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Mentre anche in Italia si moltiplicano le segnalazioni degli utenti su come alcuni gestori telefonici stiano bloccando l’accesso ad alcuni protocolli Internet, come ad esempio il Peer-to-Peer (P2P), negli Usa la Federal Communications Commission ha avviato un’indagine per stabilire se siano fondate le accuse rivolte all’operatore via cavo Comcast, inchiodato da un rapporto secondo il quale la società starebbe bloccando l’accesso ai network di BitTorrent.
Il presidente FCC Kevin Martin, ha fatto sapere di voler verificare che tutti gli utenti Comcast “siano trattati allo stesso modo” e che non venga utilizzata qualche pratica di bloccaggio poco trasparente.
“La domanda è: stanno usando tecnologie di gestione del traffico equilibrate?”, ha dichiarato Martin, sottolineando che comunque queste tecniche devono essere rese pubbliche.
Finora, infatti, Comcast è stata molto vaga circa lo scopo e l’estensione della sua attività di traffic management e avrebbe anche minacciato di licenziare i dipendenti che avessero discusso la cosa con chiunque al di fuori della compagnia.
L’accusa è molto pesante e ha fatto insorgere gli internauti di tutto il mondo, già surriscaldati dal dibattito sulla neutralità della rete, che torna quindi quanto mai d’attualità.
L’indagine condotta dalla Electronic Frontier Foundation e verificata in maniera indipendente dalla Associated Press – realizzata scambiando un file da 4MB sulle reti di Time Warner, Cablevision, AT&T e Comcast – non lascia spazio ai dubbi: solo sulle linee di Comcast si è verificato il blocco del download, che riguarda non sono solo i file di grandi dimensioni, come la società voleva fare intendere, ma anche quelli più piccoli.
La società si è subito difesa spiegando che “…la responsabilità della società è quella di garantire agli utenti la migliore esperienza internet possibile, utilizzando le ultime tecnologie di gestione della rete per permettere a tutti di godere di ogni applicazione”.
Un manager di Comcast ha tuttavia chiarito che la questione è un po’ più complessa. La compagnia utilizza infatti tecnologie di gestione dei dati – ammesse dalla FCC – per riservare banda larga a determinati flussi di traffico, in modo da evitare fenomeni di congestione di rete causati da picchi nell’accesso a internet.
Come parte di questo processo di management, occasionalmente – ma non sempre – la compagnia ritarda alcuni trasferimenti di file peer-to-peer che rallentano la velocità di internet a svantaggio di altri utenti sulla rete.
La situazione è comparabile a quella in cui ci si trova quando si prova ad effettuare una telefonata e si trova occupato, quindi si riprova ancora e ancora fino a quando non si trova libero.
Nei casi in cui il download di file peer-to-peer è interrotto, il software automaticamente riprova, così che l’utente neanche capisce che Comcast sta interferendo con l’operazione.
Ma diverse associazioni di consumatori e attivisti della network neutrality contestano che il comportamento di Comcast è in flagrante violazione con i principi di neutralità sottolineati dall’Internet Policy Statement della FCC e hanno avviato una class action contro il gruppo.
L’indagine della FCC avrà sicuramente importanti implicazioni nel dibattito sulla neutralità della rete, che infuria in tutto il mondo ma che vede la FCC in particolare al centro di forti polemiche.
I fautori della network neutrality, infatti, credono che gli attuali standard FCC siano totalmente inadeguati a prevenire simili abusi da parte degli Isp, mentre i fornitori del servizio e altri oppositori a nuove leggi in materia sostengono che l’attuale sistema sia sufficiente e che un nuovo intervento legislativo finirebbe per imporre nuovi limiti alle presenti pratiche di gestione del traffico, essenziali per prevenire eccessivi sovraccarichi della rete causati proprio dagli enormi flussi di download dai siti di file-sharing.
Nel dibattito è intervenuta anche l’Aduc, secondo cui se porre limiti alla banda è legittimo per gestire problemi di traffico della rete, bloccare specificamente un particolare software/sito è illegale.
“Ad esempio – ha spiegato il consigliere Aduc Pietro Yates Moretti – guardare un programma RaiTv in streaming può richiede molta più banda di quella necessaria a diverse modalità d’uso di P2P. Se lo scopo è davvero quello di limitare la banda per tutti affinché sempre tutti ne possano usufruire, perché non limitare anche l’accesso al sito Internet della Rai o a qualsiasi altro sito/programma pesante? In breve, il gestore ha il diritto ed anche il dovere di gestire il traffico, ma lo deve fare secondo criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità”.