Banda larga: l’Italia arranca rispetto all’Europa. Per Ecta ‘Abbiamo le regole migliori ma non le applichiamo’

di Alessandra Talarico |

Europa


Banda larga

La banda larga viaggia veloce in Europa, ma non in Italia. Lo rivela l’ultimo rapporto Ecta – l’associazione europea che riunisce gli operatori tlc alternativi, tra cui Fastweb, Tiscali e Wind – secondo cui in Italia la diffusione della banda larga è al 16,5% (pari a 7,38 milioni di linee DSL) contro una media Ue del 19,8%.

Un dato che ci pone in coda alla classifica dell’Europa a 15: dopo di noi solo Portogallo e Grecia. In quest’ultimo Paese, però, la crescita registrata tra settembre 2006 e settembre 2007 si è attestata al 45%, nel nostro Paese si è fermata al 3% contro il 9% della Francia e l’8% di Spagna e Gran Bretagna.

 

Peggio di noi, se questo può consolare, ha fatto la Germania, la cui crescita è dell’1%.

Ad accomunare noi e i tedeschi, la forza degli ex monopolisti: Telecom Italia controlla attualmente ancora il 64% del mercato: certo qualcosa in meno del 70% dello scorso anno, ma è ancora la percentuale più alta in Europa se si escludono Cipro e Lussemburgo e fa ancora più specie se si pensa che l’incumbent britannico BT controlla il 26% del mercato, quello francese il 47%.

Deutsche Telekom è invece avvantaggiata da una politica ultraprotezionista sulle reti NGN che è costata al Paese il deferimento dinnanzi alla corte di Giustizia europea, ma è anche da dire che la quota di mercato dell’ex monopolista tedesco è al 52%.

 

L’Italia, ha spiegato il presidente Ecta Innocenzo Genna, paga lo scotto sia delle pratiche anticoncorrenziali dell’operatore storico – che ha fin qui utilizzato mezzi palesemente scorretti non tanto per estendere il servizio agli utenti ancora tagliati fuori, quanto per recuperare i clienti passati alla concorrenza – sia di una regolamentazione che, pur essendo tra le migliori d’Europa, non riesce a scalfire lo strapotere dell’operatore dominante nè l’impatto negativo sulla concorrenza delle sue pratiche commerciali.

 

“Per quanto la normativa italiana sia in astratto tra le migliori in Europa – ha sottolineato ancora Genna – l’Agcom non è tuttora dotata di procedure e sistemi sanzionatori tali da indurre concretamente Telecom Italia a rispettare le norme diligentemente e per tempo”.

Come dire: le sanzioni inique e la durata enorme dei procedimenti non costituiscono un deterrente sufficiente.

Telecom Italia, che continua di fatto a godere dei vantaggi derivanti dalla sua posizione dominante e a sfruttarli in maniera troppo poco corretta, ha presentato nelle scorse settimane una serie di impegni da mettere in atto per far decadere le accuse di concorrenza sleale emerse nell’istruttoria avviata lo scorso ottobre dall’antitrust. Ma da qui alla messa in atto degli impegni si presuppone ne passerà acqua sotto i ponti.

 

Un quadro allarmante per il nostro Paese, che non solo versa in una posizione di svantaggio rispetto al resto d’Europa, ma non è neanche in grado di mostrare segni di ripresa.

 

Certo, la nuova gestione della società apre spiragli di ottimismo, ma è ancora tutto da vedere se e in che modo la nuova divisione Open Access garantirà un accesso paritario e leale alla rete o è soltanto nuovo fumo negli occhi di Autorità e clienti.

 

La semplice enunciazione di regole e buoni propositi infatti, da sola non basta, bisogna passare dalla teoria alla pratica in maniera seria e concreta: Genna ha infatti ricordato che – come ha più volte denunciato anche il Commissario Ue Viviane Reding – “Telecom è stata condannata per ben dodici volte dal 1995 allo scorso anno per comportamenti anticoncorrenziali. Vuol dire, di fatto, una condanna l’anno. Senza che questo abbia cambiato il suo modo di agire e il suo modo di rapportarsi alle regole. Insomma, abbiamo le regole migliori d’Europa ma non le applichiamo”.

 

Sottolinea ancora l’Ecta che se da un lato sono cresciuti i collegamenti in fibra ottica, arrivati a quota 265 mila (10 mila in più rispetto all’ultima rilevazione), e restiamo il Paese con il maggior numero di collegamenti a banda larga satellitare (scelti soprattutto per la mancanza di alternative) languono nel nostro Paese i collegamenti in unbundling.

Diversi studi hanno dimostrato che i mercati più competitivi, dove le linee in unbundling rappresentano la maggior parte delle connessioni, sono anche quelli dove la banda larga è più diffusa e gli investimenti sono ai livelli più alti, e il nostro Paese, ovviamente, non è tra questi.

 

La Gran Bretagna da gennaio 2006 al luglio 2007, ad esempio, è passata da 500 mila accessi a 4 milioni.

“La possibilità di scelta per un operatore o per un altro – ha spiegato infine Genna – dipende da quanto i regolatori hanno dato libertà d’accesso all’ultimo miglio. L’alternativa che abbiamo oggi tra più operatori può finire in futuro, se il mercato non è mantenuto aperto e competitivo”.

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