Italia
La Finanziaria 2008 sembra prevedere alcune innovazioni significative a favore dell’industria audiovisiva. Ad esse Key4biz ha dedicato particolare attenzione (vedi l’articolo “Finanziaria 2008: i ‘pacchetti’ Rutelli e Gentiloni a favore del ‘content’ audiovisivo. Sky Italia e le tlc pagano dazio?“, su Key4biz del 5 ottobre 2007 e “Scenario. La Finanziaria e l’audiovisivo: i cinema-people col fiato sospeso e Sky sul piede di guerra“, su Key4biz del 31 ottobre 2007).
Gli articoli 7 e 40 della Finanziaria potrebbero (il condizionale resta d’obbligo) rivelarsi il volano di un indispensabile rilancio dell’industria italiana delle immagini in movimento, che resta piccola, provinciale e sottosviluppata. E troppo, o troppo poco, o comunque male, assistita da uno Stato miope.
Ricordiamo che gli articoli 7 e 40 riguardano rispettivamente incentivazioni fiscali per il cinema e modifiche al Testo Unico della Radiotelevisione finalizzate a stimolare lo sviluppo della produzione di audiovisivi “made in Italy”.
Cerchiamo di comprendere cosa è accaduto nelle ultime due settimane, qui tralasciando polemiche minori come la “guerra” interna a Cinecittà, con dissensi pubblici tra la holding e le società controllate. In argomento, ci limitiamo a segnalare un bell’articolo di Michele Anselmi, sulla prima pagina de “il Riformista” del 13 novembre, che evocava una penosa “guerra tra poveri”, come sarebbe stata definita dall’entourage del Ministro Rutelli, e ci sembra interessante riportare la presa di posizione del Responsabile Cultura della Margherita, Andrea Colasio: “Il piano di riassetto del Gruppo pubblico cinematografico è un preciso impegno contenuto nel programma elettorale di Romano Prodi. Il ministro Francesco Rutelli ha recepito nell’Atto di indirizzo tale orientamento a cui si stanno uniformando il Presidente di Cinecittà Holding Alessandro Battisti e l’Amministratore Delegato Francesco Carducci. Si tratta allora di un atto dovuto e necessario e mi stupisce vedere ora quanto scalpitino i presidenti di Istituto Luce e Filmitalia“… Sarà un “atto dovuto”, ma all’Istituto Luce ed a Filmitalia non condividono questo “dovere”.
Sul settimanale dell’Agis, il “Giornale dello Spettacolo“, i dirigenti del Luce (il Presidente dell’Istituto Luce, Stefano Passigli, e l’Amministratore Delegato Luciano Sovena) hanno evidenziato il loro dissenso sul piano di razionalizzazione del Gruppo cinematografico pubblico, pur con accenti diversi, mentre la Presidente di Filmitalia (Irene Bignardi) ha detto la sua su “ La Repubblica “: “Accorpare il Luce in Cinecittà Holding non ha senso. Il compito principale del Luce è quello di gestire e potenziare il suo storico archivio. Per ciò che riguarda la produzione, ci si deve indirizzare principalmente verso la realizzazione di documentari, destinati ad un consumo extrasala – sostiene Passigli in un intervento riportato dal sito di Cinecittà News – I compiti strettamente cinematografici del Luce sono, invece, assai limitati e riguardano la distribuzione di opere prime e seconde. Piuttosto i tagli andrebbero eventualmente compiuti all’interno della struttura Cinecittà Holding“…
Battute al vetriolo, all’interno della stessa maggioranza, dato che Battisti e Carducci e Passigli e Bignardi sono tutti “sinistrorsi”, e lo stesso Sovena (a suo tempo braccio destro del Responsabile Spettacolo di An, Rositani) si è tinto di rosso, all’avvento del Governo Prodi.
Per Sovena, “di fronte ad un’ulteriore riduzione dei fondi è inevitabile ridurre anche l’organizzazione e la struttura del Gruppo“.
Ma l’ad del Luce sottolinea anche come, d’accordo con Cinecittà Holding, “…abbiamo messo a punto un progetto di rilancio per la produzione e la distribuzione di film che sarà reso noto a dicembre, attraverso cui si intende approfondire l’attività, sia impegnandoci in importanti coproduzioni internazionali, sia intensificando gli sforzi per dare visibilità ai nuovi autori italiani. In una realtà dominata dal duopolio Rai/Mediaset, la presenza del Luce diventa vitale, una sorta di ammortizzatore sociale, per combattere gli eccessi del mercato”.
Alcune attività del Luce sono benemerite, ma la sua quota di mercato resta ridicola, e tale da rinnovare il quesito: “perché lo Stato?”.
Secondo la Bignardi , Presidente di Filmitalia, per promuovere all’estero il cinema italiano occorrono “l’autonomia e l’agilità nell’operare, la trasmissione veloce delle decisioni”. Riferendosi al tanto citato modello francese ricorda che “l’Unifrance, la società pubblica omologa di Filmitalia, è autonoma rispetto al Cnc, il grande centro per la cinematografia che incorpora tutte le funzioni del cinema francese pubblico, e che è, inutile dirlo, almeno 6 volte più ricca dei nostri 2 milioni di euro e poco più, assegnatici per promuovere tutto il cinema contemporaneo“…
Guerre tra poveri, ha ragione il collega Anselmi (ex giornalista de “L’Unità”), che scrive con ferrea severità, con la stessa penna agrodolce (intinge nel nostro stesso inchiostro), sia su “il Riformista” sia su “il Giornale”.
Ed intanto il 14 novembre, la Corte dei Conti certifica che il bilancio 2006 di Cinecittà è in perdita per 10,2 milioni di euro ed il consolidato del Gruppo in rosso per 12 milioni di euro.
Le cause sono varie: solo nell’ultimo anno, per esempio, Cinecittà Holding spa ha visto tre rinnovi degli organi di amministrazione, con diversi indirizzi strategici, e questi avvicendamenti – secondo la delibera della Corte – hanno rallentato le più importanti procedure, come ad esempio la rinegoziazione dei canoni di locazione immobiliare e di affitto del ramo d’impresa con CinecittàStudios spa e la dismissione delle partecipazioni nel fallimentare Gruppo Mediaport…
Ci rendiamo conto?
Cinecittà riceve decine di milioni di euro l’anno dallo Stato, e va anche in deficit!
Non sono maturi i tempi per un commissariamento di Cinecittà ed una riforma radicale dell’intervento diretto dello Stato nella cinematografia, Ministro Rutelli???
Approvati dall’Aula gli articoli 7 e 40
L’8 novembre scorso, l’Aula del Senato ha approvato l’articolo 7, che, rispetto alla versione governativa originaria, è stato arricchito da un emendamento a firma Bordon, che riproduce – in sostanza – una proposta di legge sul tax-shelter originariamente presentata alla Camera dalla Responsabile Spettacolo di Forza Italia Gabriella Carlucci (Atto Camera n. 2303 del 28 febbraio 2007, vedi l’articolo “Cinema e audiovisivo: Univideo accoglie con favore la proposta di legge dell’On. Carlucci“, in Key4biz del 26 marzo 2007), proposta fatta propria (alla lettera), a sua volta, al Senato, dal dissidente Bordon (Atto Senato n. 1642 del 14 giugno 2007). La proposta comune della “strana coppia” Carlucci-Bordon è stata presentata in una conferenza stampa al Senato il 18 luglio.
In settimana, l’iter della proposta Carlucci prosegue, in Commissione Finanze, in sede referente (insieme alla proposta A. C. 3187 a firma D’Ippolito Vitale), relatore Gianfranco Conte (Forza Italia).
Il 12 novembre, l’Aula del Senato ha approvato l’articolo 40, che va a modificare l’art. 44 del Testo Unico sulla tv, in una formulazione sostanzialmente identica a quella con cui il testo è arrivato dalle Commissioni.
Tutti gli emendamenti sono stati bocciati.
Si osserva – anche solo leggendo il testo degli emendamenti – che stranamente le lobby di Sky e delle tlc che veicolano “content” audiovisivo non sembrano aver scatenato i propri uomini: attenderanno forse la “fase 2”, ovvero il passaggio alla Camera?
Oppure si sono rese conto che la legge demanda ad Agcom la quantificazione della “quota dei ricavi derivanti dal traffico di contenuti audiovisivi” da destinare “alla promozione e al sostegno finanziario” (?!) “delle opere audiovisive europee”, e che quindi… in fondo, non c’è da preoccuparsi? (Tra parentesi, un quesito giuridico: ma può una legge dello Stato delegare un’Autorità ad intervenire con un regolamento paraministeriale – una delibera Agcom non può essere classificata altrimenti – per definire una quota così delicata ed importante? non ci sono profili, ab origine, in un testo così mal scritto, di incostituzionalità?!).
Tra i più curiosi emendamenti presentati sull’art. 40, si segnala quello a firma del destro Storace, che chiedeva di elevare dal 20 al 35 %, la sub-quota (del 15 % del totale dei ricavi) che Rai deve destinare a opere cinematografiche italiane.
Carlucci e Bordon hanno giustamente esultato: “Da oggi il cinema ha una possibilità in più. Esprimiamo la nostra più viva soddisfazione per l’approvazione dell’emendamento Bordon che, recependo parti di un nostro progetto di legge, introduce per la prima volta in Italia il tax-shelter, per rilanciare l’industria cinematografica nazionale, che è parte integrante dell’identità culturale italiana. Ancora più vivo è l’apprezzamento perché al voto in Aula si è arrivati con il parere favorevole del Governo e del relatore di maggioranza, ma soprattutto con un ok bipartisan, che ha testimoniato la sensibilità dell’Aula del Senato verso un tema così importante, per un settore così delicato dell’industria culturale. Il fatto, quindi, che maggioranza e opposizione abbiano espresso un voto di non appartenenza politica, ci conforta perché finalmente si apre un nuovo orizzonte per il cinema, che potrà reinvestire una parte degli utili dichiarati (tax-shelter). Da sempre, la cultura italiana, diffusa anche attraverso il cinema, è stata il nostro biglietto da visita nel mondo. Gli sgravi fiscali al cinema italiano approvati sono solo il primo passo verso un più ampio dibattito, che si svilupperà appieno nel momento in cui Camera e Senato incominceranno l’iter del progetto di legge da noi presentato già qualche mese fa sul tax-shelter. Ci auguriamo che la politica non sprechi questa opportunità per uno dei settori più importanti della nostra economia che può, come questo emendamento vuole, camminare sulle sue gambe, fuori da ogni tipo di assistenzialismo“.
Interessante riportare la reazione della Responsabile Cultura dei Ds (nonché Presidente della Commissione Cultura del Senato), che richiama l’emendamento Bordon-Carlucci ma senza citarne la paternità/maternità, e dichiara alle agenzie: “Questa Finanziaria si conferma una manovra fondamentale per il cinema italiano, siamo davvero molto soddisfatti. Grazie alle disposizioni del governo, e dell’emendamento approvato ieri, nel complesso la manovra contiene misure fiscali fondamentali per il rilancio del cinema in attesa della riforma del sistema di governance del cinema e dell’audiovisivo, alla quale stiamo lavorando in Commissione e che costituirà il quadro generale. L’articolo 7 della Finanziaria contiene norme per incentivare, già a partire dal 1° gennaio 2008, gli investimenti nel cinema italiano da parte di tutte le imprese, e non solo di quelle esercenti nel settore cinematografico. In particolare, le aziende estranee al settore che investiranno in film italiani potranno usufruire di un credito di imposta pari al 40 per cento del capitale impegnato, fino a un massimo di 1 milione di euro. Le aziende di produzione che investono in opere di nazionalità italiana godranno del 15 per cento del credito di imposta entro il limite di 3,5 milioni di euro. Sono previsti incentivi anche a favore delle imprese di distribuzione e di esercizio, che investiranno nell’ammodernamento delle sale. L’emendamento approvato ieri (nota nostra: giustappunto il Bordon-Carlucci), inoltre, oltre ad aggiungere alcune misure di tax-shelter a quelle che ho appena elencato, prevede un contributo straordinario di 2 milioni di euro all’anno per il prossimo triennio per lo sviluppo e l’adeguamento tecnico delle sale cinematografiche“.
La lettera aperta Anica-Api-Apt al Ministro Gentiloni
Tutti contenti, allora?!
Non esattamente, se è vero che il 12 novembre, Paolo Ferrari Presidente Anica, Angelo Barbagallo Presidente Api e Carlo Bixio Presidente Vicario Apt, in una inedita alleanza e pubblica presa di posizione, hanno indirizzato una lettera aperta al Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni.
Le agenzie stampe hanno prima diffuso però la notizia di una lettera al Ministro a firma del solo Bixio, che aveva toni ben più drammatici della successiva lettera “a trois“: “La Finanziaria cancella l’industria della produzione televisiva indipendente. Un’industria cancellata dalla penna del relatore con l’articolo 40 del ddl Finanziaria e nessun rappresentante del governo o dell’opposizione ha fatto sentire la sua voce in difesa di un settore che ha l’unica ambizione di voler crescere, difendere l’occupazione, esportare il Made in Italy e poter presentare al pubblico – che peraltro le chiede – la varietà delle sue produzioni” (così Bixio su carta intestata Apt).
La versione Anica-Api -Apt è più edulcorata e diplomatica, ma la sostanza non cambia.
E’ un’iniziativa che merita attenzione ed è bene leggere il testo dell’epistola-appello:
“Gentile signor Ministro, un grande processo ha portato in Italia alla creazione di una industria nazionale audiovisiva. Pur nelle angustie di un mercato per vari aspetti distorto, la fiction italiana è diventata un genere vincente e si è affermata nei palinsesti ponendo fine al dominio della produzione americana. In anni più recenti, anche il cinema italiano ha dato vita ad una sorprendente ripresa e dal 12 % di un mercato di 80 milioni di entrate a fine anni ’90, è passato al 30 % di un mercato di 120 milioni nell’anno che sta per concludersi. Si è creata così una grande industria culturale, fatta di artisti, maestranze, produttori indipendenti, distributori, industrie tecniche, esercenti e reti. Un complesso che coinvolge 200.000 addetti, più dell’industria automobilistica. Un insieme che trova oggi un’unità di intenti, testimoniata anche da questa lettera, la prima firmata da tutte le associazioni dell’industria. Questo governo ha prestato attenzione al settore cinematografico avviando importanti progetti di legge e inserendo nella Legge finanziaria due provvedimenti di grande rilievo, che introducono il credito d’imposta e la defiscalizzazione degli utili reinvestiti, e estendono gli obblighi di investimento dei media che ci auguriamo possa essere esteso anche alle opere assimilate. Tuttavia, proprio nel testo che riguarda la quota di investimento, dobbiamo rilevare la mancanza di ogni riferimento alla produzione indipendente (effettivamente il testo recita “opere europee”, nota nostra). Ci sembra una pericolosa omissione. E’ solo la produzione indipendente infatti che può assicurare la vitalità imprenditoriale e il pluralismo creativo: garanzia di libertà d’iniziativa e di espressione. Noi tutti ci auguriamo che in sede parlamentare questa lacuna venga colmata: diversamente il provvedimento assumerebbe un senso opposto alla sua stessa intenzione. Rileviamo anche l’effetto dell’emendamento appena approvato in Senato, che riduce il costo dell’abbonamento televisivo per gli anziani a basso reddito, e ne condividiamo l’intenzione. A proposito di canone, però, nella Finanziaria potrebbe essere inserito anche un dispositivo contro l’evasione (che, ricordiamo, è pari quasi al 30 %, a fronte di un canone tra i più bassi d’Europa): un tale dispositivo aumenterebbe le entrate della Rai, evitando tagli sul prodotto che, con l’abbassamento del costo unitario già in corso, rischia di non essere più competitivo a livello internazionale. In assenza di un tale provvedimento, crescerebbero le preoccupazioni, già vive, per l’equilibrio economico dell’Azienda, che appare pericolosamente declinante per ragioni strutturali, e per la sua capacità competitiva, che certo non sarebbe favorita dall’adozione di criteri astratti e dirigisti in materia di compensi. Ricordiamo che una crisi economica della Rai si ripercuoterebbe in modo disastroso sull’intero sistema audiovisivo nazionale. Gentile Ministro, siamo fiduciosi di trovare ancora presso di lei l’attenzione e la sensibilità già dimostrate, e contiamo di proseguire nella collaborazione volta a rafforzare tutta l’industria culturale nazionale, accrescendone le risorse, l’efficienza e l’articolazione pluralistica“.
Fin qui, il testo della lettera aperta.
Da segnalare che Bixio, nella sua lettera originaria, accusava di fatto Anica ed Api di essere state privilegiate: “la miope previsione dell’articolo 7, che vede beneficiare del credito d’imposta le sole imprese cinematografiche avrebbe ben potuto essere estesa, come peraltro richiesto nel testo di emendamento 7.1, alle opere audiovisive. I due comparti non dovrebbero essere messi dalla politica a competere l’un con l’altro, in una lotta che non porta benefici a nessuno, ma essere messe entrambi nelle migliori condizioni di crescita“.
Tesi saggia quanto inascoltata.
Merita essere evidenziato, nella lettera aperta Anica-Api-Apt:
a) l’enfasi sulla necessità di fare in modo che gli auspicati nuovi flussi economico-finanziari che dovrebbero (replay: il condizionale è d’obbligo, alla Camera può accadere teoricamente di tutto) derivare dal credito d’imposta e dal tax-shelter non vadano a favore di produzioni “non indipendenti” (ovvero opere sostanzialmente prodotte dalle emittenti televisive), anche se gli appellanti non evidenziano come sia terribilmente deficitaria la definizione stessa di “produttore indipendente”, nella normativa italiana, e soprattutto nell’attività di vigilanza dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
b) l’enfasi sulla necessità, per evitare che Rai si indebolisca oltre finanziariamente, di ridurre il livello dell’evasione del canone radiotelevisivo, che è effettivamente, in Italia, a livelli record rispetto a tutto il resto d’Europa (nel Piano Industriale Rai dell’ottobre 2007, Rai riconosce che l’evasione è a quota 25 %, a fronte dell’8-10 % di Regno Unito e Germania e del 5 % della Francia); va però ricordato che Gentiloni, anche nel recente “contratto di servizio” tra Ministero e Rai, ha bocciato alcune ipotesi che avrebbero reso più vincolante il pagamento del canone (il sistema ottimale resta quello greco, ove il canone tv deriva da un prelievo percentuale correlato ai consumi di energia elettrica), e quindi non crediamo che le tesi di Anica-Api-Apt verranno accolte dal Ministro, che ha attribuito a novelli Rai obblighi onerosi, senza assegnare alla tv pubblica risorse adeguate (tipica dinamica italica da “nozze coi fichi secchi”)…
La Finanziaria, secondo la gran parte degli osservatori, passerà la boa del Senato, senza drammi per la fragile tenuta del Governo Prodi.
Cosa accadrà alla Camera?
La maggioranza – Dini e Bordon e Mastella e “indipendenti” in libertà permettendo – dovrebbe reggere il test, e quindi si nutrono buone chance che anche gli articoli 7 e 40 divengano effettivamente legge dello Stato.
I dati sulla copertura finanziaria non sono esattamente confortanti, né – in verità – chiari, ma comunque è importante – riteniamo – che passi il principio, che si metta in moto il meccanismo: verranno poi – si spera – le valutazioni di impatto, e le eventuali correzioni di rotta (sicuramente, il fabbisogno stimato in Finanziaria è inferiore a quello che riteniamo emergerà dal settore).
Il rilancio delle proposte di An
Nel mentre, il 13 novembre, il Responsabile Spettacolo di Alleanza Nazionale, Guglielmo Rositani, ha presentato, con la benedizione di Gianfranco Fini, le 3 proposte di legge che Alleanza Nazionale ha depositato alla Camera: per una “nuova disciplina della cinematografia” (Atto Camera n. 1096 del 13 giugno 2006), “nuova disciplina dello spettacolo dal vivo” (A. C. 1186 del 22 giugno 2006) ed infine il più recente “disciplina delle attività musicali” (A.C. 3002 del 2 agosto 2007).
Di fatto, si tratta di un “rilancio” di proposte già note.
In particolare, la proposta di Rositani sul cinema è esattamente la riproduzione (alla lettera!) di una proposta di legge sul cinema presentata, nella precedente legislatura, a firma congiunta, da lui stesso e dalla Carlucci (si tratta dell’Atto Camera n. 2956, presentato il 7 luglio 2002)…
Si trattava di una proposta complessa ed articolata, che addirittura anticipava, per alcuni aspetti, la proposta Colasio-Franco , proponendo un assetto certamente più liberista.
Rositani ha definito la proposta Colasio-Franco (peraltro dall’insabbiato iter) un “libro bianco bellissimo“, ma altresì un progetto irrealizzabile: una proposta “guasconesca“!
L’ex Sottosegretario Nicola Bono ha criticato gli articoli 7 e 40 della Finanziaria, ritenendoli estemporanei e non organici ad un indispensabile progetto di riforma complessiva dei comparti dello spettacolo (viene da osservare che, quando An era al Governo, non c’è stata esattamente una grande dinamica riformatrice del settore, fatta salva la contestata legge Urbani per il cinema…). Le proposte di legge sono state oggetto, in occasione della presentazione, avvenuta al Cinema Olimpia di Roma, di apprezzamento, pur prudente, da parte dello stesso Colasio, che ha ricordato come esistano – nella sostanza – dei punti di contatto tra le posizioni del suo partito e quelle di An (in effetti, entrambe sono “dirigiste” e “stataliste”, potrebbe sostenere un ultra-liberista, sebbene con approcci ben differenti…).
La presentazione di Rositani, Bono e Fini non ha registrato nessun riscontro sulla stampa quotidiana, fatta salva la (prevedibile) eccezione di un paginone sul “Secolo d’Italia”.
Da notare, a margine della presentazione di Rositani, un intervento del Presidente dell’Agis Alberto Francesconi, che, manifestando il proprio plauso per l’elevazione del Fus a 536 milioni di euro, ha coraggiosamente posto il quesito se forse, per la prima volta, non si tratti di “troppi soldi”, in quanto destinati ad essere ancora una volta mal spesi…
In effetti, tutti – a destra come a sinistra, tra gli autori così come tra gli “industriali” (sic) – sembrano convergere su:
a) la necessità di razionalizzare la spesa pubblica nel settore;
b) la necessità di una “strategia” organica della politica culturale italiana;
c) la necessità di un rilancio internazionale del settore.
Nella pratica, però, gli interventi normativi continuano ad essere annunciati e non realizzati, e, quando vengono realizzati, sono contingenti, emergenziali, effimeri, disorganici.
Ben venga, a questo punto, l’iniezione, forse anche piccola e mirata, del credito d’imposta e del tax-shelter.
Il solito “meglio poco che nulla”, insomma.
Tutti gli operatori del settore (con la sola esclusione delle emittenti tv, preoccupate di perdere potere, nella storica squilibrata economia del sistema audiovisivo italiano; e con le lievi preoccupazioni che vivono le tlc) attendono con fiducia che queste “belle intenzioni” divengano finalmente “legge dello Stato”.
Anche tra gli osservatori più critici e scettici (“partito” di cui facciamo parte), aleggia un prudente ottimismo.
La Relazione sul Fus sul 2006 ancora irreperibile, ovvero del perdurante deficit cognitivo del Parlamento italiano
Nel mentre, sia consentito osservare che in questo nostro Paese si continua a legiferare in assenza di adeguate cognizioni, in assenza di informazione: sanno i nostri benemeriti Parlamentari che il Ministro Rutelli, a metà novembre 2007, non ha ancora trasmesso la Relazione annuale al Parlamento sulla gestione del Fondo Unico dello Spettacolo?
La Relazione relativa all’anno 2005 era stata resa pubblica a metà settembre. Quella relativa al 2006 è ancora irreperibile.
Che contenga dati che il Ministro Rutelli non vuole rivelare per pudore?!?
Forse lo sanno, ma nessuno ha presentato una interrogazione parlamentare per denunciare questo scandaloso ritardo.
E come fanno, i nostri eroici parlamentari, a legiferare, anche in sede di Finanziaria, se mancano anche i dati fondamentali ed essenziali per acquisire una visione di base dell’economia del settore?!?
Pochi intimi sanno come avvengono le quantificazioni “in tabella” dei fabbisogni del settore, durante la gestazione della Finanziaria…
Un mix tra numerologia, cabala, finanza creativa, compromessi, cambi-merce, bancarelle rionali, mercato delle vacche, parlamentari in vendita o in affitto, scrittura in giuridichese approssimativo, interessi particolari, lotte per bande, emendamenti ad hoc e finanche ad personam, mercimoni materiali e immateriali: un suk schifoso, lurido, indegno di un Paese che si definisce civile e moderno.
Il tutto comunque condito da una buona dose di approssimazione metodologica e navigazione a vista, con fabbisogni quantificati spesso a naso, nemmeno col pallottoliere.
Un esempio?
L’emendamento Bordon (per la storia, emendamento 7.5, “testo 2”) è stato approvato in Aula, con una previsione di 7 milioni di euro per il 2008, 12 milioni per il 2009, 17 milioni per il 2010… Lo stesso Bordon aveva dapprima presentato un emendamento, dal testo identico (emendamento 7.5, “testo 1”), che prevedeva una differente copertura: 50 milioni l’anno, per ognuno dei 3 esercizi.
Quesito 1: ma Bordon, sulla base di quali stime aveva elaborato la previsione originaria di fabbisogno?
Quesito 2: e l’Aula, sulla base di quali stime e valutazioni (se non le solite di sempre, generiche e certamente valide: anzitutto “risparmiare”, non appesantire il bilancio dello Stato, ché ci sono prima gli ospedali e poi i cinematografi, e bla-bla-bla…) ha deciso queste budgetizzazioni?
Fantasie numeriche, stime partenopee, in perdurante, totale, incredibile, assenza di un sistema analitico ed informativo sul funzionamento dell’industria audiovisiva italiana.
Se non si dispone nemmeno dei dati essenziali della Relazione annuale sul Fus, come si può valutare l’efficienza e l’efficacia della mano pubblica nel settore?!?
Con la palla di vetro?
Con i fondi di caffè??
Con le tecniche di psicomagia di Alejandro Jodorowsky???
Piace qui ricordare che il 22 aprile 2004, all’interno del dibattito parlamentare sul decreto-legge n. 72 ovvero il disegno di legge n. 4833-A (“Conversione in legge del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, recante interventi per contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo, nonché a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo“), poi divenuto la legge n. 128 del 21 maggio 2004, fu approvato un “ordine del giorno”, che puntava giustappunto a dotare lo Stato italiano di migliori strumenti di analisi:
“La Camera, premesso che:
la creazione della Arcus spa ha gettato le basi per far affluire nuove risorse pubbliche verso il settore della cultura e dello spettacolo;
gli esperti e gli operatori del settore tuttavia da anni lamentano sia l’insufficienza di dati attendibili relativi al complessivo intervento pubblico (a livello di Stato, regioni ed enti locali), sia la mancanza di un approfondito apparato analitico della spesa pubblica ai vari livelli, sia la totale assenza di analisi valutative acquisite attraverso strumenti come l’analisi costi-benefici;
la legge 8 ottobre 1997, n. 352, come modificata dalla legge 16 ottobre 2003, n. 291, prevede che il Ministro per i Beni e le Attività culturali presenti ogni anno al Parlamento una relazione sull’attività svolta dalla società Arcus spa, che, alla luce di quanto esposto, potrebbe porsi come strumento di ricognizione complessiva sull’intervento pubblico nel settore culturale e di indicazione di linee guida per i futuri interventi;
è opportuno che tale complessa analisi sia realizzata da un istituto di ricerca autonomo, indipendente ed esterno all’amministrazione dello Stato, di alta qualificazione e specializzazione nel settore, con esperienza almeno decennale negli studi sulla politica culturale e l’economia dei media; impegna il Governo a valutare l’opportunità di affidare per il triennio 2004-2006, ai fini della realizzazione della relazione di cui all’articolo 10, comma 8, della legge 8 ottobre 1997, n. 352, come sostituito dall’articolo 2 della legge 16 ottobre 2003, n. 291, un incarico di rilevazione ed elaborazione dei dati e di analisi valutative dell’intervento pubblico in materia di arte, cultura e spettacolo, a livello di Stato, regioni, enti locali, ad un ente senza fini di lucro, specializzato nelle ricerche internazionali sulla politica culturale e l’economia dei media e che abbia maturato, da almeno dieci anni, esperienze di studi in materia realizzati anche su incarico di pubbliche amministrazioni“.
Le Relazioni che Arcus ha presentato al Parlamento sono documenti ridicoli (al confronto, la Relazione sul Fus, è alta letteratura): poche paginette a fronte di spese per decine di milioni di euro, senza dettagli, senza analisi! La involontaria dimostrazione di un vero e proprio “aumme-aumme” (tanto, chi controlla? Il Parlamento? No di certo? La Corte dei Conti? Sì, col senno di poi)…
Trattavasi dell’atto contrassegnato dal n. 9/4833/10.
Trattavasi di un ordine del giorno senza dubbio super-partes, e comunque bi-partisan, essendo a firma congiunta della parlamentare dei Democratici di Sinistra Franca Chiaromonte (allora Responsabile Cultura di quel partito) e del parlamentare di Forza Italia Giovanni Deodato (sostenuto anche dalla Responsabile Cultura di Fi, Carlucci).
Era il 24 aprile 2004 (della notizia si ritrova traccia anche nel database di Key4biz). L’ordine del giorno è stato simpaticamente disatteso dal Governo Berlusconi, e, a distanza di tre anni, ci troviamo con una Arcus spa, la cui “mission” è evidentemente fallita, come accertato anche dalla Corte dei Conti (che ha reso nota una crudele relazione nel giugno del 2007, invitando – di fatto – il Governo a sciogliere Arcus!).
Lo scandalo Arcus è grave non meno di quello di Cinecittà, anche se ha una “notiziabilità” minore.
Si governa nel vuoto di conoscenze, nasometricamente.
Con buona pace del motto einaudiano del “conoscere per governare”, che non ci stancheremo mai di ricordare, e che resta in Italia quasi sempre disatteso.
(con la collaborazione di Alberto Ronci)
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Angelo Zaccone Teodosi, Presidente di IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale