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Il fenomeno del cybersquatting – che consiste nel registrare nomi a dominio corrispondenti a nomi o marchi famosi non ancora registrati dai rispettivi aventi diritto, ai quali poi vengono venduti per somme altissime – è cresciuto in maniera esponenziale nel corso degli ultimi anni.
Lo denuncia l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI), secondo la quale stanno emergendo diverse problematiche relative, ad esempio, all’utilizzo di software per la registrazione dei nomi di dominio scaduti, allo ‘stoccaggio’ di questi ultimi su siti a pagamento, alla possibilità di registrare gratuitamente nomi di dominio per ‘provarli’ per 5 giorni, alla proliferazione di nuovi registrar e all’introduzione di nuovi domini generici di primo livello (gTLD).
Aggiunte alle altre, queste novità non fanno che moltiplicare la possibilità di registrare nomi di dominio ‘in massa’, spesso nell’anonimato, senza che i diritti di proprietà intellettuale siano presi in minima considerazione, rischiando di trasformare il sistema dei nomi di dominio in un mercato soggetto a speculazioni di diversa natura.
La Corte di arbitraggio e mediazione dell’OMPI ha ricevuto lo scorso anno un numero record di segnalazioni relative a pratiche di cybersquatting, 2.156 per essere precisi, pari a una crescita del 50% rispetto ai livelli del 2005 e del 18% rispetto al 2006.
Un quarto di tutti i casi, ha spiegato l’OMPI, sono stati risolti senza l’intervento del panel. Nell’85% delle restanti dispute, l’OMPI ha ordinato che il dominio in questione fosse trasferito agli aventi diritto e solo nel 15% dei casi i ricorsi sono stati respinti lasciando i domini nelle mani di chi li aveva registrati abusivamente.
Dal 1999 – anno in cui è stata lanciata la Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy (UDRP) – i reclami sono stati 12.334, a copertura di 22 mila nomi di dominio e hanno interessato 100 Paesi – Francia Stati uniti e Gran Bretagna in particolare.
Da quando è diventato possibile registrare nomi di dominio con caratteri non latini, per esempio con caratteri arabi, cinesi, cirillici o coreani – ha aggiunto l’OMPI – l’organizzazione ha registrato circa un centinaio di ricorsi e, con lo sviluppo delle connessioni broadband e dell’ecommerce si attende negli anni a venire, un aumento dei ricorsi di questo tipo.
Le categorie più bersagliate sono – non a sorpresa – le case farmaceutiche, le banche, l’intrattenimento e l’IT.
Secondo Francis Gurry, vicedirettore generale dell’OMPI, “la velocità con cui i nomi di dominio cambiano di mano e la difficoltà di tracciare queste registrazioni di massa mettono i proprietari dei marchi di fronte alla sfida di riuscire a braccare i cybersquatter”.
Con i nomi di dominio trasformati in bersagli mobili per i detentori dei diritti, ha aggiunto Gurry, “bisognerebbe prendere in seria considerazione la messa a punto di misure di protezione più concrete”.
Secondo Gurry, infatti, non si tratta soltanto di proteggere i detentori dei diritti, in quanto la questione del cybersquatting riguarda anche l’affidabilità del sistema di assegnazione degli indirizzi internet.
È essenziale dunque un intervento in merito dell’Icann, l’ente che si occupa della gestione dei nomi di dominio.
L’OMPI è un’organizzazione intergovernativa con sede a Ginevra, che dal 1974 ha lo statuto di istituzione specializzata del sistema delle Nazioni Unite. Lo scopo dell’organizzazione è quello di promuovere la tutela della proprietà intellettuale in tutto il mondo attraverso la cooperazione degli Stati, in collaborazione con qualsiasi altra organizzazione internazionale e di assicurare la cooperazione amministrativa tra le associazioni di proprietà intellettuale.