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L’Atto di indirizzo sulle modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni radiotelevisive riguarda “tutti i programmi che presentano le criticità nell’atto considerate“. Il chiarimento arriva direttamente da fonti dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni.
Non corrisponde, dunque, alla “portata generale” dell’atto la versione – circolata in questi giorni – secondo la quale l’indirizzo riguarderebbe solo alcuni programmi.
L’Atto è stato approvato dalla commissione Prodotti e Servizi dell’Agcom il 31 gennaio scorso – relatori i commissari Giancarlo Innocenzi Botti e Michele Lauria -, inviato alla Commissione di Vigilanza Rai e pubblicato ieri sul sito dell’Autorità.
Destinato a tutte le emittenti, pubbliche e private, nazionali e locali, e ai fornitori di contenuti su frequenze terrestri, via satellite e via cavo, l’Atto punta all’elaborazione di un Codice di autoregolamentazione che ne attui i principi.
La parola passa, quindi, all’autodisciplina delle parti, che si riuniranno attorno a un Tavolo, con la partecipazione dell’Ordine dei giornalisti e delle organizzazioni di categoria. La prima riunione è fissata per il prossimo 25 febbraio.
Ferme restando “…la garanzia della libertà d’informazione e del pluralismo“, nonché “…la salvaguardia della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o comunicare informazioni”, l’Atto di indirizzo sottolinea che Tv e fornitori di contenuti sono tenuti a garantire il rispetto dei principi di “…obiettività, completezza, lealtà e imparzialità dell’informazione, rispetto delle libertà e dei diritti individuali, e in particolare della dignità della persona e della tutela dei minori, in tutte le trasmissioni che hanno ad oggetto la rappresentazione di vicende e fatti costituenti materia di procedimenti giudiziari in corso, quale che sia la fase in cui gli stessi si trovino”.
L’Autorità specifica alcune guidelines. In primo luogo, “…va evitata un’esposizione mediatica sproporzionata, eccessiva e/o artificiosamente suggestiva” delle vicende giudiziarie: no, dunque, ai ‘processi mediatici‘ che, puntando a “incremento di audience“, rendono “difficile al telespettatore l’appropriata comprensione della vicenda” o rischiano di ledere i diritti individuali e le garanzie del ‘giusto processo’.
E gli esempi più noti portati in Tv sono quelli che vanno dalla vicenda di Cogne a quella di Perugia, all’ultima in ordine di tempo, vale a dire il processo ai coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi per la strage di Erba.
In secondo luogo, “fermo restando il diritto di cronaca”, l’informazione deve mettere in luce “la valenza centrale del processo, celebrato nella sede sua propria, quale luogo deputato alla ricerca e all’accertamento della “verità“, evitando quindi che “una misura cautelare o una comunicazione di ‘garanzia’ possano rivestire presso l’opinione pubblica un significato e una concludenza che per legge non hanno”.
La cronaca giudiziaria “…deve sempre rispettare i principi di obiettività, completezza, correttezza e imparzialità dell’informazione e di tutela della dignità umana, evitando tra l’altro di trasformare il dolore privato in uno spettacolo pubblico” e rifuggendo da forme di “‘divizzazione'” dell’indagato, dell’imputato o di altri soggetti del processo”. Una tutela che va “rafforzata quando sono coinvolti minori”.
Fatta salva la facoltà di sviluppare dibattiti tra soggetti non coinvolti nel processo, nel rispetto dei principi del contraddittorio, “vanno evitate le manipolazioni tese a rappresentare una realtà virtuale del processo tale da ingenerare suggestione o confusione nel telespettatore”.
Quando, infine, la trasmissione coinvolge i diritti della persona, l’informazione “…deve svolgersi in aderenza a principi di ‘proporzionalità'”, dando alle analisi “…uno spazio equilibratamente commisurato alla presenza e all’entità dell’interesse pubblico leso” e alle indicazioni in quel momento disponibili sulla verità dei fatti.