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‘W le radio libere, ma libere veramente’: storia di un medium che guarda al futuro

Italia


Una nuova generazione

 

 

Il Consiglio regionale e il Comitato regionale per le comunicazioni del Friuli Venezia Giulia (Corecom FVG) hanno voluto ricordare un momento di svolta della comunicazione in Italia, con la liberalizzazione dell’etere (sentenza n. 202, 28 luglio 1976 della Corte Costituzionale) e la nascita delle radio “libere”.

Una mostra, “Trent’anni di libertà d’antenna. RADIO FM 1976- 2006 , e un convegno, “W le radio libere, ma libere veramente…”, sulle radio “libere”, che in regione hanno avuto un ruolo importante fin dalla loro nascita, quando, durante il dramma del terremoto in Friuli (6 maggio 1976), dei giovani, giornalisticamente “appena nati”, hanno svolto un ruolo importante per informare la popolazione ed aiutare i soccorritori.

In quei giorni, infatti, in tutta Italia ma in particolare nella nostra regione, è nata una generazione di giornalisti, tecnici, dj ed operatori.

Giovani che -più di 30 anni fa- hanno scoperto nuovi spazi di espressione, di libertà, di musica, di sport, ma anche -da subito- di impegno sociale, di “servizio pubblico” a favore del territorio.

Per quei giovani neogiornalisti -ma in quel momento erano ancora “pirati” dell’etere- è stato quasi “naturale” andare a raccontare la terribile realtà del terremoto in Friuli, scoprendo la forza straordinaria di uno strumento che per molti di loro, fino a quel momento, sembrava solo un bel gioco.

Forse, questo impegno era nel Dna delle radio “libere” (che spesso nascevano “pirata”), come dimostra l’esempio di Danilo Dolci (triestino, 1924-1997) che diede vita ad una esperienza di rottura trasmettendo per due giorni, 25 e 26 marzo 1970, la voce dei terremotati del Belice (Sicilia).

Radio Libera Partinico (Radio Libera Sicilia) dopo 27 ore di trasmissione fu chiusa dalla Polizia, ma senza alcuna denuncia…

 

Le nuove “praterie” della modulazione di frequenza

 

Il 28 luglio del 1976, dopo tante richieste e provocazioni, la Corte Costituzionale liberalizza, almeno in parte, l’etere, facendo scoprire a un nuovo pubblico -prevalentemente giovanile- le “praterie” della modulazione di frequenza (FM), mentre il servizio pubblico trasmetteva solo sulle onde medie (radio e radioline dovettero adeguarsi rapidamente alle nuove esigenze del mercato).

Si apre, così, una nuova stagione di straordinaria importanza per tutta la società italiana.

Una prima anticipazione delle radio “libere” viene dalla scelta di radio “straniere”, Radio Montecarlo, Radio Capodistria e Radio Luxemburg, che aprono il mercato e dimostrano concretamente quello che si può (si potrebbe) fare al di fuori del monopolio pubblico.

Il monopolio pubblico viene demolito -come detto- dalla sentenza della Corte (n. 202), mentre per le televisioni si dovrà aspettare la sentenza n. 148 del 1981 della Corte Costituzionale, che ammetterà per la prima volta il superamento del regime di monopolio pubblico televisivo, raccomandando, però, di evitare concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche.

Nel 1976 esplode, così, un’energia creativa e una voglia di partecipare che coinvolge soprattutto il mondo giovanile: voci, musica, informazione, tante parole e soprattutto tanta politica.

La politica “alternativa” sembra egemonizzare quella stagione, ma -come ha spiegato bene il professor Peppino Ortoleva nelle sue ricerche e nel prezioso libro, edito da Minerva edizioni, che accompagna la mostra su 30 anni di libertà d’antenna- sarebbe fuorviante ridurre il fenomeno delle radio “libere” esclusivamente a una cifra “militante”. Non si capirebbe, infatti, come le radio -passata la fase romantica e/o rivoluzionaria- siano diventate delle “imprese”, capaci di far di conto, di misurare le entrate e le uscite, per affidarsi a collaboratori sempre meno “volontari” e sempre più professionali.

La memoria dei tempi “eroici” rischia di mitizzare una miriade di esperienze dentro gli stereotipi della “meglio gioventù”, ma anche dentro gli stereotipi c’è sempre un frammento di verità… .

Le radio “libere”, appena nate, non solo hanno raccontato quel pezzo di storia (se dopo 30 anni si parla già di storia si conferma quanto siano corti i tempi dell’età postmoderna), ma sono state -nel bene e nel male- anche espressione di un clima culturale e sociale assai più complesso ed articolato.

 

Pluralismo delle voci

 

Nel bene, e questo è un merito fondamentale e consolidato, perché hanno innescato un processo reale di pluralismo delle voci, nate dal basso (i costi erano o sembravano irrisori, rispetto alla potenza del medium), espressione del territorio, senza distinzione tra Nord, Sud o Centro (è ancora Ortoleva a spiegare la straordinaria diffusione “nazionale” del fenomeno).

Nel bene perché sono diventate espressione di una società che proprio in quegli anni si stava trasformando e “liberando”.

Gli anni Settanta sono stati gli anni della crisi petrolifera (la prima nel 1973, con il prezzo del barile che passa da 2,18 dollari a 11,65 dollari in un paio d’anni, e la seconda nel 1979), che ridisegna il panorama mondiale (inizia la radicalizzazione delle differenze tra paesi ricchi e poveri) mentre l’Italia vive il terribile momento della “stagflazione” (nel 1974 con il sovrapporsi della stagnazione economica e l’inflazione) con l’aumento simultaneo della disoccupazione e dei prezzi.

Ma negli anni Settanta l’Italia si apre a nuovi scenari con l’affermazione della legge sul divorzio (1970) e la sconfitta del referendum abrogativo (1974), la riforma del diritto di famiglia (1975) con la (quasi) parificazione tra donne ed uomini, e la legge sull’interruzione della gravidanza (1978).

Nel male perché le radio “libere” non solo hanno raccontato ma spesso hanno “fiancheggiato” movimenti violenti che si proclamavano rivoluzionari.

Gli anni Settanta sono anche gli “anni di piombo”, con stragi ed attentati, quando la violenza e l’annientamento dell’avversario diventano pratica diffusa. La lunga sequenza di stragi italiane inizia il 12 dicembre del 1969 (Piazza fontana, 16 morti) e poi continua con scadenza inesorabile con il massacro di Gioia Tauro (22 luglio 1970, 6 morti), di Peteano (31 maggio 1972, tre carabinieri morti in un agguato), di Brescia (28 maggio 1974, 8 morti durante una manifestazione sindacale), dell’Italicus (4 agosto 1974, 12 morti), per finire con la strage più terribile, quella di Bologna, alle 10.20 del 2 agosto 1980 ed 85 morti.

Nel cuore degli anni Settanta c’è anche il rapimento e l’assassinio dell’onorevole Moro e della sua scorta (marzo-maggio 1978).

E poi ci sono stati tanti altri morti assassinati, attentati ed azzoppamenti, perché bisognava “colpirne uno per educarne 100…”.

Tutto questo viene raccontato nelle radio “libere” (e tanto altro ancora) nate negli anni Settanta.

 

La diffidenza dei partiti

 

Può essere curioso ricordare oggi, che la politica vive di nuovo un momento di crisi -seguendo ancora il suggerimento del professor Ortoleva- che i grandi partiti di massa di allora (con l’eccezione del Partito Radicale) guardarono con diffidenza all’esplosione delle radio “libere”, troppo libere e troppo movimentiste.

I due principali partiti della prima Repubblica, Democrazia Cristiana e Partito Comunista, salvo rare eccezioni, guardavano con diffidenza a queste novità, perché erano fortemente ancorati alla logica del “monopolio pubblico” dell’informazione, i cui spazi, nella migliore delle ipotesi, andavano divisi proporzionalmente (a quei tempi si diceva “lottizzati”, assieme al Partito Socialista).

Eppure, i giovani di destra e sinistra -nonostante il clima di violenza e di scontro- dentro le radio riuscirono a trovare, qua e là, dei linguaggi comuni, grazie soprattutto alla musica.

Poi le cose sono cambiate. Le stragi e le violenze sono (quasi) terminate; è aumentato il reddito e il debito pubblico (che ancora non abbiamo iniziato a restituire); la televisione ha imposto il suo potere totalizzante, fatto di immagini e di soldi (è impossibile gestire una televisione privata senza pubblicità e senza far di conto).

Solo nel 1990, quando ormai il mercato radiofonico e soprattutto televisivo è stato tutto “occupato”, arriva -dopo ripetute sollecitazioni della Corte Costituzionale- la prima legge di regolamentazione del sistema radiotelevisivo (la legge 223/1990, comunemente detta Mammì), che in sostanza fotografa e prende atto della realtà.

Nel frattempo, molti giovani “nati” nelle radio “libere” degli anni Settanta fanno strada e diventano protagonisti del nuovo medium televisivo.

 

Conclusioni

 

E adesso?

La Radio è stata più volte considerata obsoleta e invece resiste e si allarga. E’ diventata paradigma della comunicazione postmoderna, perché costa meno, sopravvive alle crisi, non è invasa dai politici, è interattiva grazie all’antica convergenza con il telefono ed ora con internet, lascia spazio alla fantasia e agli occhi di vagare sul mondo.

Eppure si parla e straparla quasi sempre di televisione e poco di radio.

 

Invece la radio, quasi di soppiatto, ha visto crescere gli ascolti, l’apprezzamento del pubblico e la raccolta pubblicitaria (secondo i dati Audiradio il fatturato raccolto dalle radio nel primo semestre del 2007 è stato di 650 milioni di euro, sono più di 38 milioni di ascoltatoti giornalieri, mentre la raccolta pubblicitaria della televisione comincia a manifestare le prime crepe).

Le radio private, oggi, sono sulla soglia di una rivoluzione tecnologica, con il passaggio dall’analogico al digitale, che dovrebbe migliorare la qualità di ascolto e la possibilità di scegliere le proprie trasmissioni, magari scaricandole con modalità “podcasting“, con una nuova contaminazione tra le radio e internet.

Le radio, infatti, non solo vengono ascoltate su internet, ma hanno moltiplicato la loro capacità interattiva, grazie al continuo scambio di eMail in tempo reale e l’invio di immagini attraverso le webcam (naturalmente su scala globale).

Le radio, oggi, garantiscono un reale pluralismo, sono diffuse sul territorio, stanno vivendo una svolta tecnologica, coniugando creatività e spirito imprenditoriale.

 

Sembra proprio che il futuro delle radio sia già iniziato.

E’ quindi importante che le radio restino libere, ma libere veramente…

 

 

Consulta il profilo Who is Who di Franco Del Campo

 

Video del Convegno

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