Acque ancora incerte per il Wall Street Journal, mentre si profila offerta congiunta anti-Murdoch  

di Raffaella Natale |

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Wall Street Journal

Continuano estenuanti le trattative per Dow Jones coi Bancroft sempre più decisi a valutare altre offerte pur di non accettare quella generosa di Rupert Murdoch da 5miliardi di dollari.

Secondo alcune indiscrezioni, una ristretta rappresentanza del consiglio d’amministrazione avrebbe incontrato a New York Ron Burkle e Brad Greenspan, cofondatore del sito di social networking MySpace. I due potrebbero decidere di presentare un’offerta congiunta per rilevare l’editore dell’eminente Wall Street Journal. Greenspan il mese scorso aveva valutato l’eventualità di rilevare il 25% delle azioni di Dow Jones per 60 dollari ognuna, definendo questa “una valida alternativa”.

 

In ogni caso, si tratta ancora di una negoziazione preliminare che potrebbe risolversi in un nulla di fatto. Ma sicuramente le premesse ci sono tutte e la famiglia Bancroft , che controlla il 25% del capitale e il 64% dei diritti di voto, ha tutte le intenzioni di considerare nomi alternativi a quello del tycoon dei media.

Il timore è che il magnate possa mettere in discussione l’indipendenza delle testate di Dow Jones, nonostante a riguardo Murdoch si sia già impegnato sull’istituzione di un Comitato di garanzia. Dalla controparte, i Bancroft avevano avanzato la richiesta di due seggi, su sette, nel consiglio d’amministrazione indipendente incaricato di vigilare Dow Jones, e il diritto di proporre degli amministratori indipendenti per altri tre seggi. A inizio giugno, dopo aver respinto per settimane l’offerta di Murdoch, la famiglia ha deciso di incontrare il magnate, sotto la pressione di una parte degli azionisti tentati da un prezzo superiore del 67% al corso dell’azione. Ma non è valso a dissuaderli dal cercare altre opportunità.

 

A opporsi in modo deciso a Murdoch è in particolare James Ottaway, ex membro del consiglio di amministrazione di Dow Jones e secondo principale azionista della società dopo i Bancroft con il 6%.

Le ragioni dei contrasti sarebbero da attribuire, come ha spiegato appunto Ottaway, al rischio per “…l’integrità e la qualità uniche dell’informazione“, come anche di tutte le altre pubblicazioni della società americana.  

“Rupert Murdoch – ha aggiunto Ottaway – viene da una tradizione, quella anglo-australiana, molto diversa sia sul fronte della pratica editoriale che su quello della proprietà di media“. Il riferimento va all’atteggiamento del tycoon che, in questa logica, ha sempre espresso le sue idee personali, politiche e aziendali attraverso i quotidiani e i canali televisivi.

 

“…E ogni giorno – ha commentato – qui in America guardiamo al New York Post, che regolarmente parteggia nelle informazioni per i suoi amici, candidati politici e decisioni di politica, e che attacca coloro che (Murdoch) non approva personalmente”.

La speranza è adesso quella di trattate con Ron Burkle, re dei supermercati di Los Angeles, sostenitore dei Democratici e grande amico di Bill Clinton.

 

Non molto tempo fa, Burkle con il socio Eli Broad era stato a un soffio dal rilevare il gruppo Tribune, che edita il Los Angeles Times. L’uomo d’affari è anche tra quelli che ha dato da subito la disponibilità all’Indipendent Association of Publishers’ Employees di costituire una cordata anti-Murdoch.

Forte dell’appoggio dei dipendenti della società che pubblica il Wall Street Journal perché non entrerebbe nelle scelte editoriali, Burkle è da sempre considerato un sostenitore dei sindacati.

 

Non si conoscono ancora i termini della proposta in questione, anche se l’ipotesi potrebbe essere quella di ripartire in gran parte le azioni presso i dipendenti.  

 

Una delle conseguenze di questa trattativa potrebbe essere quella di evitare un drastico ridimensionamento dei posti di lavoro o forse semplicemente rimandare ad altra data. I problemi sono tali che, in caso fallisse la trattativa, nell’arco di pochi mesi parecchi giornalisti dovrebbero tornare a casa.

 

Le cause sono legate a un drammatico crollo delle entrate pubblicitarie che, legata al calo delle vendite, sta colpendo inesorabilmente gli editori americani.

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