Il domani della Rai è cominciato ieri? Si accende il dibattito sulla relazione presentata da Slc-Cgil

di di Gaetano Stucchi (Media Consultant) |

Italia


Gaetano Stucchi

Si riaccende il dibattito sulla Rai e sul suo futuro, che poi vuol dire il futuro di tutta l’industria audiovisiva italiana (cinema compreso). 
In una lunga mattinata di martedì 27 maggio, al Grand Hôtel Parco dei Principi di Roma , la SLC – CGIL ( Sindacato dei Lavoratori della Comunicazione ) ha presentato i risultati di una ricerca sui bilanci RAI 2002 / 2006, condotta da un gruppo di esperti finanziari capeggiati da Sergio Cusani, e già anticipata nelle scorse settimane da alcuni organi di stampa . 
Appunto i titoli alquanto pittoreschi, scelti per alcune di queste anticipazioni ( RAI come prossima Alitalia?), hanno influenzato il tono della mattinata, sottolineando il carattere provocatorio , da “sasso nello stagno”, di questa iniziativa del sindacato ( impegnato negli stessi giorni – va detto – in un difficile negoziato sulla regolarizzazione graduale – come previsto dalla legge N° 247 del 2007 – dei 2.800 contratti a termine , su cui si appoggiano molte delle attività aziendali ) . 

Le conclusioni problematiche dello studio di Cusani evidenziano infatti un trend preoccupante nel funzionamento economico del servizio pubblico televisivo, stretto fra regole rigide, che ne limitano la libertà ed efficacia imprenditoriale, e un bisogno crescente di risorse per gli investimenti non rinviabili (anzi già tardivi), necessari a fronteggiare il nuovo quadro di mercato definito dal processo di digitalizzazione del settore.
Difficile negare, per chiunque, che questi due – governance e risorse – siano i punti critici dell’orizzonte strategico RAI. 
Comprensibili differenze di accenti, invece, sulle ipotesi di soluzione o di parziale risposta a queste due sfide, che lo studio identifica in possibili economie sui costi esterni ( grazie anche ad un recupero di capacità produttiva interna all’ azienda ) – già diminuiti di circa 33 M di euro nel pre-consuntivo 2007 -; e nell’ ottimizzazione dei parametri gestionali .

Quello che RAI rischia, secondo Cusani e il sindacato, se non accentuerà nel prossimo futuro queste forme d’ intervento, é di ritrovarsi prigioniera di una crescita più forte ed incontrollata della sua spesa esterna = + 3% nel periodo considerato = ; rispetto ad una stabilità sostanziale = + 0,4% = del costo del lavoro interno ( il suo personale ) : cosa che , in presenza di una permanente rigidità dei ricavi , potrebbe vanificare gli sforzi, pur annunciati , di adeguamento del suo modello di business agli evidenti cambiamenti dello scenario competitivo .

L’evidenza di questo rischio é apparsa innegabile, al di là della non sempre facile, qualche volta scivolosa applicabilità di categorie generali di analisi finanziaria ad un’impresa così particolare, e per certi aspetti anomala. 

Nella sua introduzione Emilio Miceli, segretario generale della SLC, ha molto insistito su questa stretta e riequilibrio della spesa RAI , a partire dalla riduzione (non l’azzeramento, né la drastica decurtazione !! ) dei suoi costi esterni e dalla riqualificazione delle forze produttive interne. 

Sul tema sempre scottante dei rapporti della RAI con il mercato dei fornitori di contenuti e degli appaltatori, ha parlato di “una vera e propria operazione trasparenza”, e di un ruolo più attivo dell’azienda nell’influenzare e pilotare (e non solo nell’accettare passivamente) le logiche economiche del settore  Da semplice cliente a soggetto forte (uno dei due / tre protagonisti ) del mercato.
Il “grande patto” per il futuro della RAI , che la CGIL propone , non é privo di sani elementi di autocritica ( “Anche il sindacato deve cambiare il modo di atteggiarsi dentro l’ azienda , su questo non abbiamo dubbi” ) e vuole evitare rigorosamente ogni rischio consociativo o cogestionario ( “Non credo sarebbe una cosa rivouzionaria far uscire i partiti dal CdA RAI per farci entrare i sindacati” ) . Il vero “passo in avanti” , che Miceli chiede , é quello di passare dalle intenzioni e dalle norme ai fatti : “La scelta del digitale , che pure é il cuore del Piano Industriale RAI come della legislazione esistente , ci sembra essere piú argomento di discussione che non di azione”.

In fondo il messaggio d’inquietudine da parte del sindacato sta tutto in quell’ipotesi “alternativa”, pur contenuta nel famoso Piano 2008 / 2010, che stima un possibile sviluppo “inerziale” dell’ azienda ( sarebbe meglio dire un “non-sviluppo” !! ), suscettibile di portarla in soli due anni ad un deficit di quasi 500 M di euro : un’ ipotesi “di scuola”, che si teme possa diventare nei fatti la vera opzione pseudo-strategica, percorsa da una RAI perdente, e orientata all’obiettivo massimo e inadeguato del suo pareggio di bilancio.

A scongiurare in parte questo pericolo potrà certamente contribuire una attenta modernizzazione della governance aziendale, a cominciare da un CdA “vero” e sganciato dai partiti, che eviti da un lato di raddoppiare inutilmente le funzioni di controllo politico della Commissione Parlamentare di Vigilanza; e dall’altro di interferire quotidianamente con il management, limitandone e umiliandone l’autonomia ( “un AD che abbia libertà d’azione e poteri di spesa congrui : diciamo che fino a 20 M di euro non sarebbe uno scandalo !”) .
Da notare l’uscita tempestiva, simultanea alla manifestazione della CGIL, di un comunicato della Fistel – CISL ( la corrispondente federazione di categoria ), che su questo punto va esattamente nello stesso senso.

Ben preparata da Elisabetta Ramat della SLC e condotta da Giuseppe Sarcina, direttore del “Corriere Economia”, la mattinata ha visto poi succedersi al microfono pochi e significativi interlocutori, schierati con ovvie e legittime sfumature su due posizioni di fondo: una prima, difensiva e reattiva al tempo stesso, di chi guarda volterianamente allo stato “naturale” delle cose come al “migliore dei mondi possibili”, o quasi ( Leone per la RAI, Bassetti per ENDEMOL Italia e per la produzione indipendente); una seconda più critica ( anche auto-critica ) e riflessiva, sia sulle scelte editoriali e strategiche del servizio pubblico (da Bernabei, anche nell’attuale veste di produttore indipendente, ai due giornalisti Siddi e Verna ), che sulle prospettive emergenti dal nuovo quadro politico (Gentiloni) .

In apertura del dibattito, il saggio e prudente richiamo di Ettore Bernabei alla responsabilità editoriale, vincolante e costitutiva del servizio pubblico, ha subito chiarito che non si parlava solo di soldi . 
Evocando nel suo limpido eloquio toscano “l’accumulo d’ insoddisfazione”, che periodicamente trabocca nel nostro paese, Bernabei ha condiviso le preoccupazioni del sindacato : “Si crede che la gente cerchi e voglia dalla televisione solo il divertimento. Ma non é così. La televisione é manchevole. Era giusta la definizione che all’epoca diede la signora Franca Ciampi , quando parlò di televisione deficiente”. 

Giancarlo Leone, ViceDirettore Generale RAI, ha voluto invece rivendicare la solidità economica dell’azienda, dei suoi bilanci e della sua posizione di mercato, più forte e vincente di qualunque altro servizio pubblico europeo, malgrado un canone tra i più bassi: elementi che ne fanno un “caso” a tutt’oggi molto lontano dall’infausto esempio di ALITALIA. Semmai il problema della RAI sta, più che nelle pieghe critiche del suo bilancio (Leone ha contestato molti degli allarmi sollevati dall’analisi del gruppo Cusani), nella mancata applicazione di alcune garanzie di sostegno al servizio pubblico, come l’obbligo di legge (non rispettato) di confermare annualmente il livello del canone con sufficiente anticipo perché l’ azienda possa avere certezza delle sue risorse in tempo utile.

Rispetto ai problemi più generali identificati da Cusani, Leone difende sopratutto le risposte a suo avviso già contenute nel Piano Industriale 2008 / 2010 e nel contestuale Piano Editoriale (tuttora in attesa di convalida da parte del CdA in carica ); nonché gli ulteriori segnali di ripresa , contenuti nel bilancio consolidato 2007 in via di approvazione.
Mettendo in evidenza la correttezza e l’ambizione degli obiettivi, anche puntuali (dalla nascita di RAI Intrattenimento alla nuova politica di RAI CINEMA), fissati nei due Piani aziendali , Leone si éè detto convinto che “questo futuro della RAI é più interessante del suo passato, anche strategicamente”. Può darsi : anche se le intenzioni e i fatti non hanno lo stesso peso specifico.

Non c’è dubbio tuttavia che le attuali difficoltà della RAI siano sopratutto di natura editoriale e di strategia tecnologica e di mercato, tutte esaltate dall’accelerazione digitale del settore; anche se rispetto a queste difficoltà non sono certo irrilevanti le contraddizioni della sua governance e l’incertezza  (nonché lo scarso dinamismo) delle sue risorse. Altrettanto, se non di più, pesa però l’ insufficiente presidio di questi settori decisivi : l’offerta editoriale e la politica tecnologica . Lo stesso Leone ha riconosciuto apertamente i ritardi accumulati dall’azienda su questi fronti negli ultimi anni: come non pensare con nostalgia alla RAI di Massimo Fichera, leader europeo e mondiale sull’Alta Definizione nei lontani e pre-digitali anni ’80?

Qualunque contrapposizione tra lo sviluppo e la crescita della RAI e quelle di tutto il settore audiovisivo, compresa la concorrenza privata e la produzione indipendente, é illusoria e fuorviante: Marco Bassetti ( ENDEMOL Italia ) ha quindi avuto ragione di rivendicare le imprese audiovisive esterne all’azienda come una leva produttiva di sistema, preziosa e insostituibile, in Italia come in tutto il mercato globale . “In un mercato che funziona, la presenza di produttori indipendenti é un dato fisiologico, e non patologico, del sistema” ed è anche – è sempre Bassetti che parla – “uno dei punti qualificanti della mission dei servizi pubblici europei”. 
Naturalmente però, se é vero che “i produttori indipendenti riescono a realizzare lo stesso prodotto con maggiore rendimento e a costi più bassi” rispetto alle strutture produttive interne alla RAI, non é indifferente per il sindacato accertare come questo avviene; e se a farne le spese non siano per caso i lavoratori . . . . .

Quando poi Bassetti evoca come success story la politica BBC sui nuovi media, massicciamente appoggiata sulle energie della produzione indipendente inglese e capace di mettere in sana concorrenza su costi e qualità la produzione interna e l’outsourcing ( vinca il migliore!!), dimentica di dirci perché un simile modello è ad oggi inimmaginabile nel servizio pubblico del nostro paese. E per quali vie e decisioni è passato il lungo (difficilissimo) percorso del mio vecchio amico Mark Thompson per arrivare a “mettere da parte” un cospicuo budget di produzione da riservare a questo coraggioso e trasparente meccanismo d’asta creativa ed economica (di questo si tratta !) .
E se la BBC, come ci ha ricordato sempre Bassetti, sottopone tutti ( ?! ) i suoi nuovi progetti di programmi ad un vaglio preventivo di public value , perché nulla di equivalente éè previsto nelle attività di studio e ricerca gestite dal Marketing RAI ? o nei complicati marchingegni escogitati dal Comitato Gentiloni / RAI sulla qualità (Contratto di Servizio 2007 / 2009 )?

Difficile sfuggire all’impressione che questi potentissimi fornitori trasversali di contenuti, quando dicono di desiderare una RAI più intelligente e proattiva , più creativa e “diversa” dagli standard commerciali della concorrenza, sanno di augurarsi (non necessariamente in malafede) qualcosa che non è esattamente dietro l’angolo.
Salvo poi , in riferimento alle quote di produzione europea imposte dalla nuova direttiva AMS dell’ UE ( erede della vecchia “Télévision Sans Frontières” ), nascondersi dietro l’interpretazione più miope e burocratica della norma, che non é certo diretta a proteggere prodotti come “Il Grande Fratello” o “L’ Isola dei Famosi”.

Franco Siddi  segretario generale della FNSI , ha condiviso sia i timori della CGIL circa la possibile debolezza dell’iniziativa RAI sul terreno dell’innovazione tecnologica e di contenuto, imposto ai broadcasters tradizionali dalla penetrazione crescente dei new media; sia la priorità di modificare radicalmente l’attuale situazione della governance aziendale, arrivando a suggerire perfino la soppressione della Commissione Parlamentare di Vigilanza, contestualmente alla nomina di un Amministratore Delegato con poteri concreti e consistenti. Ha inoltre avanzato la proposta di abolire il canone, sostituendolo con “un finanziamento dello Stato su base pluriennale ( magari prelevando una quota dell’ IVA sui prodotti multimediali ), che consenta all’azienda di programmare con certezza il proprio futuro“. Largamente d’accordo con lui l’altro giornalista intervenuto, Carlo Verna, segretario dell’USIGRAI, che ha insistito particolarmente sulle sfide tipiche e severe, che si pongono al servizio pubblico radiotelevisivo sul fronte dell’offerta informativa e culturale.

L’ex-Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, ha sostenuto, in coerenza col suo pensiero e la sua precedente azione di Governo, che la RAI deve fare i conti fino in fondo con il suo obbligo di “diversità” e con la sempre controversa ed insufficiente definizione della sua mission di servizio pubblico. Esattamente i temi su cui si è concentrato, non a caso, il negoziato tra Ministero e azienda per il Contratto di Servizio 2007 / 2009. 

Sul problema delle nomine, Gentiloni ha precisato: “Siamo interessatissimi, ovviamente, ad entrare nella scelta dei nomi per il nuovo CdA sulla base di quello che prevede la legge, e cioè che il Presidente sia deciso da maggioranza ed opposizione, con il consenso dei 2/3 dei commissari della Vigilanza. Ci avvarremo fino in fondo di questa opportunità”. Tuttavia la doppia forzatura in corso da parte del Governo, sulle frequenze televisive (per evitare il passaggio di RETE 4 sul satellite) e sul rinnovo immediato del Consiglio RAI (quindi col metodo e le regole vecchie, definite dalla legge in vigore), sconsiglia, a suo avviso, di mantenere il tema del servizio pubblico nell’agenda di un “dialogo” politico, che già si preannuncia più difficile del previsto..

La logica dei partiti continua a far male alla RAI. E certo che segnali “incredibili , come il recente dibattito “politico”, del tutto improprio, su una semplice decisone aziendale di palinsesto ( lo spostamento di collocazione della rubrica “Primo piano” su RAI TRE ), la dicono lunga sulle scarse probabilità che le forze politiche facciano il famoso “passo indietro” tanto atteso ed invocato.

Non a caso nelle sue conclusioni , il segretario confederale CGIL Fulvio Fammoni ha detto esplicitamente che, se non ci sono le condizioni – come pare – per un corretto rinnovo anche qualitativo e metodologico dei vertici aziendali, é meglio pensare a una proroga degli attuali organi di governo della RAI. 
Fammoni (che viene dalla categoria, e quindi sa di cosa parla) – dopo aver bacchettato il Governo en passant sul decreto “salva Rete 4” – ha insistito sul fatto che questo rinnovato impegno della CGIL sulla questione RAI vuol essere di lungo respiro: il sindacato tornerà molto presto sui temi di fondo evidenziati martedì mattina, affiancando, alle analisi dei bilanci e dei piani aziendali, argomentazioni (e anche proposte) organizzative e politiche, eventualmente sorrette da contributi di studio e di ricerca. 

Insomma, il vero tema di questa rinnovata iniziativa della CGIL (tutta la CGIL, e non solo il sindacato di categoria !) é proprio questa RAI migliore e più autonoma che tutti sembrano volere, o sopratutto “attendere”, con ansia più o meno sincera (e diversamente motivata). 
Ma non si capisce ancora chi , e con quali decisioni, comincerà a disegnarla, a costruirne il futuro. Purtroppo, ripeto. 
Anche perché – lo scrivevo molti anni fa in un Rapporto per la Commissione Europea ( Bruxelles, 1994 ) – “la sola impresa che non si preoccupa del futuro é quella che non ne ha” .

 

 

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