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Cinema e Finanziaria 2008: tax shelter, avvertenze per l’uso

Italia


L’intervento fiscale promesso dal Ministro Rutelli al cinema è stato effettivamente messo nella Finanziaria 2008. Si tratta, più comunemente e sinteticamente, del cosiddetto tax shelter, che così fa la sua entrata per la prima volta nella storia del finanziamento del Cinema in Italia.  E’ un grande risultato per le tante pressioni che sono state esercitate in proposito negli ultimi anni e che finalmente trovano un riconoscimento legislativo.

 

L’intervento è limitato al Cinema e non esteso all’audiovisivo, come invece era previsto dal DDL Colasio-Franco, ma anche questo è giusto. Difatti, il cinema ne ha un bisogno più urgente e il livello di incentivazione fiscale e le sue modalità devono essere per forza di cose superiori a quelle che dovranno essere adottate per gli altri settori dell’audiovisivo.

 

E’ un intervento necessario, quasi dovuto, ad un settore che paga allo Stato molto più di quanto riceve: 450 milioni di euro l’anno contro i 50 che riceve. Ma non solo per questo. Il Cinema, per le sue specificità produttive, è forse il settore a più alto moltiplicatore, cioè ha una capacità più alta di altri settori industriali di trasformare gli investimenti in reddito diretto e indiretto. Inoltre, ciò colma uno svantaggio competitivo della nostra industria cinematografica rispetto a quella degli altri paesi dove il tax shelter è operativo già da tempo.

 

La Finanziaria 2008 prevede che chi investe nelle produzioni cinematografiche nei prossimi 3 anni godrà di un credito d’imposta del 40% per un investimento massimo di 3 milioni di euro. Parallelamente le imprese di produzione cinematografica beneficeranno di un credito d’imposta del 15% per un investimento massimo di 3,5 milioni l’anno. Le imprese di distribuzione si avvantaggeranno di un credito d’imposta del 15%, limitatamente ai lungometraggi di interesse culturale, fino ad un costo massimo di spese sostenute per la distribuzione nazionale di 1,5 milioni di euro l’anno; del 10%, fino ad un costo annuale massimo di 2 milioni di euro per i lungometraggi italiani; del 20% nel caso di partecipazione alla produzione di film di interesse culturale. L’esercizio cinematografico riceverà un credito di imposta del 30% per i macchinari digitali per ciascun schermo e del 20% nel caso in cui partecipino alla produzione di film.

 

Importante e strategico è il credito di imposta del 25%, fino ad un limite massimo di 5 milioni di euro per ciascuna opera filmica, riconosciuto alla produzione esecutiva e alla post-produzione relativamente ai film o alle parti di film comunque girati in Italia su commessa di produzioni estere. Si riconosce così il valore economico complessivo che deriva dall’immagine del Paese trainata da produzioni cinematografiche. Valore economico direttamente misurabile dall’incremento che registrano i flussi turistici, ma anche dal valore economico che acquisiscono, in linea generale, le merci e i servizi esportati dal Paese.

 

Quali considerazioni ulteriori fare su un intervento che va considerato in ogni caso positivo?

 

La prima considerazione riguarda l’ammontare delle risorse finanziarie che si rendono così disponibili. Tenendo conto dell’ammontare degli investimenti della produzione cinematografica italiana e di quelli realizzati da produzioni estere nel nostro Paese, e che fanno lavorare studios, post-produzione, professionalità attoriali e tecniche, tali risorse finanziarie, per avere un’incidenza reale non possono essere inferiori ai 60-80 milioni di euro l’anno.

 

La seconda considerazione riguarda due mancanze che possono essere recuperate dal dibattito parlamentare. Si tratta della possibilità di estendere questi benefici ai fondi di investimento, pubblici e privati, specializzati e non, che decidessero di investire parte o tutta la loro raccolta di risparmio nel cinema. Così come dell’incentivazione fiscale a chi distribuisce film italiani all’estero per i quali non si prevede nessun privilegio fiscale.

 

Quali avvertenze per i produttori cinematografici?

 

Probabilmente non ne hanno bisogno, avendo ormai una pratica con i fondi di investimento esteri e per le coproduzioni. Il risparmiatore italiano è però nuovo a questa strumentazione, anzi, si può affermare, che la sua assenza da questo terreno è dovuta non solo all’alto rischio dell’investimento cinematografico (che rimane ma che il tax shelter in qualche misura attenua), ma anche alla diffidenza verso il Sistema Cinema del nostro Paese. Quindi, il progetto di film va presentato con estrema accuratezza nel soggetto e nella sceneggiatura che si vogliono affrontare, nel budget, nel cast, nei tempi di lavorazione e di uscita nelle sale e nel mercato internazionale potenziale (theatrical, tv e new media).

 

Argomentando molto bene con dati precisi e suggestioni ognuno di questi aspetti, indicando nel contempo i tempi prevedibili nei quali il film produrrà ritorni economici. Non si tratta di un ritorno come per le obbligazioni a cedola periodica ma di una vera e propria partecipazione al rischio. Che quindi va incentivata anche con aspetti immateriali: partecipazione alle prime, il proprio nome nei credits del film, ed altro; e con aspetti materiali: nel caso di flop, si potrà prevedere che l’investitore vanterà un credito privilegiato, nel caso di successo che manterrà una quota di partecipazione nella proprietà del film, che potrà poi essere liquidata a condizioni da definire.

 

In ogni caso l’offerta di finanziamento converrà che sia proposta per un pacchetto di film con caratteristiche tali  da minimizzare le probabilità di insuccesso e massimizzare quelle dei ritorni.

 

L’introduzione del tax shelter, come si capisce da queste poche note, va considerato dagli operatori del Cinema non come un’escamotage di breve periodo per raccogliere finanziamenti, ma come un primo passo per una evoluzione del settore verso una strutturazione più industriale e meno artigianale, avendo come riferimento il mercato mondiale e non solo quello italiano.

 

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