DDL Gentiloni: occasione perduta o bersaglio mancato?

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L’articolo che segue, a firma di Augusto Preta, è tratto da la-rete.net (www.la-rete.net), il nuovo sito che intende sostenere il dibattito sulla società dell’informazione in Italia.

 

La presenza di un effetto reddito è un fenomeno ben noto in economia. In particolare, nel corso del XIX secolo, analizzando le dinamiche di mercato di beni essenziali come il pane e le patate, un economista scozzese notò come all’aumentare del prezzo il loro consumo cresceva anziché diminuire, a scapito di beni più pregiati e costosi quali ad esempio la carne. Questo fenomeno, che prende il nome di paradosso di Giffen, dal suo autore, rappresenta un’eccezione alla regola dell’elasticità della domanda al prezzo e anche per questa ragione i beni oggetto del paradosso di Giffen vengono definiti beni di Giffen. Si tratta di beni considerati generalmente come prodotti di qualità inferiore rispetto ai beni di lusso e in essi prevale l’effetto reddito in luogo del normale effetto sostituzione.

 

Più di recente anche il telefono e la televisione sembrano aver acquisito queste caratteristiche. Come nel XIX secolo, infatti, la classe operaia alle prese con grandi problemi di sostentamento, aveva immediati bisogni materiali come il cibo e il riscaldamento, così nelle società avanzate del XXI secolo i bisogni primari di comunicazione vengono soddisfatti da beni basilari come la fonia fissa e la televisione. Queste forme di servizio universale vengono soddisfatte da un budget che più o meno consapevolmente viene allocato dal singolo utente. In definitiva, nel XIX secolo come oggi, il costo del bene primario (pane, fonia fissa, televisione in chiaro), condiziona il consumo del bene di lusso (carne, telefonia mobile, tv a pagamento), determinando un effetto reddito, secondo lo schema di Giffen, e tutte le apparentemente paradossali conseguenze che da esso discendono.

Alcuni studi dimostrano infatti il grande declino nei costi e nel numero delle chiamate da fisso a fisso, mentre le chiamate da mobile mostrano il minor declino nei costi e il tasso di crescita più alto in volume e spesa. Ne discende, in prospettiva, che con lo sviluppo del VOIP (Voice-Over-IP) mentre il costo delle chiamate tenderà a zero si determineranno ulteriori disponibilità di spesa nei confronti del mobile. In altri termini una riduzione dei costi del bene primario favorirà sempre di più l’utilizzo più ampio del bene di lusso, rappresentato dal mobile.

 

Queste conclusioni contrastano con i tradizionali interventi in materia di pluralismo e concorrenza nel sistema radio-TV, improntati invece su una logica di tipo quantitativo – definizione di una soglia che determina la dominanza e che viene valutata ex ante –  e che poggiano sul criterio di sostituibilità. Ne è un esempio, tra gli altri, il disegno di legge Gentiloni sul riassetto televisivo, destinato ormai a essere abbandonato, in cui l’intervento veniva giustificato con l’obiettivo di rompere l’assetto oligopolistico del sistema, con una concentrazione di risorse economiche, tecniche e di audience senza paragoni in Europa in capo ai due maggiori broadcasters, come esplicitamente affermato nella Relazione Illustrativa che accompagna il disegno di legge. In particolare, nel settore della pubblicità televisiva, le misure proposte agli art. 2 e 3 avevano come obiettivo la riduzione della posizione dominante, attraverso il trasferimento di una rete dall’analogico al digitale e una riduzione della quota di affollamento orario concessa all’operatore che detenga almeno il 45% del mercato (vedi Progetto di Legge 1825, Disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale, Articolo 2 – Limiti alla raccolta pubblicitaria nel settore televisivo ed altre misure a tutela della concorrenza e del pluralismo nella fase di transizione al digitale).

 

Sulla base dell’analisi dei mercati rilevanti, appare evidente in primo luogo la scarsa sostituibilità tra beni e prodotti ritenuti generalmente sostituti. In particolare, nel mercato della pubblicità televisiva insistono tre tipologie di offerta: TV generalista in chiaro; canali tematici; TV locali. L’esistenza di mercati distinti o di un unico mercato è peraltro dipendente dal loro grado di sostituibilità. In questo caso – mercato a due versanti –  pur se i comportamenti di un agente influenzano quelli dell’altro, rivolti tutti all’acquisizione di quote di audience, il grado di sostituibilità appare ridotto e in ogni caso analogo a quello proveniente da altri agenti.  È evidente, infatti, come in entrambi i versanti del mercato, la pressione competitiva sul segmento generalista proveniente dai canali tematici non sia superiore a quella di mercati sin qui riconosciuti come distinti:

 

  • dai media “esterni”, come ad esempio la radio, la stampa e internet;

  • dalla pay TV.

Ciò riduce l’efficacia dell’intervento ai canali generalisti esistenti o nuovi entranti (la creazione del cosiddetto terzo polo). Quindi non è sostenibile alcun automatismo nel trasferimento di risorse in presenza di mercati distinti. Ne consegue che il prevalere dell’effetto reddito su quella sostituzione può dar luogo a conseguenze apparentemente paradossali, determinate dai Giffen goods.

Un esempio significativo è dato dall’analisi dell’andamento del mercato radiofonico in presenza di un aumento di prezzo del mercato televisivo. Infatti, sulla base dei dati che emergono da un recente studio presentato al convegno Audiradio del 2007, si determinano le seguenti dinamiche sulla domanda:

   

Prezzo TV                      Quantità Radio

+ 5%                                     -0,3%

+10%                                     -0,9%

+15%                                     -1,3%

 

L’incremento di prezzo della TV determina dunque una contrazione del fatturato Radio, dimostrando:

 

  • l’effetto reddito prevale su quello sostituzione; 

  • essendo la quantità domandata nei Giffen goods una funzione inversa del reddito, un aumento del prezzo della pubblicità TV aumenterà dunque la domanda della stessa, riducendo quella relativa agli altri mezzi (nella fattispecie i grandi utenti pubblicitari, che di fatto rappresentano il 70% del mercato complessivo).

 

Ne discende pertanto come lo shock determinato da esternalità negative – l’intervento legislativo del DDL Gentiloni – avrebbe potuto intaccare solo marginalmente il potere di mercato dei soggetti la cui dominanza si voleva all’opposto limitare.

In effetti, a fronte della perdita di una rete analogica (trasferimento sul digitale) per Mediaset e Rai, e dell’equiparazione delle telepromozioni agli spot (solo per Mediaset), i comportamenti dei due operatori sarebbero stati i seguenti:

 

*    aumento dell’attrattività dell’offerta dei due canali analogici, con trasferimento dei migliori programmi del canale digitalizzato, in modo da recuperare con l’aumento degli ascolti dei due canali analogici le perdite derivanti dal passaggio di una rete al digitale;

*    interventi sul prezzo per ridurre le perdite da telepromozioni

 

Le conclusioni dello studio di ITMedia Consulting dello scorso gennaio mettono in evidenza la natura di Giffen good del mercato e producono i seguenti risultati:

 

Pubblicità TV: le quote di mercato

 

% Ricavi pre- interventi

% Ricavi post interventi

Mediaset

59,2%

57,2%

Rai

25,8%

26,9%

Sky Italia

5,4%

5,7%

TIMedia

4,4%

4,9%

Altre TV

5,3%

5,3%

 

 

La conclusione è che il mercato della pubblicità televisiva sarebbe rimasto sostanzialmente invariato, con i due market leader che avrebbero continuato a mantenere le loro quote di mercato.

In più, ciò non avrebbe aperto la strada all’ingresso di nuovi entranti (il cd terzo polo TV) e, per tutte le ragioni esposte in questo paper, le residue risorse liberate quasi sicuramente non sarebbero confluite verso i media concorrenti, a cominciare dalla stampa, che anzi sarebbe risultata più indebolita in termini di risorse complessive. E’ questa una conseguenza diretta della pubblicità TV come Giffen good e l’ulteriore paradosso di un paradosso, a mio avviso, non correttamente considerato.

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