Rai: audience ad ogni costo? Insano obiettivo della Tv pubblica. Serve maggiore qualità  

di di Remigio del Grosso (Vice Presidente Vicario Comitato Media e Minori) |

“Si nota una certa sciatteria da parte della struttura interna che dovrebbe occuparsi della logistica del Comitato Scientifico: spesso le riunioni non sono neanche segnalate alla portineria e le sale vengono trovate occupate”.  

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Sono ormai alcuni decenni che  la Rai è obbligata, sulla base di precise norme contenute nei vari contratti di servizio stipulati con il Ministero delle comunicazioni, a fornire un’offerta radiotelevisiva di qualità. 

Ciononostante non è mai stato possibile esercitare un vero controllo sulla qualità della programmazione Rai e quindi non è stato mai messo in evidenza il valore pubblico di trasmissioni come quelle di Philippe Daverio, o la serie di trasmissioni di Minoli, che hanno indici di gradimento molto alti, ma non necessariamente un adeguato livello di ascolti.

   

Già nel Contratto di Servizio 2003/2005 era prevista una “commissione qualità” – della quale facevano parte il prof. Cesare Mirabelli ed il vice direttore generale Rai Giancarlo Leone – ma non si è mai saputo quali risultati abbia raggiunto. Nel Novembre 2002, l’allora Ministro delle Comunicazioni Gasparri presentò il cosiddetto “Qualitel” che avrebbe dovuto testare la qualità dei programmi Rai, attraverso  sondaggi telefonici a campione o con una macchina nelle case di un ristretto numero di telespettatori. Il Qualitel avrebbe dovuto poi essere reso pubblico. Nulla di tutto questo è mai avvenuto.

  

Anche il varo del nuovo comitato scientifico – previsto dal Contratto di Servizio 2007/2009 ed istituito dal Ministro Paolo Gentiloni lo scorso mese di Luglio, allo scopo di misurare e monitorare la qualità dell’offerta radiotelevisiva pubblica – è stato ritardato per una serie di motivi: dalla scelta di Agcom di non designare il proprio rappresentante entro il previsto termine del 30 giugno, alle “pause di riflessione” dei rappresentanti della Rai, che hanno preferito attendere che la prassi burocratica facesse il suo corso.

   

Tutto ciò in presenza di un clima di grande attesa e attenzione (soprattutto da parte del Consiglio Nazionale degli Utenti dell’Agcom) per il fine cui è preposto il Comitato: e cioè la creazione di parametri che riescano a valutare anche la capacità dei programmi Rai di “sollecitare la sensibilità sociale e civile dello spettatore“.

   

L’argomento è politicamente delicato, anche perchè ha sempre stimolato la discussione degli studiosi sulla necessità o meno di una privatizzazione della Rai attraverso la vendita di alcune reti, sul ruolo della TV pubblica e sul suo palinsesto, da sempre indeciso tra seguire il modello BBC o quello puramente commerciale, con il risultato della stridente e forzata convivenza di programmi di grande rilevanza culturale con quelli che propongono indovinelli, barzellette, pettegolezzi, voyerismo di vario genere, certamente non improntati ad un modello di sobrietà, quanto semplicemente a far corrispondere ad una domanda di “leggerezza” del pubblico una offerta televisiva simil giornale scandalistico da spiaggia agostana. 

  

Qualche parlamentare ha affermato che “…finché la struttura interna della Rai non viene in qualche modo purificata dai dirigenti buoni per tutte le stagioni, un contratto di servizio vale l’altro…” ed è quindi inutile parlare di qualità. Perfino uno dei più “illuminati” consiglieri d’amministrazione, Sandro Curzi, suole ripetere che “…non esiste servizio pubblico senza pubblico“. All’ultimo Festival Cinematografico di Venezia, dove erano presenti in massa i vertici Rai, l’osannato Bernardo Bertolucci ha affermato, senza peli sulla lingua, che “il più grande diffusore di sottocultura è la televisione“! 

   

E’ sperabile quindi che, almeno in questa occasione, i rappresentanti Rai nel Comitato Scientifico esprimano proposte tali da imprimere un deciso cambiamento di rotta nell’offerta del servizio pubblico radiotelevisivo, che sappia anche prescindere dall’audience, sacro e giusto riferimento delle TV commerciali, ma insano obiettivo della TV pubblica, finanziata dai cittadini, che dovrebbe garantire primariamente il servizio universale attraverso trasmissioni di pubblica utilità, cosi come Telecom Italia nelle Tlc garantisce gli essenziali servizi telefonici accessibili al pubblico per le basilari esigenze di comunicazione di tutti gli utenti.

   

Come giustamente afferma Paolo Gentiloni, “la televisione pubblica si può permettere una qualità che non si può permettere quella commerciale”.

    

Il compito che attende il Comitato Scientifico è arduo ed impegnativo, ma i primi segnali che pervengono dall’azienda pubblica non sono incoraggianti.

 

Si nota, infatti, una certa sciatteria da parte della struttura interna che dovrebbe occuparsi della logistica del Comitato: spesso le riunioni non sono segnalate alla portineria della sede di viale Mazzini e le sale vengono trovate occupate.

 

Il presidente Claudio Petruccioli, nell’augurare “buon lavoro” ai membri del Comitato, non ha trovato di meglio che accennare alla proprie gravose priorità, mirate a garantire l’efficienza delle “salmerie”, piuttosto che i pur importanti obiettivi di qualità.  La direzione Marketing mentre da una parte tiene a sottolineare che le risorse Rai provengono per il 50% dalla pubblicità, dall’altra non ritiene di dover dare troppa visibilità alla proprie indagini sulla qualità “per non avvantaggiare la concorrenza”. Indagini non propriamente mirate a migliorare i programmi se è vero, come è vero, che sono rivolte agli spettatori che abitualmente vedono trasmissioni come “L’Isola dei famosi”.

 

Né sono state accolte dalla Rai le richieste di mettere a disposizione del Comitato le relazioni della Consulta Qualità (unico organo interno/esterno Rai, coordinato dal compianto Jacobelli, che si occupava della qualità dovuta dal Servizio Pubblico) e quella di prevedere un apposito spazio all’interno del sito web Rai per garantire la trasparenza dei lavori del Comitato.

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