Italia
Il servizio pubblico radiotelevisivo, la sua governance, i suoi conti economici, i numeri dell’organico aziendale, e naturalmente i suoi palinsesti e i suoi contenuti, sono quanto mai al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, con il corredo abituale delle polemiche che da sempre alimentano il dibattito sul tema Rai.
Quali saranno i destini del servizio pubblico, se e come si arriverà ad una nuova legge organica che riscriva gli assetti azionari e di governance della società, se si consumerà davvero l’allentamento dei legami tra l’azienda e i partiti, se c’è un futuro – almeno nelle sue grandi linee – per il ddl di riforma elaborato nella precedente legislatura, tutto questo lo deciderà naturalmente il legislatore.
Ci sono però diverse questioni (la piena attuazione del contratto di servizio, la qualità dell’offerta, la destinazione delle risorse disponibili) su cui l’azienda potrebbe decidere in parte da sé, facendo leva con determinazione sulla valorizzazione dei propri asset (professionalità, esperienza, radicamento), e per quanto possibile a prescindere dai condizionamenti esogeni.
Condizione perché ciò avvenga, è in primo luogo la solidità dei conti aziendali. Il fatto che l’esercizio 2007 si sia chiuso in sostanziale pareggio, rispetto agli 80 milioni di perdite dell’anno passato, è già una buona notizia. Si tratta di un risultato che però deriva assai più dal contenimento della spesa, dopo anni di progressiva espansione, che non dall’aumento dei ricavi, cresciuti solo del 2,4% nel complesso, ma con squilibri evidenti al proprio interno (i ricavi pubblicitarie, ad esempio, segnano il passo, con un +0,3%). Ma proprio sul fronte dei ricavi, il bilancio 2007 evidenzia un piccolo segnale su cui vale la pena riflettere. E’ dal canone che sono arrivate infatti le notizie più confortanti, con un +80 milioni, certamente in larga misura attribuibili all’aumento di 4,60 euro deciso nel 2007, dopo due anni di stop, ma anche – ed è questo il punto su cui si vuole riflettere – grazie al recupero di 115mila abbonati.
Centoquindici mila nuovi abbonati, che fanno crescere il parco utenti da 15,8 a 15,9 milioni, sono poco più che una goccia nel mare. E tuttavia è significativo che il valore di questa goccia sia stato piuttosto enfatizzato dai vertici aziendali, che hanno inteso evidentemente sottolineare l’importanza di questo pur piccolo segnale. Segno che l’azienda continua, giustamente, ad essere particolarmente sensibile al tema dell’evasione del canone, a dispetto di un perdurante contesto di rassegnazione che da molti anni induce a ritenere sostanzialmente fisiologico tale diffuso fenomeno.
Da anni si rincorrono tante proposte per arginare il fenomeno dell’evasione del canone. Una, particolarmente in voga, presuppone l’aggancio del canone tv alla bolletta elettrica. Ma al di là della natura e della fattibilità tecnica di questa o quella misura, importa sottolineare la forte attenzione al problema e la ricerca continua delle possibili soluzioni.
Ciò che probabilmente serve, in materia, è un radicale rovesciamento di ottica e di comportamenti. Inseguire gli evasori, attraverso improbabili visite domiciliari ed altrettanto improbabili ispettori, nei riguardi dei quali la casistica degli escamotage elusivi è lunga come l’elenco delle barzellette sui carabinieri, serve a poco. Molto meglio creare le premesse perché, nell’arco di quattro-cinque anni, il problema si superi da sé, rendendo naturale ed inevitabile l’abbonamento al servizio pubblico. Come?
Ecco una proposta di cui discuto da tempo, in varie sedi e con vari interlocutori, da ultimo ad un Seminario ISIMM sul tema del finanziamento del servizio pubblico, i cui atti sono in fase di pubblicazione, alla presenza del presidente Petruccioli e del consigliere Petroni.
L’idea è quella di perseguire obiettivi di fidelizzazione dell’abbonato Rai attraverso le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, sulla scia di un interesse già vivo in azienda, già oggi in grado di offrire contenuti dedicati sulle piattaforme satellitari e IPTV. In pratica, con un investimento modesto, si potrebbero dotare tutti gli abbonati al servizio pubblico di una smart card, compatibile con i decoder sul mercato, necessaria per vedere i programmi Rai irradiati via etere terrestre in tecnica digitale ed altresì in grado di far vedere, solo ad essi, un’offerta gratuita di contenuti dedicati, inizialmente estraibili ed assemblabili dalle sterminate teche Rai, in prospettiva anche con una offerta nuova e specifica per il digitale.
Questa ipotesi presenta numerosi vantaggi:
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diverrebbe il modo prevalente per guardare i programmi Rai nelle aree regionali in cui si è compiuto lo switch-off digitale, risolvendo in buona misura il problema del pagamento del canone (in digitale terrestre vede i programmi Rai solo chi ha pagato il canone);
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consoliderebbe la strategia di fidelizzazione degli abbonati, in parte già avviata dall’azienda, conferendo all’utente Rai una specifica identità, con qualche opportunità aggiuntiva in termini di disponibilità di contenuti rispetto a chi evade il canone;
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potrebbe incoraggiare in tal modo una parte della platea degli evasori a riemergere dall’ombra;
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potrebbe in tal senso anche funzionare da ulteriore acceleratore della fase di transizione al DTT (se la Rai offre ai propri abbonati qualcosa di più sul digitale terrestre qualcuno potrebbe essere incoraggiato ad anticipare lo “switch-off familiare“);
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creerebbe le premesse filosofiche e le condizioni tecniche di base per la costruzione di offerte pay in digitale terrestre sui multiplex RAI non di servizio pubblico;
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consentirebbe di perseguire più efficacemente gli obiettivi di servizio universale: ovvero fornire via satellite e/o via cavo, attraverso una piattaforma aperta, l’intera programmazione RAI (in applicazione, peraltro, dell’articolo 31 del contratto di servizio);
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in prospettiva, infine, all’indomani dello switch-off analogico/digitale previsto entro il 2012, la Rai sarebbe pronta a consegnare a tutti i propri abbonati la card per vedere la tv di servizio pubblico in tecnologia digitale terrestre, con le conseguenze che ne derivano in termini di inevitabilità del pagamento del canone;
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peraltro, tale ultima soluzione potrebbe essere accompagnata da accordi con gli operatori che offrono contenuti televisivi a pagamento su altre piattaforme, con l’obiettivo di condividere soluzioni tecniche che consentano agli abbonati Rai la visione gratuita di tutta la programmazione di servizio pubblico, anche sulle altre piattaforme trasmissive, in attuazione di quanto previsto al riguardo dall’articolo 26 del contratto di servizio.
Naturalmente è necessario dettagliare meglio la cosa, in particolare sotto il profilo tecnico, ad esempio per quanto riguarda le tecniche di codifica del segnale e gli apparati di ricezione, allo stato fondati su sistemi proprietari, e poi anche sotto il profilo dei costi. Sicuramente ci sono difficoltà da superare e criticità che la proposta formulata non ha adeguatamente messo a fuoco. Tuttavia ritengo valga la pena continuare a discuterne e, se necessario, ad aggiustare il tiro.
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