Marketing Tv e strategie. C. Nardello (RaiTrade): ‘La costruzione del palinsesto, fondamentale per il posizionamento competitivo’

di di Carlo Nardello, Carlo Alberto Pratesi |

Pubblichiamo di seguito l’introduzione al volume “Il marketing televisivo”.

Italia


Mercato Tv

Il marketing non è nato ieri.

Qualcuno fa coincidere le sue origini addirittura con la nascita del commercio: in quei tempi gli antichi mercanti greci e fenici avevano già capito che vendere una volta non basta, bisogna guadagnarsi la fiducia dei clienti e costruire relazioni durevoli.

Altri studiosi datano l’invenzione della disciplina al 1650, quando un certo signor Mitsui aprì un grande magazzino a Tokio e insegnò alla sua famiglia che “non bisogna vendere cose, ma comprare clienti“; che i prodotti vanno sviluppati in base alle esigenze di chi li acquista; che è meglio offrire una clausola “soddisfatti o rimborsati“, e così via.

Più o meno tutti concordano, comunque, che in Occidente il marketing non arrivò prima della fine dell’Ottocento, quando Cyrus H. McCormick (famoso inventore della mietitrice meccanica) utilizzò per primo le ricerche di mercato, ideò il concetto di posizionamento e il sistema di vendite a rate. Poi, nei primi del Novecento, furono le grandi multinazionali del largo consumo – Procter & Gamble in primis – a tramutare la pratica del marketing in un modello manageriale.

Grazie a loro, negli anni Venti e Trenta, strumenti come pubblicità, marchi, promozioni, concorsi a premio, packaging e customer care si sono via via diffusi in molti altri settori economici, assecondando lo sforzo delle imprese teso ad aumentare i margini e sfruttare la crescente produttività.

 

Il marketing si è così radicato dappertutto: prima presso le aziende che vendono “prodotti banali” (cioè di utilizzo comune e non complessi, come detersivi, dentifrici, snack, surgelati) e successivamente nei vari settori dei beni durevoli (ad esempio auto, elettrodomestici), dei trasporti (linee aeree, corrieri, eccetera), delle ict (telefoni, computer, internet e altro), della finanza (banche, assicurazioni eccetera), fino ad arrivare alle organizzazioni non-profit e addirittura alla religione (si pensi a G. Fiorentino , La Chiesa come azienda non profit: gestione e marketing pubblicato da Egea e S. Salvezza Marketing e vangelo. «Comunicare» la Chiesa oggi, Monti Editore ).

In Italia, il successo che il marketing ha riscosso in ogni settore non ha trovato un analogo riscontro nel settore televisivo: un ambito che per certi versi continua dimostrare nei suoi confronti una certa diffidenza.

 

A nostro avviso, ci sono almeno tre motivi che determinano questo atteggiamento da parte dei professionisti del settore: tre pregiudizi che (in misura più o meno marcata) condizionano ancora oggi le strutture organizzative e le strategie delle grandi aziende televisive.

 

Il primo motivo è che la televisione, per come l’abbiamo conosciuta fino a pochi anni fa e per come rimane ancora oggi (almeno in Italia), è per una sua buona metà classificabile come servizio pubblico. E come tutti i servizi pubblici viene da molti (erroneamente) percepito distante dalle finalità tipiche del marketing. Soprattutto se del marketing si conserva una visione limitata, ossia quella che ne riduce il senso e le finalità alla vendita dei prodotti (di largo consumo) e alle relative tecniche di persuasione (più o meno occulta) dei potenziali compratori. Questo atteggiamento critico si acuisce ulteriormente se il termine viene accostato ad ambiti di particolare rilevanza sociale, educativa e informativa. Per averne conferma basterà provare a parlare di “marketing dei musei” a uno studioso d’arte, o di “marketing dei parchi nazionali” a un naturalista o di “marketing della sanità” a un medico: molto probabilmente si otterranno reazioni di un certo disagio. Le reazioni comuni in questi casi si giustificano secondo nota retorica: “Ma la cultura non si può vendere come se fosse una saponetta” o altre del tutto simili, dove alla parola “cultura” basta sostituirne un’altra, come: “città“, “paesaggio“, “causa sociale“, “salute“, eccetera.

 

Il secondo motivo è più legato a quella parte del contenuto televisivo che fonda le sue radici nella creatività, nell’ispirazione artistica e quindi, in quanto tale, percepita come slegata dalle regole del mercato.

Considerando riduttivamente il marketing come un insieme di attività messe in atto dall’azienda per rispondere alle esigenze del pubblico, per assecondare le mode e le tendenze socio-demografiche, è chiaro che l’opera d’arte, se così vogliamo considerare almeno una parte dei prodotti televisivi, ne è ben distante: “Non è la creazione artistica a dover assecondare le mode, ma sono le mode e le tendenze sociali ad essere condizionate e generate dall’arte“.

Questo modo di pensare, più o meno esplicito, ha sicuramente caratterizzato negli anni il comportamento e le decisioni di molte redazioni e produzioni televisive che – non vincolate dalle regole del mercato e, soprattutto, da una ragionevole sensibilità ai bisogni espliciti della clientela – hanno talvolta portato le aziende a offrire prodotti poco competitivi.

 

Il terzo motivo dipende dai moderni sviluppi della tecnologia di trasmissione e diffusione del contenuto televisivo.

La progressiva digitalizzazione del segnale consente infatti infinite nuove modalità di fruizione dei palinsesti, sia per i terminali utilizzabili dal cliente finale (computer, telefono cellulare), sia per le modalità di pagamento del servizio (free, pay tv, video on demand, ecc.), sia per i relativi modelli di business aziendali. E come in tutti i mercati high-tech c’è una forte tendenza a sottovalutare (o a dimenticare) l’utilità del marketing, per concentrarsi prevalentemente sulla ricerca tecnologica e sugli investimenti in infrastrutture. Con il rischio di lanciarsi con eccessivo entusiasmo nell’offerta di prodotti tecnicamente molto avanzati, ma ben poco attraenti per chi viene poi chiamato a pagarne l’utilizzo (basti pensare al deludente sviluppo dei servizi basati sul cellulare di terza generazione, umts).

 

Riassumendo: la sensazione di essere fondamentalmente un servizio pubblico, con una importante componente creativa, e con l’esigenza di investire prima di tutto nell’innovazione tecnologica, ha portato per molti anni i broadcaster, Rai compresa, a non prevedere una vera e propria funzione marketing nei propri organigrammi, inserendo nel migliore dei casi un ufficio responsabile della raccolta ed elaborazione dei dati di ascolto e delle ricerche sui consumi mediatici dei telespettatori. Il rapporto con l’altro mercato, quello degli investitori pubblicitari, veniva invece gestito esternamente dalle concessionarie (in Italia Sipra e Publitalia).

 

Oggi le cose stanno cambiando rapidamente e la centralità del marketing, inteso nella sua accezione più ampia e moderna (come verrà illustrato nelle pagine di questo manuale), si sta imponendo con forza nelle aziende televisive, a partire dalla stessa Rai.

Il marketing è infatti diventato centrale nel processo di definizione delle linee guida per le decisioni strategiche sia industriali che editoriali, ma anche – come è giusto che avvenga in un’azienda di questo settore – nelle scelte operative di palinsesto.

Più in generale, anche in questo caso è possibile ricondurre le tendenze in atto a tre principali direttrici.

 

Aumento della concorrenza

 

Il mercato televisivo non è più esente dalle tipiche minacce della globalizzazione. Come illustrato con maggiore dettaglio nel capitolo introduttivo al manuale, deregulation, internazionalizzazione dei consumi mediatici e sviluppo tecnologico stanno determinando per i tradizionali clienti dei broadcaster una sempre più ampia offerta di alternative. Le famiglie italiane abituate a utilizzare solo pochi tasti del telecomando per organizzare la propria serata, oggi hanno a disposizione un’offerta straordinariamente variegata testimoniata dalla presenza in casa di molti più telecomandi, con molti più tasti utili. Mettendo insieme antenne analogiche, parabole satellitari, lettori dvd, computer collegati a reti adsl, il palinsesto si amplia a dismisura consentendo non solo a fruitori finali, ma anche agli investitori pubblicitari un portafoglio infinito di alternative.

 

 

Evoluzione e imprevedibilità della clientela

 

A fronte di un aumento dell’offerta, si assiste a una proporzionale evoluzione della domanda. Il tradizionale telespettatore che accettava in modo sostanzialmente passivo quello che gli veniva proposto dalle sei-sette reti nazionali, oggi si muove con destrezza tra offerta free e a pagamento, secondo preferenze e stili di consumo non sempre facilmente prevedibili. Conoscere e anticipare le sue esigenze diventa via via più difficile e questo implica l’adozione di tutti gli strumenti più moderni del marketing. Di fatto, oggi è molto meno facile di un tempo, anche per le reti “ammiraglie”, riuscire a condizionare la domanda sulla base della propria offerta. Prova ne sono i frequenti fallimenti di nuovi programmi (nonostante i sostanziosi investimenti fatti nell’acquisito di format, film e fiction) e il calo lento ma costante degli ascolti. Non è difficile notare come, sempre di più, il successo di un canale o di un programma sia determinato dalla corretta strategia di marketing, più che dalla “oggettiva” qualità dei contenuti.

Ridefinizione dei modelli di business

 

Se prima il settore televisivo era già abbastanza complicato – basti pensare che per un’azienda come la Rai c’erano tre tipologie di clientela da considerare: lo Stato per il canone, le aziende per la pubblicità e le famiglie per gli ascolti – oggi il mercato si è fatto ancora più complesso. I fornitori di ieri (per esempio Disney) sono diventati concorrenti (Disney Channel), o sono stati acquisiti dai concorrenti (per esempio Endemol).

La distribuzione, che prima veniva gestita in proprio attraverso la rete analogica terrestre, oggi si avvale anche di partner satellitari (Sky Italia), o telefonici (Fastweb, Telecom Italia, ecc.) per non parlare del digitale terrestre, che prima o poi diventerà la strada obbligata per tutti. Sul fronte dei ricavi, prima c’era solo il canone da riscuotere per conto dello Stato, oggi occorre essere capaci di passare indifferentemente dal modello Business-to-Business (rapporto con le aziende inserzioniste e con i distributori) a quello Business-to-Consumer (rapporto con i clienti finali per promuovere e gestire abbonamenti ai servizi pay, vendita di singoli contenuti on line, ecc.).

 

In definitiva, un’azienda che voglia competere nel mercato oggi è chiamata a mettere in atto un processo di marketing management davvero completo, che comprenda:

 

*       una fase analitica (ossia la raccolta e l’elaborazione di tutte le informazioni sul business, i clienti e i concorrenti);

*       una fase strategica (che preveda le decisioni di medio-lungo periodo circa gli obiettivi di ascolto e di vendita, i target da raggiungere e il posizionamento da assumere rispetto ai concorrenti);

*       una fase operativa (dove vengano fissate le caratteristiche dei prodotti, le tariffe, la promozione e i canali di distribuzione più adatti per attuare efficacemente le strategie).

 

Il tutto con un continuo impegno di coordinamento, sia con le linee guida strategiche del gruppo, sia con le diverse attività messe in campo dalla direzione per la Comunicazione, il cui contributo nel raggiungimento dei risultati di marketing diventa ogni giorno più determinante.

Tutte le aziende televisive hanno ormai compreso quanto sia difficile navigare a vista in un mercato che sta drammaticamente evolvendo, soprattutto se si vuole mantenere o incrementare i risultati di fatturato e di ascolto.

 

Alla luce di queste considerazioni, con questo manuale si è deciso di affrontare alcune delle principali criticità del marketing televisivo (rimandando a un prossimo volume le parti che qui non vengono trattate).

In particolare, si è deciso di dare grande rilevanza al tema del palinsesto editoriale, inteso come il vero “prodotto” di un broadcaster, come la leva del marketing mix che, più di ogni altra, incide sui risultati di audience e sulla raccolta pubblicitaria. D’altronde, in un mondo dove proliferano i canali di distribuzione (analogici e digitali) e i contenuti (format, programmi, film, ecc.), la costruzione del palinsesto finisce per essere la prima competenza distintiva sulla quale fondare la competitività.

 

Facile notare come l’approccio adottato nel libro è quello di conciliare e integrare contributi di stampo accademico con l’esperienza operativa di chi opera già da tempo sul mercato. La nostra idea di fondo è quella di fornire agli studenti (e anche ai professionisti) un testo che riporti in modo metodologicamente corretto quegli elementi chiave della professione di “marketer televisivo” che fino ad oggi erano rimasti patrimonio esclusivo degli “addetti ai lavori”, e da loro trasferiti in modo quasi sempre episodico e destrutturato ai propri collaboratori.

 

È convinzione di chi scrive che la professionalità del marketing televisivo debba raggiungere una dignità di disciplina accademica, conquistando sempre più spazio nei corsi di laurea (a partire da quelli in economia aziendale e management). Del resto, a fronte dello sviluppo dell’offerta è facile prevedere una nuova domanda di giovani laureati che sappiano trasferire con intelligenza e consapevolezza quelle teorie del marketing che, fino a pochi anni fa, venivano studiate facendo riferimento solo ai prodotti di largo consumo.

 

Il ruolo di Rai in questo contesto non può certamente essere di secondo piano.

Proprio in quanto servizio pubblico, l’azienda deve impegnarsi nel costruire la professionalità delle nuove generazioni di manager. In questa ottica, tra l’altro, la direzione Palinsesto Tv e Marketing per l’anno accademico 2006- 2007 ha deciso di patrocinare il Premio per il Marketing promosso dalla Società Italiana Marketing, un’iniziativa prestigiosa e che da quasi vent’anni aiuta le giovani leve a entrare con maggiore consapevolezza nel mondo delle aziende. Gli studenti si sono infatti impegnati nel risolvere il “caso Rai” che è stato inserito in allegato al volume.

Ci auguriamo che dalla lettura delle pagine che seguono qualche giovane decida di scegliere il marketing televisivo come suo ambito di specializzazione, e che qualche professionista di esperienza trovi nuovi stimoli per lavorare con sempre maggiore entusiasmo.

 

 

Carlo Nardello, Amministratore delegato di Rai Trade
Carlo Alberto Pratesi, Università Roma Tre 

 

Recensione del libro “Il Marketing Televisivo”

 

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