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Il telefonino non è più un bene di lusso, a quando l’abolizione della tassa di concessione governativa?

Italia


Dopo l’abolizione dei costi applicati dagli operatori mobili al momento dell’acquisto di una ricarica telefonica, torna sul banco degli accusati la tassa di concessione governativa sugli abbonamenti telefonici, introdotta verso la metà degli anni ’90 quando il telefonino era considerato un bene di lusso.

 

Oggi che il cellulare è uno strumento di massa – in Italia la penetrazione è pari al 134% – si tratta dunque di una tassa iniqua e da più parti si leva la richiesta di abolirla.

 

Già ai tempi del decreto Bersani sulle liberalizzazioni – che ha abolito i costi di ricarica – il deputato di Forza Italia Benedetto Della Vedova aveva identificato nella tassa di concessione “la vera causa della ‘bolla’ sulle ricariche telefonini”, sottolineando il fatto che la maggior parte degli utenti mobili italiani – più del 90% – opta per le ‘ricaricabili’ pur di non stipulare contratti di abbonamento e pagare tasse di concessione governative.

 

Della Vedova è tornato ora alla carica, lanciando dal suo blog una nuova crociata in favore dell’abolizione della tassa, per mezzo di  una norma da inserire nella prossima Finanziaria, come peraltro previsto da un ordine del giorno approvato dall’Aula della Camera a marzo scorso.

 

Secondo quanto dichiarato da della Vedova, il ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti “pur nell’ambito di una risposta debole e reticente – ha inteso confermare un generico impegno del governo a procedere all’abolizione della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti di telefonia mobile, un balzello ingiustificato (creato quando il cellulare era ritenuto un bene di lusso) e che – avendo causato la “bolla” dei costi di ricarica – è alla base della stortura del mercato telefonico”.

 

Si apre dunque uno spiraglio in vista dell’abolizione di un’imposta fissa che genera ogni anno entrate per 750 milioni di euro, gravando su ogni utenza per 12,81 euro al mese.

 

La tassa ha inoltre un carattere di regressività, essendo imposta indipendentemente dai consumi telefonici o dal reddito dell’abbonato e incidendo quindi maggiormente proprio sui consumatori che spendono meno.

Secondo le associazioni dei consumatori, infatti, una piccola utenza arriva a pagare oltre il 40% di tassa rispetto al traffico mensile effettuato. Se a questo si aggiunge l’Iva, ovvero una tassa sulla tassa, si arriva a livelli di tassazione davvero vessatori.

 

La mancata soppressione della tassa di concessione, sempre secondo Della Vedova, rende ancora più inutile l’intervento “dirigistico e inutile” dell’abolizione dei costi di ricarica. Misura che, proprio perché non accompagnata dalla cancellazione dei costi di concessione “si e’ risolta con effetti controproducenti per l’utenza, con aumenti delle tariffe dei servizi di telefonia mobile tra il 10 e il 25%”.

 

Diventa dunque essenziale per una liberalizzazione completa e non zoppa come quella attuale agire al più presto per porre rimedio anche al paradosso di un Governo che interviene con decisione su una materia di stretta competenza delle Autorità per le comunicazioni e la concorrenza  (l’abolizione delle ricariche) e continua a fare orecchie da mercante su una questione di sua esclusiva pertinenza.

 

Per l’Aduc, dunque il Governo dovrebbe mostrare la stessa risolutezza sfoggiata al tempo della prima ‘lenzuolata’ di liberalizzazioni per eliminare anche questa tassa che è anomala nel panorama europeo e crea gravi distorsioni sul mercato.

 

Una misura che per l’Adoc potrebbe anche costringere i gestori a formulare tariffe più chiare e facilmente comprensibili per gli utenti che devono invece ancora barcamenarsi tra offerte che di trasparente e coerente hanno ben poco.

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