Italia
La Rai al bivio tra un servizio pubblico in evoluzione e un panorama tecnologico in fermento. All’indomani della relazione annuale dell’AGCOM al Parlamento giunge tempestivo l’appuntamento organizzato dall’ISIMM (Istituto per lo Studio dell’Innovazione): “La Rai prossima futura: chi la governa e chi la paga“. Un convegno che nell’oggetto porta proprio il titolo della pubblicazione omonima presentata nell’occasione dal presidente dell’ISIMM Enrico Manca, frutto di un precedente seminario svoltosi a ridosso delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile scorsi.
Testo importante, che spazia dal finanziamento pubblico del servizio radiotelevisivo, sulla natura giuridica e sulle modalità di corresponsione del canone, agli effetti di una sua eventuale eliminazione; dall’inevitabile rapporto con le piattaforme digitali al tema caldissimo della governance. Un invito alla discussione pubblica che si presenta con le caratteristiche proprie dell’ISIMM, un soggetto terzo di dialogo e di confronto fra Istituzioni, Imprese, Università e mondo della ricerca.
Un quadro puntuale di indubbia attualità in questo periodo di vita della Rai e della politica italiana che sullo sfondo del dibattito si ripropone con forza il tema del contenuto del servizio pubblico. Un aspetto sostanziale e qualificante su quanto si dovrà discutere: il modello di organizzazione e di produzione dell’azienda Rai e la sua “governance” nella fase di transizione dalla tecnica di trasmissione analogica a quella digitale.
Punti su cui il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, Corrado Calabrò, ha già lanciato i suoi moniti, soprattutto per una riforma della Rai che non è più rinviabile: “Perché – come ha chiesto nel Rapporto – l’azienda non può competere impacciata dalle norme amministrativo-contabili e insieme paralizzata da spinte e controspinte politiche“. E qui si fa forte il monito di Calabrò, proprio sull’ipotesi di un provvedimento ad hoc per cambiare la governance della tv pubblica.
Seminario che come spiega subito Manca: “… Non può essere contenibile nella dimensione dei tecnicismi giuridici e dei dati economici“. La sovrapposizione di livelli, infatti, è evidente, con un focus allargato alla politica, alla società, ai mercati certo, all’innovazione tecnologica e al più ampio quadro delle relazioni europee.
“… Temi importanti che vanno approfonditi tenendo in considerazione i diversi livelli di discussione agibili pur non abbassando il rigore delle argomentazioni. Il presidente dell’AGCOM– continua Manca- ha posto sul tavolo del dibattito parlamentare e non, delle questioni di assoluta importanza per il futuro della Rai e del sistema radiotelevisivo pubblico. Ci sono delle domande che necessitano di risposte adeguate, sui margini di produttività da recuperare in Rai in termini di azienda. Quindi parliamo di canone, di contratto di servizio e di un’evasione tra le più alte d’Europa. Di maggiore efficienza, di rigore economico nella copertura dei costi di gestione e di una nuova spinta motivazionale in termini di produzione di contenuti di qualità che parlino al Paese intero, senza imporre soluzioni di nicchia o troppo vicine a modelli tipici del settore commerciale“.
Sfide irrinunciabili che acquistano valenza sociale nel momento in cui si ripercorre la storia della Rai e del servizio pubblico di informazione e formazione. Una storia che parte dal dopoguerra e attraversa decenni cruciali di sviluppo, d’industrializzazione, di boom economico e di grandi cambiamenti politici e sociali ormai sotto gli occhi di tutti.
Proprio all’interno di questo dibattito trova posto anche il rapporto tra la Rai, il suo consiglio di amministrazione e i partiti politici, che dall’ultima riforma del 1975 ha visto, anche qui, molti cambiamenti: “…Parlare di governance significa parlare di sistema dei partiti e quindi del meccanismo di finanziamento al momento in essere: il canone. Sul quale– insiste Manca- di critiche e di proposte alternative si fa un gran parlare, dalla sua incostituzionalità all’inadeguatezza del sistema, dalla possibilità di inserire il canone nella bolletta dei consumi di energia elettrica alla smart card in uso nel servizio di trasmissione digitale; o anche un intervento di fiscalità ordinaria fino al modello ormai nominato ‘Sarkozy’, dal nome del suo inventore, l’attuale Primo Ministro francese“. “Di argomenti ce ne sono molti– conclude Manca- ma ciò che rimane sul fondo e da cui non si deve sfuggire è la natura pubblica del servizio e la sua evoluzione in un panorama tecnologico sempre più complesso, multipiattaforma e multimodale, in cui la questione del condizionamento dovuto alla voce pubblicitaria deve richiedere una riflessione molto attenta su quelli che sono i benefici, in termini economici sicuramente, e quelli che ne sono i limiti, in termini di livellamento qualitativo se non di un suo peggioramento“.
Dell’importanza di un servizio pubblico radiotelevisivo in ambito europeo parla anche Angelo Maria Petroni, Consigliere Rai e professore all’Università di Bologna: “…In tutti i Pesi europei ci sono emittenti pubbliche e questo lo prevedono espressamente le Istituzioni stesse, ribadendo nelle diverse direttive l’insostituibilità e l’alienabilità della natura pubblica del servizio radiotelevisivo. Il nostro servizio televisivo è uno tra i più importanti ed efficienti, qualitativamente tra i migliori nel continente, con un canone tra i più bassi in relazione alle entrate e al numero di ore trasmesse. Ma è anche il più evaso“. “L’attuale sistema misto canone/pubblicità– conclude Petroni- molto probabilmente non potrà più reggere il confronto con le nuove piattaforme tecnologiche e le critiche sia dei contribuenti che del legislatore. Serve una riforma, dove però il peso delle entrate pubblicitarie deve essere limitato, altrimenti ne viene travolto il servizio pubblico nella sua essenza e nelle sue finalità. I punti su cui muoversi sono: risorse finanziarie adeguate ai bisogni dell’azienda, una modalità di pagamento per il cittadino equa e rigorosa, un servizio di qualità alta e pubblico. Il bilancio della Rai è di circa tre miliardi di euro l’anno, con più del 70 per cento della copertura derivante dal canone. Se tutti pagassimo il canone, da quel 25 per cento di evasione stimata rientrerebbero almeno 600 milioni di euro da poter reinvestire nel servizio, riducendo l’influenza della voce commerciale e magari riducendo anche la quota di canone pro capite“.
Un servizio che va difeso e nello stesso tempo riformato, spiega anche Italo Bocchino deputato del Pdl alla Camera: “…La qualità del nostro servizio è ottima se confrontato con il resto d’Europa, ma la Rai deve assicurare sempre tale livello di resa e soprattutto affrontare le contraddizioni di un sistema misto, sia di produzione che di finanziamento. Un punto sensibile, su cui il dibattimento sarà lungo e difficile, dove sia la linea di difesa della pluralità e dell’indipendenza dell’emittente, sia la linea di difesa della sua natura pubblica, sia il suo ruolo di informazione e formazione, che il peso degli interessi politici andranno a gravare sul mercato generando paura e insicurezza; due elementi di squilibrio da evitare assolutamente“. “Partendo dai risultati positivi dell’azienda Rai– continua Bocchino– che è un’azienda economicamente sana, si potrà lavorare per un posizionamento solido sui mercati internazionali. Certo possiamo discutere se tre reti siano troppe, magari ne bastano due se dobbiamo fare solo servizio di qualità pubblico, togliendo il condizionamento sui palinsesti che generano i partner commerciali. Perché se ci sono tre reti è per competere con Mediaset e questo genera costi sempre più alti e conseguente aumento del peso pubblicitario. Prendiamo la Fiction italiana, una tra le migliori al mondo, con dei prodotti di assoluta qualità, culturalmente formativi, costruiti sui valori condivisi dal Paese e nuovamente veicolati da una televisione che in questo settore ha ripreso il suo ruolo, appunto, di formazione sociale e culturale forte. Unico neo, sicuramente, sta nella mancanza di turn over tra i volti televisivi. A riguardo la radio presenta dei livelli di efficienza davvero notevoli, fucina di novità e voci diverse da cui spesso la tv ha preso spunto, se non proprio dei volti nuovi che poi hanno avuto grandi seguiti. Altro aspetto, certamente, su cui lanciare seriamente un allarme è quello dell’informazione“.
Quindi un’azienda in salute, sostanzialmente in pareggio, che gode di una posizione sicura e che nello stesso tempo però deve al più presto affrontare dei temi cruciali. Questo sembra emergere dall’analisi dei primi interventi coordinati da Manca, fino all’esigenza espressa da Bocchino di una moratoria sulle nomine Rai: “… Soprattutto per pensare bene ‘chi’ deve governare ‘che’ cosa e per spostare il sistema radiotelevisivo verso delle pratiche più meritocratiche“. Leggermente in controtendenza rispetto agli interventi che lo hanno preceduto sembra porsi Davide Caparini deputato della Lega Nord alla Camera: “…La prima domanda: è necessario davvero un servizio pubblico? Se questo poi ha origini da pratiche monopolistiche? Bisogna definire, prima di ‘chi’ debba intervenire e governare la riforma, il ‘che’ cosa, quindi definire il servizio e il quadro futuro di riferimento. Solo così si esce dal modello anacronistico in cui la Rai si trova a lavorare“. “Il canone– spiega Caparini- è percepito come una tassa e, in quanto tale odiosa, anche per la sua illusorietà di fondo: pagare per un servizio che non si avrà mai, di una qualità scadente. I servizi della Rai devono diversificarsi e posizionarsi sull’orizzonte delle multipiattaforme, l’azienda deve riprendere una vocazione extraeconomica, di alto valore culturale e morale. Ma ciò che preme, come detto prima, è la necessità di un’integrazione digitale del mezzo e del servizio, entrando nel mercato vastissimo dei new media e delle nuove declinazioni della comunicazione digitale. Lo stesso canone dovrà trovare una nuova ragione d’essere, meno antiquanta e più giusta. Forse il futuro della Rai potrebbe non essere più nella televisione“.
Televisione come morta o sorpassata, ma non tutti ne condividono gli accenti, lo stesso Manca vede nella Rai un cordone ombelicale con la televisione generalista indissolubile e non concorda affatto con alcune visioni apocalittiche relative alla fine della tv tradizionale. Come lo stesso Paolo Gentiloni, Ministro uscente della Comunicazione e deputato del PD alla Camera: “… Calabrò ha chiesto una riforma che non può essere rinviabile. Non ci possono essere moratorie né dubbi sul ruolo della televisione nel servizio pubblico. I punti in agenda sono sempre gli stessi: raggiungere una maggiore efficienza industriale, un’autentica indipendenza dai partiti e differenziarsi dall’offerta delle reti commerciali. Una riforma che dovrà colmare le lacune della legge del 2004 denominata ‘Gasparri’, Ministro della Comunicazione dell’allora III Governo Berlusconi, che ha aumentato i disagi del servizio e della sua amministrazione. Forse l’aspetto che più preme da affrontare è proprio quello del finanziamento e delle fonti, che apre la riflessione sul bisogno o meno nel XXI secolo di un servizio definibile pubblico“. ” E certo che la tv pubblica esiste in tutti i Paesi europei– continua Gentiloni – e forse sta a significare che, al di fuori dei termini di diversificazione, competitività ed efficienza economica, questo servizio ha effettivamente ragione di esistere, per tutta una serie di motivi che altri prima di me hanno sostenuto da questo tavolo. Il sistema televisivo pubblico italiano ha il maggior bacino di raccolta pubblicitaria al mondo e questo rappresenta un’anomalia da sanare. Un’anomalia che va a indebolire la ragion d’essere del canone e dell’attuale sistema di riscossione. Forse nell’innovazione tecnologica multipiattaforma e multicanale si nasconde il futuro stesso del servizio televisivo e pubblico“.
Dopo un vivace e inaspettato affondo sul lavoro svolto dall’ex Ministro delle Comunicazioni, torna sull’inadeguatezza del canone Rai Giorgio Lainati del Pdl: “…E’ ovvio che il problema che si solleva sia di natura sociale prima che di mercato. Ci sono fasce di popolazione, penso agli anziani e alla pensione con cui devono sopravvivere, che non possono pagare il canone senza ripercussioni sull’economia familiare. Una riforma in tal senso è ben venuta e auspicabile“. Riguardo alla tanto vituperata tassa sulla televisione, Giovanni Puoti, Avvocato e Ordinario di Diritto tributario presso l’Università La Sapienza di Roma, sottolinea quanto sia anche inadeguata da un punto di vista giuridico: “…Penso che sia sempre una buona domanda chiedersi ‘chi’ paga e ‘che cosa’. Da un punto di vista giuridico il canone è a dir poco inadeguato, come lo sono le altre proposte che ho ascoltato. L’imponibile non è collegabile alla detenzione dell’apparecchio. Forse qualche possibilità ce l’hanno la fiscalità ordinaria o la tassazione con il tradizionale bollettino. La cosa migliore rimane sempre il prelievo fiscale sul reale utilizzo del mezzo, più conforme all’offerta multicanale odierna e più utile in chiave di lotta all’evasione“. Sulla stessa linea l’intervento di Pier Luigi Parcu, fondatore dello Studio Economico Parcu & Associati, il quale vede nel canone: “… Così come si gestisce in relazione alle risorse del mercato pubblicitario e alla gestione mista che ne deriva, una soluzione da rivedere assolutamente. Sicuramente, ciò che emerge al di fuori dei numeri, circa 600 milioni di euro a fronte di 1,5 miliardi di euro di canone, è la totale inadeguatezza della soluzione finanziaria, iniqua e impopolare“.
Di diverso avviso il segretario dell’ADRai Giuseppe Straniero: “… Ogni tassa è impopolare, certo, ma nessuno dice che il canone da solo non ce la faccia a coprire il fabbisogno della Rai. Senza gli introiti pubblicitari la televisione pubblica non ce la farebbe e buona parte del servizio rimarrebbe scoperto. È un errore pensare di rovesciare la strategia economica fin qui portata avanti a favore del solo prelievo pubblico. Semmai, oltre alla pubblicità, bisogna certamente combattere l’evasione e riportarla in una percentuale fisiologica che è quella della media europea, cioè ben al disotto del 10%. La soluzione di agganciare il canone alla bolletta di somministrazione dell’energia elettrica potrebbe essere una buona soluzione“.
Ancora sul futuro del mezzo televisivo interviene Francesco Tempestini del PD: “… Forse il ciclo economico e tecnologico del mezzo televisivo è giunto a compimento, mentre già dal panorama digitale risorge un nuovo media, immerso nella dimensione multipiattaforma degli ultimi anni. È su questo che bisogna muoversi anche per parlare e discutere di un diverso modo di pagare il servizio televisivo pubblico, che così come è, misto, non può continuare ad andare avanti tra la moltitudine di offerte sul mercato“. Sempre sulla stessa linea si delinea anche l’intervento di Paolo Romani, sottosegretario allo Sviluppo Economico con delega alle comunicazioni del nuovo Governo Berlusconi: “… Il processo di digitalizzazione della comunicazione ha investito anche la televisione e nel giro di pochi anni vedrà dei risultati molto concreti, tali da cambiare il panorama del servizio radiotelevisivo in modo radicale. Calabrò ha evidenziato nel suo intervento in Parlamento l’importanza di anticipare lo switch off analogico. Il servizio pubblico ha svolto un ruolo fondamentale, ma è venuto il momento di cambiar pelle. O meglio, la tv pubblica oggi è lontana dal Paese reale, troppo lontana, anche nei contenuti stessi che vengono veicolati nelle case della gente, con una fotografia della società che non coincide con il quotidiano. Serve un occhio più critico, più vicino ai bisogni reali del Sistema Paese, che chiede una rappresentatività più rigorosa, un ascolto concreto“.
Oltre che sulla capacità o meno di posizionare i contenuti prodotti sul mercato e di offrire un servizio di livello culturale superiore all’attuale, la televisione, nelle parole di Enrico Menduni, docente all’Università Roma tre, deve ritrovare una governance che da sola gli permetterebbe di superare l’empasse in cui si viene a trovare il servizio pubblico: “…Studiare la piattaforma radio televisiva, il complesso passaggio dalla comunicazione di massa ai nuovi media, l’avvento del digitale nella convergenza multimediale, il grande sviluppo della comunicazione pubblica e la costituzione di un nuovo rapporto con la politica in cui trovano spazio e posizione anche i media e specialmente la nostra Rai: questi sono a mio avviso i punti cardine di un riassetto base. La governance è in fin dei conti la capacità strutturale di finanziarsi, mentre il servizio pubblico di per sé è una vera e propria mission, peraltro non più molto chiara. Ad oggi, con un sistema misto in essere, troppi soggetti si stanno occupando di programmazione televisiva pubblica, tirandone giù la qualità dei contenuti. A livello planetario tutti i players operanti in multinazionali trovano sistemi di integrazione dell’analogico nel digitale, ottimizzandone gli usi e raggiungendo efficienze economiche. Ora tocca a noi“.