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Vivere di tecnologie, nelle tecnologie e per le tecnologie ha un solo grande difetto, la difficoltà a stupirsi, quindi la serata organizzata da Luca Balestrieri, direttore della struttura digitale terrestre, per una dimostrazione delle potenzialità dell’Alta definizione al circolo Rai di Tor di Quinto, era soprattutto un occasione per approfondire le varie tematiche emerse durante le prime due giornate di test.
La Rai ha fatto le cose per bene, organizzando una serata, senza inutili sfarzi, essenzialmente tra addetti ai lavori; le persone invitate, alla fine sono quelle che si incontrano ai vari forum sulla Tv digitale. Ovvia la presenza di DGTVi con Andrea Ambrogetti e Piero De Chiara, tra le aziende Pierantonio Bottaro di Telsey che produce i decoder e Fernando Parisi di ST Microelectronics che fornisce quei chip senza i quali nulla oggi sarebbe possibile.
Per la Rai, il direttore generale Claudio Cappon, Ray Way ovviamente al gran completo, dal presidente Francesco De Domenico all’ad Stefano Ciccotti; spicca l’assenza del Consiglio di amministrazione.
E’ forte la curiosità di immaginare cosa ci potesse essere di più importante delle prove tecniche di futuro dell’azienda che si amministra.
L’impianto usato dalla Rai viene definito “domestico avanzato più che semiprofessionale”, una normale antenna centralizzata, ovviamente cablata a dovere; il decoder è lo stesso fornitomi da Rai, il proiettore però è un Sony 2K che proietta su uno schermo da circa 250- 300 pollici , una diagonale da 7- 8 metri che fa più piccolo cinema che salotto, indispensabile comunque in una sala da un centinaio di posti come quella predisposta. Un impianto costosissimo, intorno ai 20.000 euro ma ancora “consumer”, alla portata di chi può permettersi un’auto da 40.000 euro in su (non pochi quindi). L’unico must, Il ripetitore a due passi (Monte Mario), che garantisce un segnale potente e stabile, oltre al bitrate portato da 12 a 14 Megabit.
Memore che sono qui per un test, mi metto nel posto peggiore, in prima fila e di lato, ma quando appare l’immagine dello Stadio, lo ammetto, ho ritrovato lo stesso stupore di quando, ragazzo, ho visto il mio primo Tv a colori. Perché l’immagine non solo è ottima almeno quanto quella visibile con il 50 pollici , ma ha una profondità che la tv sino ad oggi mi aveva riservato solo con filmati in full-hd. Se aggiungiamo che spesso l’inquadratura era tale da restituire un giocatore a grandezza reale, l’impressione di presenza all’evento era percettibile. Soprattutto ho avuto l’impressione di vivere qualcosa di nuovo, perché se tecnicamente ero in un cinema, stavo vivendo un evento in diretta come succede solo con la televisione. Qualcosa di nuovo ma anche qualcosa di vecchio, perché la prima cosa che mi è venuta in mente è che questa potrebbe essere una nuova via per dare vitalità ai cinema, che come 50 anni fa riempiva le sale di chi era disposto a pagare per vedere “Lascia o raddoppia”.
L’alta definizione quindi come vettore di una nuova programmazione cinematografica? Al cinema per vedere le partite o grandi eventi?
Tutto si interrompe all’improvviso, quando una sciagurata interpretazione del fuori gioco ci fa andare sotto di un gol ed entrare in un tunnel che ci ha via via portato verso un abisso sportivo che nessuno avrebbe voluto vivere. A quel punto è avvenuta la metamorfosi, altro che grande schermo, altro che top manager, eravamo solo un gruppo di tifosi che soffriva esattamente come gli altri milioni di italiani di fronte ai loro televisori. Al terzo gol non ce l’ho fatta più, mi sono alzato e me ne sono andato a casa, perché quando prendi tre pappine in quel modo, dell’alta definizione non può importartene di meno.