Italia
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha dato il via a una nuova consultazione pubblica con l’obiettivo di “raccogliere osservazioni e proposte per l’emanazione di una direttiva che definisca regole e standard minimi di qualità, al fine di garantire i diritti degli utenti sia quando contattano (inbound) sia quando vengono contattati telefonicamente dagli operatori di call center per l’attivazione di servizi o promozioni (outbound)”.
L’eterna lotta contro le chiamate a tutte le ore da parte di zelanti venditori di qualsivoglia prodotto/servizio continua dunque a suon di consultazioni, ma nulla di veramente efficace è ancora stato fatto per mettere fine alle continue intromissioni negli orari più improbabili dei call center che tentano di convincere ad aderire a questo o quel servizio con un vero e proprio pressing commerciale.
Chiamate che spesso si concludono con l’attivazione, molto spesso non richiesta dall’utente, di servizi e prodotti – linee veloci Internet, segreterie telefoniche, tariffe particolari, instradamento automatico della linea verso altro operatore – che vanno poi a gravare sul già salato conto bimestrale del telefono.
Ora, viene spontaneo chiedersi, come ha fatto anche l’Aduc, a che pro una nuova consultazione se esistono già regole e sanzioni? Non sarà soltanto un voler rimandare ulteriormente l’imposizione di sacrosante multe?
Secondo il Garante Privacy nel 2007 sono stati avviati a fornitori di servizi di comunicazione elettronica e call center 44 procedimenti sanzionatori, 22 dei quali già definiti con il pagamento di somme per un totale di oltre 130 mila euro.
Perché non continuare sulla via dell’applicazione delle norme, senza menare il can per l’aia con l’ennesimo annuncio di una nuova ‘campagna di monitoraggio, con la collaborazione delle associazioni dei consumatori’ del tutto inutile?
Dovremmo già essere al passo successivo, ma a quanto pare a nessuno interessa seriamente stoppare questo strano fenomeno dei call center, che – evidentemente – potranno continuare a martellare gli utenti per offrire servizi che nessuno ha richiesto, salvo poi rivelarsi una giungla di inefficienza per quei poveretti che hanno la necessità di rivolgersi a uno di loro per risolvere un problema.
Secondo i dati di Adusbef sono oltre 2 milioni i consumatori che ogni anno sono costretti a pagare servizi non richiesti, per un volume d’affare di oltre 300 milioni di euro e un costo pro-capite pari a 150 euro ad utente.
I profitti legati a queste politiche di marketing abusive se non a vere e proprie scelte aziendali – al netto dei reclami e delle restituzioni delle somme a quei cittadini più attenti, che una volta accortisi del bidone non si stancano di reclamare la restituzione delle somme – sono pari a circa 200 milioni di euro, calcola Adusbef.
Il 26 novembre 2006 l’Agcom ha adottato il regolamento per la tutela degli utenti in materia di contratti a distanza conclusi per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica, con sanzioni da 58.000 a 2.500.000 euro, disponendo, tra le altre cose, la registrazione integrale della conversazione telefonica e l’invio al recapito indicato dall’utente di uno specifico modulo di conferma, non oltre lo stesso giorno in cui il contratto inizia a esplicare i suoi effetti, nonché il divieto di fornire beni o servizi di comunicazione elettronica diversi da quelli espressamente concordati.
A fine dicembre, è intervenuto sulla questione anche il Garante Privacy che ha disposto l’applicazione di sanzioni amministrative, ulteriori ispezioni e, nei casi di infrazione più gravi, anche il divieto di continuare a trattare i dati personali dei potenziali clienti, dopo che – è stato accertato – il provvedimento in materia, emanato a marzo dello scorso anno, non ha sortito gli effetti sperati.
A marzo del 2006, il Garante aveva deciso di obbligare gli operatori ad adottare, entro il mese di maggio, misure specifiche per contrastare il fenomeno delle attivazione abusive.
I gestori telefonici e i call center, in base a queste disposizioni, avrebbero dovuto contattare soltanto le persone che avessero manifestato un preventivo consenso a ricevere chiamate e comunicazioni promozionali (indicato da appositi simboli sugli elenchi telefonici), nonché spiegare sempre e comunque agli interessati da dove fossero stati reperiti i dati personali che li riguardano e rispettare la volontà degli utenti di non essere più disturbati con offerte promozionali. Agli utenti, la possibilità di esigere di far cancellare i loro dati dal data base del call center nel quale siano stati indebitamente inseriti.
Ma niente è cambiato e così l’8 gennaio 2007 il Garante Privacy rafforza il suo annuncio, avvertendo, che si potrebbe anche arrivare a chiudere i call center che continuano a effettuare chiamate ‘di disturbo’ nei confronti degli utenti.
E poi ancora il 15 giugno, il Garante impone ai gestori di interrompere i comportamenti illeciti e disposto che entro il 10 settembre siano adottate misure per il rispetto degli utenti.
In particolare, gestori e call center dovranno interrompere l’uso indebito di numeri telefonici raccolti ed utilizzati a scopi commerciali senza il previsto consenso da parte degli interessati; regolarizzare le banche dati informando gli utenti e ottenendo da essi lo specifico consenso all’utilizzo dei dati per scopi pubblicitari; informare con la massima trasparenza gli utenti anche al momento del contatto sulla provenienza dei dati e sul loro uso; registrare la volontà degli utenti di non essere più disturbati; interrompere l’utilizzo illecito di dati per attivare servizi non richiesti (segreterie, linee internet veloci); effettuare controlli sui responsabili dei trattamenti svolti presso i diversi call center.
Nel frattempo non resta che affidarci a San Pietro Claver, pregandolo perchè faccia in modo che dal 10 settembre i call center siano un po’ meno invasivi e un po’ più preparati a risolvere le richieste degli utenti.