Italia
La sessione plenaria del BBF 2007 del 26 settembre a Roma, la pubblicazione delle gare WiMAX e del disciplinare di gara, l’acquisto da parte di Cisco di Navini Networks che ha anticipato WiMax da anni, il gran parlare di WiMax negli ultimi 12 mesi, lo sforzo politico per eliminare il digital divide, sono alcuni dei fattori di sfondo agli importanti stanziamenti per favorire l’ICT. Ma con quali obiettivi? In che tempi? A spese di chi?
Il BBF si è concentrato sulle tecnologie, glissando sul presente e passato delle applicazioni. Quindi, per cercare delle risposte, è bene porsi due altre domande fondamentali:
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Come si pone l’Italia nella competizione mondiale ICT?
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Le “giuste tecnologie” potranno affermarsi e favorire l’ICT nel paese?
Valerio Zingarelli (CEO di Balbelgum) ha risposto alla prima domanda ricordando che in Italia il ritardo informatico dei cittadini si misura in decenni, e che “…. quello sulla banda larga rischia di essere un dibattito sterile se la premessa è che non si potranno sviluppare servizi internet avanzati senza che la nuova infrastruttura sia completamente realizzata. Già oggi sono disponibili tecnologie che consentono un utilizzo molto efficiente della banda esistente……”.
All’estero, connessioni decenti in banda larga sono offerte sia da operatori telecom, sia da piccoli innovatori su reti private. I loro clienti lavorano da anni su Web 2.0 e 3.0. In Italia ed Europa, avendo optato incidere sul territorio attraverso un fiume di fondi pubblici che possono essere spesi bene o male, devono essere chiari a tutti i potenziali benefici economici e sociali delle attività dietro queste sigle. In primo luogo, ci siamo posti obbiettivi sufficientemente ambiziosi? In Italia, solo per arrancare dietro i paesi leader, servono circa 30 milioni (50% dei cittadini) di accessi personali a internet.
Questo ritardo è iniziato negli anni ’60 quando gran parte dell’Europa fu toccata poco dal processo innovativo dell’ICT. Infatti, mentre i nostri governi si focalizzavano su grandi progetti per snellire le Amministrazioni Pubbliche, in Nord America i cittadini vivevano una rivoluzione informatica imperniata sulle reti private e lo sviluppo di tante, ma proprio tante, piccole applicazioni.
L’errata percezione di internet da parte di certi legislatori ha impedito di snellire il Paese tramite applicazioni informatiche che altrove vengono concepite e realizzate soprattutto da nuove iniziative che accedono a internet anche con reti private. Rita Levi Montalcini spiega che internet è un processore distribuito, un patrimonio di dati e cultura, la risposta immediata a quesiti ed il mezzo ideale per lanciare nuove attività. Invece, per il nostro Parlamento, è una “rete pubblica di telecomunicazioni”, il cui potenziale è soffocato da un intreccio di enti che, caso unico al mondo, “sperimentano tecnologie”, definiscono livelli e costo dei servizi e finanziano operatori pubblici e distorcono i naturali processi del rischio imprenditoriale.
Pornografia, pedofilia, ed altri mali – non certo nati con internet ed una piccola frazione del traffico sul web – se enfatizzate, spingono a maggiori vincoli a scapito della società. Per contro, da anni, in Nord America, Scandinavia e Asia, internet è sui banchi di tutte le scuole, ed ora anche negli asili, perché i PC personali e internet sono “il miglior insegnante” per soddisfare la sete di apprendere dei piccoli. Basta questo esempio per provare che esiste un mercato di massa.
Anche nel terzo mondo la domanda esploderà, catalizzata da WiMax, Wi-Fi, e dal programma OLPC (One Laptop Per Child). Per contro in Italia si parla di accantonare le 3I (Internet, Inglese, Informatica) enfatizzando l’indiscussa importanza di grammatica ed aritmetica, come se non fossero aspetti complementari per velocizzare l’apprendimento.
Portare il web a tutti i giovani significa servire il 20% della popolazione italiana ed il 50% di quella irlandese. Ma perché non rivolgersi anche agli anziani, circa il 35% in Italia ed il 15% in Irlanda? Non passa neanche per la mente, perché a tanti convegni si è ricordato il “divario generazionale”?.
Ora facciamo entrare in gioco potenze di calcolo mostruose ed il software di WEB 3.0, il divario generazionale sparisce ed un altro 30% della popolazione diventa il mercato di massa Internet. Come? Per esempio col software di Artificial Intelligence, una delle 10 nuove tecnologie software di WEB 3.0. Parlo al PC/telefonino ed esso compone numeri, naviga su Internet, mi rende nuovamente autonomo con 50 anni in meno.
E chi farà questo software liberatorio? Non certo gli operatori telecom. Non certo un grande costruttore parte di Confindustria o “ASSqualchecosa!. Nel 1958 IBM ha investito 500.000 dollari ( 20 milioni di euro di oggi) in un primo progetto di Artificial Intelligence per riconoscimento del significato delle parole. Applicato alla anagrafiche, ridusse enormemente i costi e rese possibile la nascita dei due più grandi editori del mondo: le Book Divsion di Time e Readers’ Digest.
Ma Google, e gli altri motori di ricerca sono frutto di ragazzotti geniali, almeno fino al prototipo. Ne ho conosciuti parecchi ed aiutati alcuni. Tutti lo hanno fatto per curiosità. Nessuno pensava di diventare ricco, fino a quando i Venture Capital li hanno individuati, aiutati a strutturarsi managerialmente e quotati in borsa.
Al BBF, diversi politici hanno ricordato che il governo precedente aveva speso 800 milioni di euro per colmare il divario ICT con “scarsi risultati”. Poiché sono stati stanziati 700 milioni di euro a breve, e circa 20 miliardi di euro fino al 2013, occorre riflettere su come l’ICT si sviluppa per non rischiare di assegnare questi fondi pianificando dall’alto e contando soprattutto sugli operatori telecom.
Al riguardo, al BBF è stato molto eloquente Malcom Matson, ex CEO di Colt (la più grande rete inter-europea in fibra ottica) ed oggi fondatore e CEO della OPLAN Foundation una onlus che elimina il digital divide in Paesi come la Danimarca o l’Africa nera, dotandosi di reti private costruite con le più moderne tecnologie wireless e fibra e l’aiuto della World Bank.
La politica afferma sempre che occorre dare fondi a Regioni ed enti vari per riuscire ad “innovare”. Invece, gli Stati Uniti hanno provato che le piccole aziende sono il motore dell’innovazione. Le grandi aziende fanno ricerca di base per accrescere il loro “sapere” (knowledge) sulle tecnologie, ma i piccoli imprenditori investono denaro ed il loro patrimonio di “saper fare” (know-how) in applicazioni per rendere operative le nuove tecnologie. Sono loro che hanno portato per primi al pubblico le innovazioni wireless spread spectrum in banda libera sconfessando tutti gli esperti, ridotto il divario digitale, alfabetizzato le masse sull’ICT, generato domanda per nuovi servizi e creato l’humus da cui sono nate Microsoft, Google, Amazon, ed altri successi.
Nell’87 David L. Birch*, un professore. al MIT di Boston, ha analizzato oltre 6 milioni di piccole aziende, concludendo, con sua grande sorpresa, che “Our Smallest Companies Put the Most People to Work”. Come lo fanno? Rischiando, perché le nuove tecnologie non rispettano mai i tempi e costi previsti e richiedono anni di “musate” prima di stabilizzarsi.
Gli enti che indicono bandi per erogare fondi pubblici potrebbero far tesoro di questi concetti, evitando che nei capitolati, per qualificare un concorrente, si richieda sempre, nello specifico settore oggetto del bando, un volume di affari negli ultimi tre anni pari all’importo della gara. Questo è il tipo di clausole che ha impedito a Guglielmo Marconi di essere preso in considerazione dal Regio Telegrafo delle Poste. Oggi, significa che nell’ICT, ove le tecnologie sono concepite e superate in mesi, i fondi pubblici “innoveranno” con prodotti forse obsoleti, forniti da grandi aziende, senza rischi per la burocrazia, ma privandosi della vision degli innovatori. Poiché senza questi vincoli è difficile evitare collusioni, si dovrebbero evitare grandi bandi, e poi scindere tra progetti pilota e progetti di ampliamento, rischiando sui primi perché siano propedeutici ai secondi.
Ci sono ampi esempi all’estero di questa politica, ma è solo uno dei metodi per diminuire i rischi ed accelerare i tempi. Esso anticipa la domanda posta dianzi sulle “giuste tecnologie” e le aste WiMax.
Le sperimentazioni del Ministero Comunicazioni nel 2005 sono state orientate al protocollo 802.16d (WiMAX fisso) ed FDD. Non poteva essere altrimenti perché solo pochi innovatori come Navini Networks, e di conseguenza IBAX offrivano e solo prodotti WiMax, e già col protocollo 802.16e, full mobility, con antenne beamforming e MiMo, oggi adottate dal WiMax Forum e tutti i maggiori costruttori.
Dette sperimentazioni non hanno rilevanza per gli operatori tesi a fare piani di copertura basati sull’802.16e e qualificarsi per le aste. Tuttavia gli apparati 16d non potevano essere esclusi dal Disciplinare di gara, rendendo ancora più arduo servire un mercato di massa con la poca banda messa all’asta. Inoltre nel bando vi sono altri disincentivi per sfruttare in pieno le frequenze per cavalcare la tecnologia WiMax. Per esempio: 1) la Regione come estensione minima di una licenza; 2) la partecipazione nelle macroregioni dei grandi operatori telecom che enfatizzano le loro attuali reti mobili 3G, puntano alle reti di Nuova Generazione e nel breve termine temono di fare un autogol se investono per creare un mercato di massa WiMax.
Dati questi vincoli, è prevedibile che le licenze macro-regionali saranno l’obiettivo dei grandi operatori nazionali o internazionali, mentre quelle regionali attrarranno anche, e forse soprattutto, i Governi Regionali, ansiosi di possedere una rete semi-privata per i Comuni e la pubblica amministrazione. Siccome hanno già i fondi (pubblici) per vincere le aste, le Regioni diventano operatori pubblici tramite società multi-servizi da loro controllate. Ciò fatto, saranno in grado o interessate al mercato residenziale dei cittadini, cioè al 70% del mercato WiMax degli operatori esteri?
Ai cittadini servono subito connessioni per mettere fine al divario ICT. Ma come, e quando se, visti i blocchi di frequenze messi all’asta, da una parte WiMax potrebbe contribuire solo una limitata espansione di copertura e di capacità e, dall’atra parte occorrono anni per realizzare la NGN?
In Irlanda hanno evitato questo conflitto concedendo licenze annuali rinnovabili per reti con una raggio di 15-30Km. Era troppo mutuare questa politica anche in Italia? Dopo tutto, se ne possono avvantaggiare solo privati con interessi locali, gli stessi che oggi vengono finanziati ed incentivati per dotarsi di pannelli solari per generare la propria energia elettrica. Perché non gli è permesso di investire loro stessi per dotarsi di quanto serve per far circolare la loro energia mentale con cui potrebbero forse scoprire un modo migliore di generare anche quella elettrica?
Queste restrizioni hanno già creato una specie di limbo tecnologico che centinaia di piccoli operatori stanno già occupando per offrire ai cittadini servizi basati su Wi-Fi ed Hyperlan, mirando a guadagnare a breve vincendo fondi pubblici piuttosto che generando valore e diversificazione nei servizi. Nascono anche piccoli costruttori, tutti tesi a fornire connettività fissa a scapito delle applicazioni. Molte Regioni hanno già allocato fondi per queste reti, perché questa è la loro percezione della tecnologia.
Resta da chiedersi perché al BBF tanti oratori tecnici non abbiano educato il pubblico e i politici sul fatto che WiMax è la “giusta tecnologia”, reiterando invece dubbi infondati, espressi in precedenti convegni, sulla capacità dei sistemi WiMax a 3.5GHz di penetrare all’interno per coprire aree anche urbane; negando ai sistemi intelligenti di antenne la capacità estendere lo spettro ed ottenere a 3.5GHz prestazioni migliori di quelle,con antenne tradizionali, nelle frequenze più basse; impiegando una frazione delle stazioni base, e quindi dei costi, di altri sistemi, coprire vaste aree geografiche; gestendo ottimamente la Qualità del Servizio, e molti altri vantaggi.
E’ chiaro che riconoscendo la capacità di dare queste prestazioni, WiMax diventa la “giusta tecnologia” per eccellenza, sia nel breve (12 messi) che nel medio (3 anni) termine ed è interesse degli operatori che si qualificano per le aste tenerne conto nel preparare i piani di copertura previsti dal Disciplinare e nei loro business plan. Lo prova quanto accade, ed è accaduto, all’estero, dove Nuovi Operatori (Attack Carrier), si affermano sui mercati, sia densamente urbani, sia rurali, utilizzando sistemi avanzati WiMax 802.16e per servizi plug & play, non in linea di vista.
IBAX ha investito per essere il partner italiano di Navini per 5 anni (tecnologicamente parlando, una vita!) vivendo l’innovazione in un campo che ora ha attratto altri grandi costruttori. Ha installato circa 100 sistemi Navini e realizzato un trentina di reti, ed ha accumulato un prezioso know-how per pianificare reti WiMax, Wi-Fi mesh o backbone con apparati di varie case, e collabora con università e altri specialisti. In breve, valorizza proprio quei fattori individuati sopra come il grimaldello dell’innovazione.
La capacità di innovazione delle piccole società è dimostrata da contro-prove indirette ed immediate:
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CISCO ha acquistato Navini Networks per assicurarsi i una propria Business Unit WiMax ed il know-how più avanzato.
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All’evento mondiale “WIMax 20/20” di fine novembre a Munich**, due dei discorsi keynote sono tenuti dai CEO di nuovi operatori che, come IBAX, hanno sposato le tecnologie WiMax 16.e:
1) Irish Broadband, diventato in pochi anni il 1° Operatore Broadband irlandese, focalizzandosi su Dublino;
2) Max.TELECOM, che in 8 mesi ha realizzato una rete WiMax in 11 città, coprendo l’intera Bulgaria, mirando a 200.000 residenti da servire con applicazioni e servizi molto innovativi.
Queste iniziative possono essere clonate in Italia per creare il mercato di massa WiMax internet e recuperare il ritardo ICT. Ci sono tutti gli ingredienti: le frequenze per reti WiMax pubbliche e private, la domanda per i servizi, le disponibilità finanziarie private e pubbliche, la necessità politica di assicurarsi voti dimostrando di avere veramente favorito l’innovazione e creato posti di lavoro.
Consulta il profilo Who is who di Ugo De Fusco
NOTA.
*Ricerca su Google: David Birch MIT – 375.000 risultati in 0,1 secondi.
E noi vorremo negare a qualcuno questi mezzi fino a che un operatore decide di portargli la banda larga?
** http://www.wimax-vision.com/newt/l/wimaxvision/2007_events/world_forum/