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Sarà Oscar Cicchetti il responsabile ad interim della divisione ‘Domestic Fixed Services’ di Telecom Italia, dopo le dimissioni di Massimo Castelli dalla carica di direttore generale. Castelli lascerà il gruppo il prossimo 31 maggio, mentre Cicchetti sarà coadiuvato nelle sue funzioni direttive da Pietro Labriola.
Nella giornata di tensione seguita al tracollo in Borsa di venerdì, quando il gruppo ha comunicato alla comunità finanziaria il piano industriale per i prossimi tre anni – la flessione è stata del 9%, a 1,444 euro, sui minimi dal 1998 – il management ha comunque difeso a spada tratta la società e il nuovo corso intrapreso verso, si spera, il risanamento.
Per raggiungere questo importante obiettivo c’è bisogno, secondo il presidente Gabriele Galateri, di “calma e serenità”.
A dispetto dell’Ad Franco Bernabè, secondo cui Telecom Italia è stata “spolpata” dalla precedente gestione, la società è infatti “solida e con prospettive interessanti” e raggiungerà gli obiettivi prefissati – riduzione dell’indebitamento e aumento dei ricavi – con “mezzi propri”, anche se non in maniera “clamorosa”.
Il piano industriale – che prevede ricavi in crescita tra l’1% e il 2% per il 2009-2010, rispetto ai 31 miliardi stimati per quest’anno – nonostante l’accoglienza disastrosa dei mercati, “è una solida base su cui costruire un futuro solido”, ha continuato Galateri, fiducioso che il lavoro intrapreso darà i “risultati previsti e magari qualcosa di meglio se ci sarà un ciclo economico più favorevole”.
La tesi di un’eccessiva rigidità dei mercati rispetto alle strategie Telecom è sostenuta anche da Tommaso Pompei, ex amministratore delegato di Tiscali e Wind, che ha definito il piano di Bernabè come “un sano bagno di realismo” incentrato su “servizi, infrastrutture e sviluppi”.
“Le aziende non si gestiscono con i giochi pirotecnici ma attraverso una gestione corretta e oculata”, ha spiegato Pompei, dicendosi convinto che dopo qualche altro giorno di ribassi, il titolo si stabilizzerà e “…man mano che i risultati cominceranno a venire, verrà apprezzato il vero valore di Telecom”.
E anche la stampa estera dà ragione al management, che tenta di traghettare il gruppo nell’era post Tronchetti in maniera sobria e realista.
Il Financial Times, ad esempio, definisce “crudele” la reazione della Borsa proprio nel momento in cui la “struttura proprietaria ha cominciato a mostrarsi vagamente sensata”.
Come ha riconosciuto lo stesso Bernabè, anche il Financial Times non crede nei miracoli: “…non esistono soluzioni facili”, soprattutto quando “le munizioni di sono al minimo, il debito è troppo elevato e non si possono emettere azioni senza diluire il controllo da parte degli azionisti”.
Se il gruppo avrebbe dovuto eliminare completamente il dividendo e non limitarsi a tagliarlo generosamente, è stato comunque innescato un cammino virtuoso, che può essere proseguito seguendo diverse strade: per il quotidiano della City, Telecom dovrebbe seguire l’esempio di colossi europei come France Telecom e Deutsche Telekom, i quali – pur “sindacalizzati e sensibili alla politica” – hanno dato ampie sforbiciate al personale e ora “sono in grado di apprezzare i benefici di una ristrutturazione della forza lavoro”.
Bernabè, secondo FT, deve inoltre sgombrare il terreno politico e aprire la strada a un’acquisizione completa da parte di Telefonica. Ipotesi che resta “il destino più probabile” per la società italiana.
Il Wall Street Journal nota innanzitutto la ‘saggezza’ di Bernabè nell’aver portato a galla e con chiarezza “tutti i mali” del gruppo, facendo pulizia nei conti e distinguendosi dal suo predecessore, che ha distribuito dividendi “a piene mani” lasciando la società con un debito tre volte superiore agli utili 2007 e a un livello “quasi doppio rispetto alle altre rivali europee”.