Media e politica: quando la parola si dissocia dal pensiero

di di Franco Del Campo (Presidente Corecom Friuli Venezia Giulia) |

Italia


Franco Del Campo

Com’è consumato e faticoso il rapporto tra parole e politica in Italia. L’ultimo esempio, inaspettato, viene da una persona abituata a misurare le parole, che ragiona e non grida. Quasi nessuno, infatti, si è accorto delle implicazioni semantiche dell’ultima dichiarazione del ministro Padoa-Schioppa. Quando ha affermato che la prossima Finanziaria sarà di “tregua fiscale” molti avranno tirato un sospiro di sollievo, ma il ministro dell’Economia non si è accorto che con quelle parole ha implicitamente dato ragione all’opposizione, che denuncia una vera e propria guerra di questo Governo nei confronti dei cittadini, “oppressi dalle tasse“.

Il ministro, così, ha assunto le coordinate semantiche dei suoi avversari: se annuncia una “tregua” significa che c’è stata una guerra o almeno una battaglia (e non parlava della guerra nei confronti dell’evasione fiscale, verso la quale non ci dovrebbe essere alcuna tregua…). Con questa semplice frase il ministro dell’Economia o ha svelato il suo vero pensiero o ha dimostrato di aver interiorizzato il contesto semantico imposto dai suoi avversari.

Ma la dissoluzione del rapporto tra la politica italiana e le parole ha radici ben più profonde e devastanti. In Italia -complici i media e in particolare la televisione, che macina e dimentica tutto a una velocità vertiginosa- si può dire tutto e il contrario di tutto con sommo spregio della coerenza e del principio di non contraddizione.

Si possono dire (e fare) le cose più gravi senza “pagare dazio”, senza subire le conseguenze di quello che si dice o si fa. Le parole, come dicevano i nominalisti, sono “flatus vocis”, valgono l’aria che riescono a spostare.

Ecco il deputato “disubbidiente” di Rifondazione comunista che dà degli assassini a due giuslavoristi, di cui uno ucciso dalle Brigate Rosse, perché le loro leggi sarebbero all’origine dei morti sul lavoro. Risultato: gran fracasso estivo di condanne e prese di distanza, piccola marcia indietro dell’interessato (“non sono stato capito”, “la frase è stata strumentalizzata”) con inutile e soprattutto indolore autosospensione dal proprio gruppo parlamentare.

Ecco il leader della Lega Nord che annuncia la necessità di “prendere i fucili” contro la politica fiscale del governo. Formalmente sarebbe una vera e propria istigazione a delinquere, una chiamata alle armi e all’insurrezione, ma tutti sanno che non è vero niente. Sono parole al vento per rinfrescare i suoi sostenitori più fedeli. La maggioranza si scandalizza, chiede smentite e prese di distanze (soprattutto a Berlusconi, che rimane ovviamente silenzioso), ma nessuno crede davvero a parole (formalmente gravissime) che sui telegiornali della sera sono riportate solo dopo gli incendi e le indagini sull’omicidio di una povera ragazza, che l’astuto Corona (non a caso tentato dalla politica) ha fiutato come un affare mediatico.

Chiamare il popolo alle armi è formalmente gravissimo, ma non ci crede nemmeno chi ha fatto la “sparata” e così, dopo aver lamentato l’ennesima “strumentalizzazione”, ripiega sullo sciopero del lotto. Non ci crede il suo ex alleato, che non critica tanto la sostanza delle affermazioni (i fucili), ma il fatto che “così si rischia di favorire Prodi”. Non ci crede tanto nemmeno il Presidente della Repubblica, che si limita ad un cauto richiamo sulla necessità di “moderare i toni”.

Così, invece, nella politica italiana la parola (logos) si dissocia dal pensiero (ancora logos), dalla realtà e quindi dal progetto e dal significato dell’azione. Così si continua una guerra civile virtuale in cui si può “sparare” quello che si vuole senza paura di farsi male.

Negli altri paesi l’etica della responsabilità non è ridotta a chiacchiera. Negli Stati Uniti ministri autorevoli si sono dimessi per quello che hanno detto o fatto. Nella Francia di Sarkozy, che affascina molti a destra e a sinistra (meno il sistema elettorale a doppio turno che lo ha prodotto), un “intoccabile”, come l’allenatore dei blu Raymond Domenech, è stato punito perché aveva parlato a vanvera (accusando gli italiani di comprare gli arbitri senza poterlo dimostrare…). In Italia -probabilmente- sarebbe stato perdonato, perché “frainteso”.

Poco male? Certo, siamo uomini di mondo, ma chi dimostrerà ai giovani che la politica è una cosa seria (anche in Italia)?

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