si protrae da lungo tempo non consente di programmare al meglio le proprie strategie).
Pertanto l’ipotesi che tutto rimanga come è adesso appare altamente improbabile. Perché vorrebbe dire giocare solo di rimessa in un contesto in cui alla fine ci rimettono tutti, Telecom Italia, le banche, Telefonica, il mercato, il Paese.
Telefonica “mata” Telecom Italia?
E’ l’ipotesi fatta amaramente qualche giorno fa dal compianto Carlo Mario Guerci su Economy: “…entro cinque anni in Europa non ci sarà spazio che per quattro grandi gruppi: British Telecom, Deutsche Telecom, France Telecom e Telefonica. Per Telecom Italia non credo ci sia spazio…..oggi il destino migliore che possiamo augurarle è che sia assorbita da Telefonica…”.
Quindi assorbimento, non fusione.
Non un’azione congiunta di valorizzazione delle rispettive strategie, ma un’azione di forza del più forte nei confronti del più debole.
Anche da qui si deve partire per valutare in tutte le forme il significato della visita odierna di Alierta.
In passato si è parlato continuamente di OPA di Telefonica su Telecom Italia.
Addirittura Bernabè nell’intervista a La Stampa del 3 agosto scorso ha dichiarato a questo proposito: “… escludo operazioni ostili. Tanto più che un’OPA su una società come Telecom Italia non può non avvenire senza il consenso del Paese. E un Paese ha mille strumenti per fermarla…”.
Risposta singolare. Più da ex-manager di Stato che da capo di una public company. Avrebbe forse funzionato meglio una frase del tipo: “…è vero tutti ci vogliono perché siamo appetibili e perché il mercato ci dà ragione…vinca il migliore e se OPA deve essere, che si finisca in buone mani…“. Ci auguriamo naturalmente che ciò non avvenga.
Invece il gioco delle protezioni (ma guai se non ci fossero!) è stato ostentato. Le protezioni devono essere attive, ma le regole di mercato devono poter agire liberamente.
Se questo fosse lo scenario vincente, dovremmo fare i conti (inutile nasconderlo) con un quadro di ulteriore difficoltà del sistema-Paese nel suo complesso.
Ora ci siamo.
Alierta deve uscire dallo stallo nel quale le circostanze lo hanno in un certo senso cacciato.
Riteniamo altresì che le ragioni della politica e le dichiarazioni programmatiche del governo vadano semmai nella direzione opposta, verso la valorizzazione degli asset nazionali. Tanto più in un settore strategico come quello delle telecomunicazioni che implica tutte le considerazioni del caso non solo sullo sviluppo del Paese, ma anche su quello della sicurezza nazionale.
Difficile immaginare quindi l’azione di forza. Ma non può essere esclusa un’azione di deterrenza per poter gestire eventualmente meglio una negoziazione di interesse nazionale. Il che, intendiamoci, potrebbe riguardare qualunque altro soggetto globale interessato a entrare nelle tlc italiane, come stava per accadere negli anni passati.
Crediamo che il premier sarebbe determinato nel fermare ogni azione. Del resto la rete serve anche all’industria dei contenuti, sempre meno analogici e sempre più digitali. L’industria dei contenuti e nulla senza le reti (e viceversa) e i contenuti sostengono lo sviluppo di civiltà di un Paese.
Telefonica decide di uscire da Telecom Italia?
E’ una possibile opzione. Telecom Italia deve agire in fretta. Si sa. Ogni possibile azione non può riguardare movimenti interni alla compagine azionaria, ma deve avere precisi riferimenti in termini di strategie e di Piano industriale, con prospettive a breve e medio termine.
I giochi si fanno qui.
Come considerammo qualche giorno fa, è plausibile pensare alla soluzione di una società ad hoc per la gestione della rete (e non dei soli tralicci TIM): una società con pacchetto di maggioranza in mano a Telecom Italia e pacchetto di minoranza distribuito tra i maggiori competitor. Telefonica è contraria a una soluzione del genere (rappresenterebbe un precedente anche per la Spagna). Non potrebbe impedirla, ma la cosa forse avvelenerebbe gli animi.
Alierta vuole e deve verificare anche queste cose. Cerca di tranquillizzare il quadro politico italiano sulla bontà dell’impegno di Telefonica in Italia (cosa di cui nessuno dubita), ma dall’altra deve avere garanzie di recupero del forte impegno finanziario che a tutt’oggi non ha contropartite convincenti.
Telefonica potrebbe anche decidere di lasciare l’Italia? Difficile dirlo.
Come recuperare l’enorme investimento fatto per le quote di Telco (che oggi valgono molto meno? Solo in cambio di adeguate contropartite. E se Telecom Italia decidesse di liberarsi di Tim Brasil? Non è impossibile escluderlo. Tim Brasil non è più la “gallina dalle uova d’oro di qualche anno fa” e le ragioni sono evidenti. Del resto, le galline dalle uova d’oro non esistono più.
Già da qualche tempo, il traffico voce del fisso non produce più margini, ma oneri di gestione e manutenzione. Lo stesso fenomeno è destinato a estendersi anche al mobile, un processo di cui si avvertono già le avvisaglie, come dimostrato dal fatto che la stessa Tim Brasil ha dovuto ridimensionare le previsioni di crescita per il 2008 al 7%, da un precedente 9% che era a sua volta scaturito da una prima valutazione del 12%.
Non esistono i cespiti inamovibili.
D’altra parte non può essere considerata come invendibile una Tim Brasil che mese dopo mese (o anno dopo anno) viene dichiarata incedibile (dall’allora presidente Rossi, dall’allora ministro degli Esteri D’Alema, dal Cda di Telecom Italia e ora da Galateri e Bernabè).
Se è incedibile perché si ripete continuamente che non è in vendita?
Anche qui, difficile dire di più sulla plausibilità che tale opzione possa verificarsi.
Usualmente non si fanno incontri con tali e tanti interlocutori, di così alto prestigio istituzionale in così poche ore, se non per fare una dichiarazione di guerra o per firmare un armistizio, non per salutare e togliere il disturbo.
E’ possibile invece che quanto accadrà possa incredibilmente cogliere qualcosa da ciascuna delle tre opzioni.
Vedremo…è probabile che non si debba attendere molto.
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