Stati Uniti
“Shrinkage“, è questo il termine con il quale gli analisti americani indicano il processo che sta vivendo il mercato dei media. Le aziende che hanno subito queste effetto si sono “ristrette e ridimensionate”. Nonostante l’invito agli investitori alla “tranquillità”, spiegando questi “cambiamenti” come legati a un quadro economico in crisi, per gli osservatori si tratta di molto di più.
Un’approfondita indagine, condotta dal Media Post sull’andamento dei grandi gruppi media americani tra il 2003 e il 2007, rileva che non è colpa della recessione: i gruppi del settore sono destinati a diventare più piccoli e a restare così.
Non si tratta, quindi, di un fenomeno passeggero. Time Warner, per esempio, ha perso almeno tre quarti del suo valore dopo la fusione con l’Isp America Online (Aol) nel 2000 con lo scoppio della bolla speculativa.
All’epoca le due compagnie avevano un’enterprise value combinata di 280 miliardi di dollari, ristrettasi oggi a 52 miliardi.
La crisi di Time Warner ha toccato diversi asset. Le entrate di Aol sono scese del 40%, da 8,8 miliardi di dollari nel 2003 a 5,2 miliardi nel 2007 (anche se nello stesso tempo le vendite di spazi pubblicitari sono aumentate, gli abbonamenti sono crollati). Le entrate della Time Inc. sono scese nello stesso periodo del 9%.
La Cbs, parte della Viacom, ha visto il suo valore scendere da 21 miliardi nel 2003 a 15,5 miliardi nel 2007 e anche le entrate pubblicitarie sono diminuite. Soffre in particolare l’attività di Cbs Radio (le entrate sono scese del 17% dal 2003 a oggi). La crisi investe altre aziende della radio: Clear Channel Radio, leader del settore, dal 2006-2007 non registra segnali di crescita.
Ma a soffrire maggiormente questa crisi, è l’editoria. Dal 2003 al 2008, il New York Times ha visto la sua capitalizzazione di mercato passare da 6,4 a 2,74 miliardi di dollari. Sono stati licenziati oltre 2.000 dipendenti, circa il 16% del totale. Nello stesso periodo, le entrate totali sono rimaste pressoché piatte, ma i costi sono saliti. Ma si pensi anche a Dow Jones costretto a vendere il Wall Street Journal a Rupert Murdoch.
Anche la Tribune ha i suoi problemi. Prima della vendita a Sam Zell per 8,2 miliardi, la capitalizzazione del gruppo era scesa da 5,8 miliardi nel 2003 a 3,9 miliardi nel 2007. Erano stati licenziati anche 4.000 dipendenti, pari al 17% del totale. Ugualmente, la Gannett ha visto ridurre la capitalizzazione di mercato da 17 miliardi nel 2003 a 6,9 miliardi nel 2007 e ha mandato a casa ben 7.000 persone, il 13% del suo staff.
Pare, però, che questo “shrinkage” non riguardi proprio tutte le aziende media. Le web company sembrano estranee al fenomeno: Google è riuscita a far crescere le entrate di dieci volte, da 1,5 miliardi di dollari nel 2003 a 16,6 miliardi nel 2007, e Yahoo! le ha moltiplicate per tre, da 1,6 miliardi a 5,1 miliardi, nello stesso periodo. La Disney, proprietaria di Abc e Espn, ha visto aumentare le entrate di entrambe le divisioni e la sua capitalizzazione di mercato è salita da 37,3 a 59,7 miliardi di dollari tra il 2003 e il 2008. (r.n.)