Italia
Natale si avvicina, e con le festività l’approvazione della novella Legge Finanziaria (anche perché i nostri parlamentari, notoriamente lavoratori eccezionali, debbono celebrare i riti nei rispettivi collegi elettorali alias famiglie di origine): il “piccolo mondo” (piccolo nell’economia complessiva del Paese, ma forte di una grancassa mediatica eccezionale) del cinema è in trepida attesa della definitiva approvazione in norme di legge delle proposte introdotte dal governo in materia di agevolazioni fiscali a favore della produzione di cinema e di audiovisivo.
Questa mattina, nella sala stampa della Camera dei Deputati, la “strana coppia” Gabriella Carlucci (Forza Italia) e Willer Bordon (Unione Democratica), ha cercato di fare il punto sulla situazione: Carlucci ha convinto Bordon e Bordon ha convinto la maggioranza a far sì che, alle previste norme sul credito d’imposta, si unissero innovative norme sulla detassazione degli utili investiti nel settore.
E’ un eccellente risultato, ottenuto in una encomiabile ottica “bi-partisan”.
Il cinema italiano ringrazia, la produzione di audiovisivi ringrazia.
La questione è nota ai lettori di Key4biz, che ha seguito questa vicenda con attenzione estrema, proponendo spesso gustose anteprime e documenti inediti. Il percorso è noto: a fronte di riduzioni progressive dell’intervento diretto dello Stato nel settore (la quota cinema del Fondo Unico dello Spettacolo è sempre più bassa e la stessa “torta” del Fus è cresciuta a ritmi ben inferiori rispetto all’inflazione – anche se per la prima volta quest’anno la Finanziaria l’ha avviata su un trend crescente), la “mano pubblica” cerca di intervenire sulla leva fiscale, introducendo anche in Italia strumentazioni che Paesi più evoluti del nostro hanno messo in atto da decenni.
Si passa finalmente da una logica di intervento diretto (sovvenzioni) ad una logica di intervento indiretto (agevolazioni).
La strada è quella giusta, quel che manca è una strategia complessiva e soprattutto una visione valutativa del passato e predittiva del futuro.
Il problema è complesso: in Italia, far le leggi è disciplina che vanta pochi cultori, le leggi sono scritte male, le Camere legiferano in assenza di informazioni adeguate… Si sente la necessità di quella che un tempo fu vituperata, ovvero una “politica economica” di programmazione pluriennale (una delle azioni lungimiranti dei governi di centro-sinistra e della migliore cultura di matrice socialista). Si sente la necessità di cultori del motto einaudiano del “conoscere per deliberare“.
Le leggi in Italia, e la Finanziaria soprattutto, sono fatte col pallottoliere, senza adeguate relazioni tecniche, e sono frutto di infiniti mercanteggiamenti, tra il nobile e l’ignobile, il serio ed il comico.
Il “policy making” della Seconda Repubblica evidenzia complessivamente una qualità scadente, e l’assenza di respiro strategico.
Si producono leggine, più che leggi, interventi-tampone piuttosto che riforme di sistema. E quando si tenta la via della riforma di “sistema”, in questo o in quel settore, ci si trova di fronte a discutibili testimonianze dello scontro tra lobby palesi ed occulte (senza dimenticare che, in Italia, anche l’attività delle lobby non è ancora soggetta ad una regolamentazione trasparente: chissà perché…), che producono testi o spudoratamente di parte o terribilmente confusi, nel tentativo di addivenire a minimi comun denominatori di interessi che abbassano continuamente la qaulità dell’intervento.
Le norme a favore del “tax credit” (promosse dal governo e specificamente dal Ministro Francesco Rutelli) e del “tax shelter” (promosse da Gabriella Carlucci e Willer Bordon) produrranno – crediamo – benefici, ma, qui ed ora, è una “mission impossible” stimare in modo accurato quali: quanti film verranno prodotti nel corso del 2009, allorquando la norma sarà a regime?
In assenza – totale, assoluta, incredibile – di stime di sorta (sia nella Relazione Tecnica che accompagna la Finanziaria sia in qualsivoglia documento governativo), il nostro Istituto, in occasione della conferenza stampa Carlucci – Bordon, ha presentato una prima elaborazione sperimentale.
Una sintesi delle elaborazioni è proposta nel documento (leggi): secondo IsICult, nel 2009 la produzione di film italiani potrebbe essere intorno a 170 titoli (a fronte degli attuali 110 circa) e gli investimenti potrebbero essere intorno a 380 milioni (a fronte degli attuali 250 milioni). Si tratta di stime basate su metodologie sperimentali. Si tratterebbe di una crescita certamente indicativa.
Da segnalare che – secondo alcuni osservatori – anche il 2007 dovrebbe registrare una crescita significativa, se non nell’output produttivo, a livello di consumo (alcuni prevedono un consuntivo di 120 milioni di biglietti venduti).
Da osservare che le nuove norme dovrebbero attrarre anche capitali esterni al settore, e ciò appare assolutamente opportuno e benefico, perché tra le patologie del cinema italiano v’è certamente una eccessiva “autoreferenzialità”.
Entrando negli aspetti più tecnici del provvedimento, come anticipato nelle precedenti sortite su Key4bi“, un “maxi-emendamento” è intervenuto anche in materia di cinema, modificando per l’ennesima volta il testo dell’ex articolo 72 recante “Modifiche al Testo Unico della Radiotelevisione“, così come era uscito dalla V Commissione della Camera qualche giorno fa.
Precisiamo che la disciplina ora fa parte del nuovo art. 2 comma 308 del maxi-emendamento.
Analizziamo i principali punti oggetto di modifica, per fornire alcuni primi spunti di riflessione soprattutto per capire quanto i timori degli autori e produttori fossero giustificati, o, per altro verso, in che misura il “pressing” degli operatori televisivi, in particolare quelli “pay” ma anche le “telcos”, abbia sortito qualche effetto nella direzione di “ammorbidire” i vincoli più pesanti.
Ad una prima lettura, ci sembra di poter dire – ricorrendo al linguaggio calcistico – che la partita è sin sostanziale pareggio, in attesa dell’approvazione finale in Senato. Approvazione sulla quale, va detto, tutti gli osservatori appaiono ottimisti. In sostanza, siamo di fronte ad una legge dello Stato, o quasi. Sempre fatta salva l’ipotesi di cataclismi nella maggioranza e di crisi di Governo.
Partiamo dalle notizie che certo non saranno accolte con grande entusiasmo dagli addetti ai lavori.
In primo luogo, primo registriamo una significativa soppressione al comma 1 dell’art. 44 del Testo Unico (“Promozione della distribuzione e della produzione di opere europee”): cade così uno dei vincoli posti alla definizione della percentuale di opere europee che i fornitori di contenuti televisivi e le emittenti televisive sono tenuti a riservare.
Nel testo originario, questa percentuale doveva essere ripartita tra i diversi generi di opere europee e riguardare opere prodotte per almeno la metà negli ultimi cinque anni. Ebbene, nel nuovo testo viene invece eliminato questo secondo paletto, ampliando a dismisura il calderone delle opere che possono rientrare nella quota di riserva.
Ed è proprio in materia di programmazione di opere audiovisive in tv che giungono le notizie più preoccupanti per la produzione indipendente.
Nel nuovo testo, infatti, la quota di riserva – seppure estesa non solo ai concessionari televisivi nazionali, ma ad una platea di soggetti più vasta (ovvero ad emittenti televisive, fornitori di contenuti televisivi e fornitori di programmi in “pay-per-view”) – pari al 10 % del tempo di diffusione non è più riservata alle opere europee realizzate dai soli produttori indipendenti negli ultimi 5 anni e nelle ore di maggiore ascolto. Più genericamente, la suddetta quota madre riguarderà le opere europee degli ultimi 5 anni nelle fasce orarie di maggiore ascolto.
Fin qui, le cattive notizie, almeno dal point of view di chi in Italia produce “content audiovisivo”, e… boccheggia di fronte al duopolio Rai-Mediaset ormai triopolio Rai-Mediaset-Sky.
Buone notizie giungono dal versante degli obblighi di investimento.
I produttori indipendenti scacciati dalle “finestre” della programmazione rientrano – per così dire – dalla porta principale delle quote di investimento.
In sostanza, la “quota madre” di riserva, pari al 10 % degli introiti netti da parte degli stessi soggetti richiamati in precedenza da destinare alla produzione ed acquisto di opere europee, dovrà riguardare solo quelle opere realizzate da produttori indipendenti negli ultimi 5 anni.
Questa può considerarsi sicuramente la vittoria più importante da parte delle associazioni di categoria (Anica e Api, in primis), che, qualche settimana fa, avevano preso carta e penna per reclamare questa legittima rivendicazione, che, se disattesa, rischiava di compromettere l’intero impianto della “mini-riforma” volta ad adeguare il rapporto tra il mondo della produzione audiovisiva e cinematografica e quello dei vecchi e nuovi broadcaster/aggregatori/fornitori, a distanza di 10 anni della arcinota Legge 122 del 1998 (la Veltroni-Vita, per intenderci)-
Da evidenziare anche la soppressione della voce di spesa “adattamento o confezionamento di contenuti europei per le nuove tecnologie”, tra quelle che il testo precedente voleva facessero parte della quota di investimento del 10 % degli introiti netti annui, concorrendo alla base di calcolo insieme alle altri voci – più congrue – quali la produzione, il finanziamento, il pre-acquisto e l’acquisto di opere europee. Verrebbe da osservare che il legislatore abbia letto anche alcune delle critiche che sono state proposte su Key4biz e ne abbia fatto tesoro. In sostanza, alcuni errori sono stati mondati.
All’interno della “quota” del 10 %, ora più circoscritta, vengono confermate le “sub-quote” del 30 % e del 35 %, a carico rispettivamente di emittenti, fornitori di contenuti e di programmi in chiaro e di quelli a pagamento.
Restano validi anche gli obblighi relativi alla Rai che, anche in virtù del “Contratto di Servizio”, è obbligata a destinare una quota non inferiore al 15 % dei ricavi complessivi (canone + pubblicità) alle opere europee, anche in questo specificando che si tratta solo di quelle realizzate da produttori indipendenti negli ultimi 5 anni. Ricordiamo che al cinema, la Rai riserva una sub-quota del 20 %, mentre quote più ridotte vanno a favore dei cartoni animati (5%) e dei documentari (4%). La norma specifica sui documentari è stata finalmente introdotta nel “Contratto di servizio”, anche se appare opportuno introdurla anche a livello normativo, per assegnarle maggiore forza e soprattutto stabilità.
Circa gli obblighi dei nuovi “player”, ovvero gli operatori di comunicazione elettroniche sui reti fisse e mobili, è stata aggiunta la postilla/precisazione che gli obblighi futuri (non è stata fissata una sub-quota come per gli altri soggetti pay, in ragione di un mercato ancora gli albori) riguardano i “servizi televisivi prestati su richiesta del consumatore”. Questa norma non convince, perché le piattaforme fisse e mobili possono veicolare anche audiovisivo, di flusso o “on-demand” che non sia esattamente corrispondente alla definizione di “servizio televisivo”. Si ha ragione di ritenere che questa sia una norma introdotta da una lobby che – come dire? – vuole attenuare il carattere innovativo delle norme.
Una disposizione dell’ultima ora in cui si chiamava un regolamento del’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, per definire i criteri per la concessione di deroghe rispetto agli obblighi introdotti dall’applicazione delle misure previste dal comma, è stata dichiarato inammissibile.
Altra novità: l'”inedita e ambigua dicitura “opere di espressione originale italiana” sarà oggetto di un apposito decreto del Ministro delle Comunicazioni e del Ministro per i Beni e le Attività culturali entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge: su queste colonne, avevamo evidenziato, pochi giorni fa, come fosse indispensabile questa definizione.
Al contempo, in una gremita Sala Stampa della Camera, la deputata Gabriella Carlucci e il senatore Willer Bordon hanno raccolto i frutti di un abile gioco di squadra (anche se su versanti politici opposti) che ha condotto con esito positivo la seconda parte dell’ex articolo 12, quella relativa al tax shelter, ovvero alla possibilità per i produttori di detassare parte degli utili reinvestiti.
Per il triennio 2008-2010, sono state destinate risorse per complessivi 30 milioni di euro (5 per il primo anno, 10 per il secondo e 15 per il terzo), cui vanno aggiunti altri 20 milioni (2 per il 2008, 8 per il 2009 e 10 per il 2010) “allo scopo di assicurare lo sviluppo e l’adeguamento tecnico e tecnologico delle sale cinematografiche e, di conseguenza di una sempre migliore fruizione del prodotto cinematografico sul territorio”.
Per quanto riguarda il credito d’imposta, la previsione in Finanziaria era stara quantificata in un effetto di cassa pari a circa 20 milioni di euro per il primo anno (2008) e a circa 80 milioni per il secondo (2009).
Presenti alla kermesse numerosi rappresentanti delle imprese cinematografiche, in particolare del comparto distributivo e dell’esercizio cinematografico. Del mondo associativo, segnaliamo lo storico Presidente dell’Anem Carlo Bernaschi, quello dell’Univideo Davide Rossi, tra le imprese di distribuzione sono intervenuti Osvaldo de Santis della 20th Century Fox ed il neo-nominato di Dg della Eagle (ormai di Tarak Ben Ammar) Jacopo Capanna della Eagle Pictures; tra i produttori, hanno preso la parola Guido de Angelis dell’omonimo gruppo e Donatella Palermo. Presente, ma in disparte, il Presidente dell’Anac, un attento Ugo Gregoretti.
Tutti coloro che sono intervenuti hanno espresso un giudizio unanime positivo a favore del provvedimento, sottolineando soprattutto la valenza del principio di premiare (seppure con risorse ancora modeste) l’impresa, ovvero il soggetto investe realmente nel prodotto, e che, per consolidare le proprie attività, richiede meno assistenza pubblica e maggiori incentivi di natura fiscale.
Restano alcuni passi non marginali da compiere, prima che il tax shalter diventi legge a tutti gli effetti.
In primo luogo, occorre attendere il via libera al Senato.
In secondo luogo, iniziare a lavorare ai decreti attuativi che dovranno rendere operative le misure previste, a partire dalla redazione della modulistica necessaria ad ottenere le agevolazioni.
Un ultimo ostacolo che a giudizio di Carlucci (Responsabile del Dipartimento Spettacolo di Forza Italia), dovrebbe essere superato agevolmente per quanto attiene alla necessaria e preventiva autorizzazione da parte di Bruxelles rispetto a questa tipologia di sostegno, in deroga alla disciplina in materia di aiuti di Stato.
D’altra parte – aggiungiamo noi – sistemi sostanzialmente analoghi sono attivi, da decenni, in numerosi altri Paesi, dall’Irlanda ai Paesi Bassi, passando per il Regno Unito, e dunque – almeno dal versante comunitario – non dovrebbero arrivare spiacevoli sorprese.
Unanime anche il plauso rispetto ad una iniziativa che gli stessi promotori hanno definito una “anomalia” del sistema parlamentare italiano, e che – nei fatti – ha sinora dimostrato come, in soli nove mesi (questa la durata della alleanza tra Gabriella Carlucci e Willer Bordon, che pure immaginiamo foriera di ulteriori sviluppi progettuali) sia possibile adottare misure importanti, da lungo attese dagli addetti ai lavori di un comparto che, negli ultimi mesi, sta registrando ottimi risultati in termini incassi soprattutto per quanto riguarda la produzione nazionale.
Lo Stato sembra essere in grado di mostrare adeguata sensibilità rispetto ad un settore che sta cercando di uscire dalle sabbie mobili del “piccolo mondo antico” dei… cinematografari, della loro storica artigianalità.
Il regalo di Natale, insomma, è ben meritato.
Vedi anche:
La versione approvata degli ex articoli 12 e 72 della Finanziaria (testo licenziato dal Senato il 14 dicembre 2007: si tratta dei paragrafi da 326 a 344 dell’articolo 1, frutto di un surreale – e non solo come dimensioni – “emendamento”):
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Angelo Zaccone Teodosi, Presidente di IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale
Bruno Zambardino, Responsabile di Ricerca IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale
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