Relazione Agcom: alcune considerazioni a margine della presentazione

di di Raffaele Barberio |

Italia


Raffaele Barberio

Qualche giorno fa l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) ha presentato la Relazione Annuale al Parlamento, con la tradizionale cerimonia e la Relazione di presentazione letta dal suo presidente Corrado Calabrò nella Sala della Lupa, davanti ai rappresentanti delle più alte istituzioni del Paese e delle imprese dei settori di riferimento.

Com’è noto, la Relazione sull’attività svolta è rappresentata dal volume allegato (334 pagine) alla Relazione del Presidente. Mentre il primo è uno strumento “a consuntivo” e si riferisce ai dati consolidati del 2007, la seconda rappresenta lo strumento “politico” di indirizzo, guarda alla prospettiva, dà il senso di ciò che occorre fare e lo fa segnalando le priorità di massima.

Quindi uno strumento utile e significativo, non a caso presentato in modo solenne davanti alle più alte cariche dello Stato. Peraltro, va ricordato che la Relazione di presentazione è realmente la Relazione del Presidente, appartiene solo a lui, non è condivisa dai membri dell’Autorità.

Ci saremmo aspettati di più, avevamo immaginato una Relazione del Presidente consapevole della stabilità politica di una legislatura appena avviata, forte nei numeri e capace di accogliere sollecitazioni rilevanti ai fini del rilancio di un mercato come quello dell’ICT che ormai langue da anni. Un mercato che langue per difficoltà oggettive, ma anche per i vuoti decisionali che si sono registrati a causa delle focalizzazioni estreme sulla Rai da parte del sistema politico e della costante e generale sottovalutazione dello stallo di mercato delle telecomunicazioni italiane.

La Relazione del Presidente (29 pagine, 8 paragrafi e 42 note) sollecita considerazioni di metodo e di merito.

Innanzitutto l’incipit.

Un primo paragrafo dedicato al rapporto tra cittadino, politica e televisione, ovvero par condicio e difficoltà di applicazione della legge attuale.

Argomento importante, si dirà (e di questo siamo convinti), ma proprio come avvio di Relazione, in un Paese in cui l’intera industria della convergenza segna il passo e in qualche caso mangia polvere?

Insomma un argomento importante, ma mal posto, fuori da ogni gerarchia. Resta oscura la ragione di questa scelta.

Quanto pesa la TV?

Viene messa al secondo e terzo paragrafo, con 8 pagine e mezza su 27 e con 16 note.

Il secondo dei due paragrafi viene dedicato ai contenuti, con particolare riferimento ai contenuti degradati del servizio pubblico della RAI.

L’unico riferimento esplicito e dettagliato è solo quello ai contenuti che praticano l’intrusione nella vita privata dei cittadini, con esplicito riferimento alle note materie giudiziarie e processuali della cronaca di questo Paese nell’ultimo decennio (o nelle registrazioni, peraltro raccolte in modo del tutto incivile, degli ultimi giorni?). Da qui il titolo dell’intero paragrafo dedicato alla qualità dei programmi: La dignità della persona nel sistema radiotelevisivo.

Allora proviamo a spostare il focus sulla qualità complessiva della programmazione. Calabrò cita il contratto di servizio che prevede l’elevazione della qualità dei programmi, ma aggiunge “….. Ma essa (la qualità, ndr) resterà lettera morta se e fino a quando non permeerà il convincimento della stessa RAI, la quale ha risorse tradizionali per tradurla in atto“.

Ciò indurrebbe a ritenere che l’unica salvezza da programmi insulsi, ignoranti e sporchi può derivare solo dalle reazioni che la stessa RAI sarà in grado di assicurare…..

Occorre ricordare quale sia il livello di osmosi tra politica e dirigenza Rai? O quale sia la storia di un’azienda, falsa azienda, con profilo giuridico unico, che ha sempre ignorato la regola deontologica dei civil servant di stampo anglosassone, dando quasi sempre spazio solo al secondo dei due termini? E l’istituzione che deve vigilare, che deve imporre, che deve sanzionare, che deve sollecitare il Parlamento eventualmente verso azioni legislative più efficaci? Nossignore. E’ sufficiente aspettare che la RAI trovi al proprio interno la forza e la responsabilità di assicurare al cittadino che paga il canone, al ragazzo che deve essere educato, al telespettatore che vorrebbe avere telegiornali capaci di far scoprire che nel mondo esistono altri paesi a parte Palestina, Iraq e New York, al pubblico che vorrebbe avere meno tette e meno culi (se c’è da pagare, col canone, allora è meglio si faccia in altri luoghi), meno lacrime finte, meno ignoranza e volgarità microfonata.

Infine non una sola parola su un argomento che riguarda ancora il paradosso RAI: com’è possibile che la RAI attraverso Rai Click metta in vendita programmi realizzati con il canone? Ma c’è di più. La sciatteria del servizio pubblico è arrivata al punto da non far partecipare la RAI neanche alla consultazione pubblica promossa in ambito europeo sul tema della vendita dei programmi prodotti dai servizi pubblici.

Secondo la Relazione di presentazione il problema della qualità dei programmi del servizio pubblico riguarda non l’intero corpo del pubblico televisivo nazionale (se non in modo passivo), ma il modo con cui sono trattati coloro che sono oggetto di indagini giudiziarie.

Un po’ poco, francamente.

E gli altri mezzi di comunicazione?

Parliamo in questo caso quantomeno di stampa e di radio. Scusate se è poco. Qui la relazione del Presidente assegna 1 pagina e poco più su 27. Poche righe alla radio e altrettanto poche righe alla stampa.

Non un riferimento allo spinoso argomento delle provvidenze a favore della stampa che alterano le ordinarie dinamiche di mercato tra testata e testata e tra testate cartacee e testate online: una vergogna solo italiana verso la quale non c’è da aspettarsi alcun ripensamento da parte delle testate medesime, né dei politici che fanno da specchio al fenomeno. E allora? Tutto rimarrà così finché il sistema non scoppia. Dobbiamo sempre aspettare la deflagrazione?

Last but not least, le telecomunicazioni

Quattro pagine soltanto (e 8 note) a un settore che vale tanto, ma tanto, più della Tv, sia per livelli occupazionali sia per consistenza di mercato sia per rilevanza delle prospettive di sviluppo futuro.

Il paragrafo riporta qualche numero, rinviando naturalmente all’allegato per i dettagli, ma i toni sono di autocelebrazione sullo stato della telefonia mobile (nel 3G primi in Europa e secondi al mondo), mentre tutti sanno che il mercato mobile italiano è in una fase di forte criticità e che forse non riesce a ospitare tutti e quattro gli attuali player. E’ un mercato in sofferenza.

Infine la telefonia fissa.

Viene indicata la quota di Telecom Italia nel 64% del mercato, una quota superiore alla media europea del 55%. Non viene indicata la quota di mercato di Telecom Italia nell’anno precedente. Al contrario, nella relazione dell’anno precedente si fa riferimento alla quota di Telecom Italia del 2005 (94%) e del 2006 (89%), mentre mancava ogni riferimento comparativo a realtà europee. Viene però da chiedersi: possibile che Telecom Italia cala di soli 5 punti percentuali tra il 2005 (94%) ed il 2006 (89%) e di ben 25 punti percentuali tra il 2006 (89%) ed il 2007 (64%)?

Ma, forse, più semplicemente l’unica cosa da chiedersi è quali sono i criteri di misurazione? E sono gli stessi usati di anno in anno per la creazione della serie storica?

Queste le considerazioni sulla Relazione del Presidente, non senza sottolineare come lo scorso anno telecomunicazioni e televisione erano presentate con questo ordine e con un numero pari di pagine, mentre quest’anno è stata rivoltata la gerarchia ed è stato assegnato un livello di interesse, usando l’indicatore del numero di pagine, del tutto squilibrato a favore della televisione.

Non vorremmo che questo nuovo ordine gerarchico significasse l’apertura di una nuova stagione d’interesse verso la Tv, al punto da assecondare la scarsa attenzione verso l’intera industria delle telecomunicazioni, che rimane in attesa di risposte concrete.

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