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Futuro incerto per Rai: la Slc-Cgil propone investimenti in nuove tecnologie e risorse interne. Ma Endemol non è d’accordo

Italia


L’eventuale concretizzazione di questo scenario, che può essere definito di sopravvivenza, implicherebbe un depauperamento patrimoniale dell’azienda e una conseguente minore capacità strategica di competizione sia sul fronte della concorrenza tradizionale (Tv commerciale generalista) che sul fronte dei nuovi modelli di attività dei media (nuove piattaforme e nuove tecnologie soprattutto con riguardo ad internet).

 

La prospettiva che si delinea – sottolinea la Slc-Cgil – è che anche la Rai, che costituisce un patrimonio pubblico di valore strategico oltre che storico, possa avviarsi verso un inevitabile e progressivo declino e deterioramento come già avvenuto per altre grandi aziende pubbliche del Paese.

Per evitare queste conseguenze, importante confrontarsi con un nuovo piano industriale orientato da una strategia che agisca in modo più incisivo sul fronte degli investimenti in tecnologia al fine di ricostituire i presupposti affinché l’azienda Rai possa essere sempre più competitiva e innovativa.

Ma anche puntare in maniera decisa su un processo di “internalizzazione” che valorizzi il patrimonio di risorse umane e metta l’azienda Rai nelle condizioni di produrre sempre più al suo interno, autonomamente o in co-produzione, contenuti e prodotti di qualità.

 

In tale ottica è necessario che tale nuovo piano si incentri su investimenti nelle attività di impresa a maggior potenziale sviluppo (come il mondo internet); nell’adeguamento della rete, degli impianti e dei macchinari; nella rigenerazione e valorizzazione dell’archivio storico.

Investimenti anche in risorse umane: reinserimento nell’organico effettivo dei lavoratori a tempo determinato; rinnovo contrattuale; formazione e aggiornamento professionale; miglior impiego delle risorse interne.

 

Le risorse necessarie a mettere in atto una tale strategia, per la Slc-Cgil “…possono e devono essere reperite attraverso una decisa seppur graduale riduzione dei costi operativi e in generale delle risorse impiegate all’esterno dell’azienda Rai, risorse che devono includere anche gli investimenti in produzioni esterne”.

 

Un grande patto attorno alla Rai, “nulla di consociativo o di cogestionario” un patto invece “per il rilancio della produttività aziendale; per riaffermare, a fronte del rischio di un declino, la funzione strategica della televisione pubblica”. E’ quello che suggerisce Emilio Miceli, segretario generale Slc della confederazione. Un passaggio chiave di questo patto riguarda la rinegoziazione dei rapporti con l’esterno, “costruendo un nuovo equilibrio“.

 

“Sarebbe utile – ha detto Miceli – sapere chi sono i fornitori e gli appaltatori per verificarne i comportamenti facendo una vera e propria operazione trasparenza. Sarebbe bene che il tema degli appalti e delle forniture divenisse tema centrale del contratto” e si potesse fare un accordo che fissi come vera e propria procedura “i comportamenti di fornitori ed appaltatori e consenta un controllo sociale. Vogliamo sapere se con i soldi della Rai si alimenta economia nera, se i lavoratori lavorano in condizioni di sicurezza. E vorremmo sapere alla fine se c’e’ bisogno di alcune esternalizzazioni“.

Secondo il parere di Miceli, è necessario ridurre il ricorso a terzi, e comunque “occorre rivedere la natura stessa dei rapporti, a partire dai costi ma anche dall’organizzazione delle produzioni, perché la Rai detiene professionalità in grado di gestire intere fasi di lavorazione dei prodotti, anche in presenza di fornitori esterni“.

 

Secondo il parere di Marco Bassetti, direttore generale di Endemol (la società olandese controllata da Mediaset che produce format Tv e dalla quale la Rai compra diversi prodotti, ndr), “Nessuna televisione in Europa o in America, pubblica o privata, può prescindere dal supporto della produzione esterna se vuole essere competitiva. In Italia il mercato della produzione indipendente è il più basso d’Europa: la Rai infatti ha una quota di produzione interna superiore a quella dei principali operatori europei”.

Ha ricordato che l’investimento sulla produzione indipendente di programmi di intrattenimento è di 150 milioni di euro annui, pari al 10% della spesa complessiva destinata dall’azienda a beni e servizi esterni, mentre la fiction incide sul bilancio di viale Mazzini con circa 290 milioni di euro annui. Un totale di 440 milioni di euro, “solo il 21% del totale speso nel 2006 dalla Rai per i servizi esterni“.

 

Ed è una quota ribadita – ha ricordato Bassetti – “da ben 2 leggi italiane e una direttiva europea. L’ultima Finanziaria del governo Prodi impone all’azienda pubblica di destinare una quota dei ricavi non inferiore al 15% all’acquisto di opere europee realizzate da produttori indipendenti negli ultimi 5 anni. Tradotto in numeri significa un importo di circa 470 milioni di euro annui“.

Questo significa, ha precisato Bassetti, che “dire che la produzione indipendente assorbe gran parte è quindi non solo eccessivo, ma sbagliato”.

Senza trascurare il fatto che tagliare investimenti nella produzione esterna non sarebbe solo contro la legge, ma finirebbe con l’avere ricadute negative sulla Rai, compreso un calo dei proventi pubblicitari, poiché i titoli di maggior ascolto non sarebbero più appannaggio della Rai.

 

Il direttore generale di Endemol ha quindi detto che la presenza di produttori indipendenti “è un dato fisiologico e non un dato patologico. E la Rai non deve guardare ad essi come ad un’aggressione indiretta alle proprie strutture o privatizzazione del sistema”.

Semmai la Rai è vittima di un paradosso: “Se fa televisione commerciale è accusata di non fare servizio pubblico; se fa programmi di approfondimento culturale viene accusata di lasciare campo libero a Mediaset“.

La pubblicità “serve anche per finanziare il suo ruolo di servizio pubblico”. Bassetti ha difeso la produzione indipendente, sottolineando che il motivo per cui essa è nata sta nel fatto che “riesce a realizzare lo stesso prodotto con maggiore rendimento e a costi più bassi” e il ricorso ad essa è non solo “uno dei punti qualificanti della ‘mission’ dei servizi pubblici europei”, ma anche una “risorsa strategica che contribuisce alla competitività delle emittenti”. Perchè i produttori indipendenti “portano in dote specializzazione, competenza, flessibilità e riduzione costi”.

 

Al convegno era presente anche uno dei “padri” della televisione italiana, Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai e ora presidente onorario della società di produzione Lux Vide.

Per Bernabei, c’é una insoddisfazione nella gente che guarda la Tv che genera “…inquietudine e ciclicamente nelle elezioni politiche si trasforma in voto di protesta contro questa Tv inadeguata che crea falsi modelli che non hanno corrispondenza nella realtà”.

E ha spiegato: “…Ci siamo occupati troppo del passato, troppo degli aspetti minori e il mondo del lavoro è quasi assente, quasi scomparso, nell’intrattenimento”.

A suo avviso, infatti, “…si parla solo di cose superficiali e leggere e invece la realtà non è così”. Per questo, a suo avviso “…la gente che guarda la Tv dimostra una certa insoddisfazione”.

Ma per Bernabei la cosa non va per niente sottovalutata: “In Italia si parla molto di Tv ma poi non ce occupiamo molto, mentre sarebbe doveroso farlo. Basti considerare che il 97% guarda la televisione per 3 ore al giorno per capire la rilevanza del tema”.

Per questo, secondo Bernabei, la Rai, che è un’azienda solida e ha grandi possibilità, è utile che continui a svolgere il suo ruolo di servizio pubblico. Ed è “…significativo e utile – ha aggiunto – che un grande sindacato si occupi di Tv per contribuire ad impostare questo servizio pubblico che non è solo informazione ma anche intrattenimento”.

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