Italia
Il finanziamento attraverso il canone del servizio pubblico radiotelevisivo – afferma Matteo Maggiore della BBC – si fonda essenzialmente su tre cardini: il perdurante bisogno di investimento in contenuti nazionali; la possibilità di offrire programmi innovativi e di qualità (compresa l’informazione indipendente); e, più in generale, il ruolo specifico del servizio pubblico nell’assicurare il più ampio accesso ai programmi su tutte le piattaforme disponibili.
Poiché il caso Rai è completamente al di fuori di tali logiche, il Consiglio Nazionale degli Utenti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha avviato un’indagine mirata a verificare, almeno, le modalità di utilizzo – da parte della concessionaria – delle risorse che le derivano dal canone di abbonamento. A tal fine ha richiesto ed ottenuto dall’Agcom la documentazione relativa alla contabilità separata che la Rai deve redigere in base a precise norme di legge e delibere della stessa Autorità, che impongono di separare nettamente quanto prodotto con i proventi del canone e quanto prodotto con gli introiti pubblicitari.
L’Autorità, tuttavia, ha affermato di non detenere stabilmente le relazioni annuali in materia di contabilità che dovrebbero essere allegate al bilancio Rai e validate dalla società incaricata del relativo controllo. Agcom, inoltre, non sarebbe nemmeno in grado di risalire a quali trasmissioni vengono effettivamente finanziate dal canone, né se le risorse pubbliche vengono utilizzate, ad esempio, per pagare le numerose sanzioni inflitte alla Rai dalla stessa Autorità per una serie di violazioni.
A questo punto, sarebbe auspicabile che la Rai fornisse spontaneamente un’informazione completa ai cittadini che pagano il canone (anche perchè “non si può chiedere ai cittadini di finanziare con il canone unicamente la soluzione alla minaccia di monopolio”), circa le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche.
Ma non sembra che la Rai abbia tutta questa voglia di trasparenza, né che le varie Istituzioni preposte alla vigilanza – Ministero delle Comunicazioni, Commissione Parlamentare di Vigilanza, Agcom – abbiano l’intenzione di chiederla.
Come riporta Key4biz (Leggi articolo), la Rai cerca con ogni mezzo – effettuando anche pressioni psicologiche al limite del lecito – di recuperare quel 25% di utenti che evade la tassa più odiata dagli italiani.
Sono personalmente convinto che se fosse reso pubblico il modo con cui la concessionaria utilizza le risorse che le pervengono dal canone, l’evasione sarebbe assai più ridotta, se non quasi azzerata.
E’ ovvio, infine, che se dovesse emergere che il canone è utilizzato dalla Rai anche per produrre trasmissioni di carattere commerciale e/o non riconducibili al servizio pubblico, gli abbonati potrebbero richiedere – tramite una class action sostenuta dalle associazioni dei consumatori – il rimborso della quota parte mal utilizzata.