Gran Bretagna
“Il diritto di marchio non consente di opporsi all’uso di un segno identico o simile ad un marchio in una pubblicità comparativa se non esiste per il pubblico un rischio di confusione tra l’operatore pubblicitario e il titolare del marchio o tra i marchi, beni o servizi dell’operatore pubblicitario e quelli del titolare del marchio”.
Così la Corte di Giustizia europea si è pronunciata in merito al caso che vedeva contrapposti l’operatore mobile britannico O2 e il concorrente H3G.
I fatti risalgono al 2004 e si riferiscono alla campagna pubblicitaria lanciata da H3G per il servizio prepagato “Threepay”.
Il messaggio promozionale in questione metteva a confronto le tariffe praticate dal gruppo asiatico (che opera col brand commerciale ‘3’) con quelle dei servizi offerti da O2, facendone risaltare, ovviamente, la maggiore convenienza.
O2 non contestava però questa comparazione delle tariffe, quanto l’utilizzo da parte di H3G di immagini di bolle in bianco e nero in movimento, simili a quelle utilizzate dall’operatore britannico per pubblicizzare i propri servizi.
O2, che è anche titolare di due marchi nazionali britannici consistenti in un’immagine statica di bolle, ha quindi fatto ricorso alla High Court accusando H3G di contraffazione dei suoi marchi, pur ammettendo che il confronto dei prezzi effettuato nella pubblicità in questione era esatto e che la pubblicità non era ingannevole.
L’azione legale è stata respinta dalla High Court ma O2, decisa ad andare fino in fondo, ha impugnato la sentenza dinanzi alla Court of Appeal, che ha quindi chiesto alla Corte di giustizia “se il titolare di un marchio possa vietare l’uso di un segno identico o simile al suo marchio in una pubblicità comparativa che non provoca confusione tra l’operatore pubblicitario e un concorrente o tra i marchi, beni o servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente”.
La Corte, in risposta, ha ricordato che “ai sensi della direttiva comunitaria sui marchi (direttiva 89/
/ ), il titolare di un marchio può vietare l’uso, nel commercio, di un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici e l’uso di un segno simile al marchio se esiste un rischio di confusione che comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio”.
L’uso da parte di H3G delle ‘bolle’ simili a quelle utilizzate dal concorrente, insomma, non ha ingenerato un rischio di confusione per i consumatori.
“Nel complesso – secondo il giudizio della Corte – la pubblicità controversa non era ingannevole e, in particolare, non lasciava supporre che ci fosse una qualsiasi relazione commerciale tra O2 e H3G”.
Non si è riscontrata, dunque, neanche la violazione della direttiva comunitaria 84/450/
sulla pubblicità comparativa, che ammette la possibilità di effettuare negli spot comparazioni con prodotti concorrenti, purché il messaggio non sia ingannevole, non ingeneri confusione sul mercato tra l’operatore pubblicitario e un concorrente o tra i marchi, non causi discredito o denigrazione di un marchio e non tragga indebitamente vantaggio da un marchio.