Italia
Da qualche tempo, dentro il sistema dell’informazione televisiva italiana serpeggia una sorta di “bolscevismo mediatico”.
Non si tratta di ideologia, morta e sepolta, ma di metodo, che forse è sempre stato la parte più deteriore del bolscevismo: l’azione di una minoranza violenta ed organizzata, composta da professionisti della rivoluzione, tesa alla conquista del potere.
Ed oggi, come si sa, il potere non sta più nel Palazzo d’Inverno, ma dentro il sistema dei media e della visibilità da conquistare ad ogni costo.
Per la visibilità, o la notorietà, che Andy Warol ha promesso a tutti per almeno 15 minuti nella vita, si è disposti a (quasi) tutto. E la visibilità, nella società postmoderna, spesso diventa potere. Le idee, le opinioni e anche i fatti esistono o non esistono, sono rilevanti o inutili, in base allo spazio e al tempo che si conquistano sui media e in particolare in televisione, la vera unità di misura del successo mediatico.
Dentro il sistema dei media, a quanto pare, il vecchio modello bolscevico, un po’ meno violento e più educato, continua a funzionare.
Gli esempi non mancano.
Qualche giorno fa, uno gruppetto di circa duecento persone ha sfilato, a l’Aquila, con qualche striscione per contestare il carcere duro applicato alla brigatista Nadia Lioce, accusata di aver partecipato all’assassinio di Biagi e D’Antona. Risultato: pagine e pagine di giornali e soprattutto lunghi servizi televisivi (anche nel servizio pubblico) sull’avvenimento, certamente inquietante, ma assolutamente minoritario e isolato presso l’opinione pubblica. Eppure, grazie ai mass media, la sfilata dei duecento è stata un clamoroso successo. Frasi “incivili, vergognose, distruttive“, secondo il parere del procuratore di Bologna Enrico Di Nicola, sono state riprese, moltiplicate, propagandate a dismisura nelle televisioni nazionali e i duecento sostenitori di Nadia Lioce ringraziano di cuore.
Negli stessi giorni un graffittaro idiota scrive vicino alla casa di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalla Brigate Rosse, “terrorista è lo Stato“. Invece di avvisare opportunamente la Digos e subito dopo cancellare la scritta, si scatenano tanti e ripetuti servizi televisivi, spazio, tempo, visibilità e quindi “potere” a livello nazionale, per un episodio che avrebbe potuto/dovuto restare circoscritto alle indagini giudiziarie e a una stupidità tutta locale.
Negli stessi giorni, durante un importante convegno sull’economia organizzato a Trento sul “capitale dell’intelligenza”, un gruppo di 15 persone interviene rumorosamente e apre degli striscioni ostili alla base Usa di Vicenza. Il convegno si interrompe, il presidente del consiglio presente tra i relatori ammutolisce imbronciato e il moderatore, Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole-24 ore, invita molto educatamente una rappresentante della protesta ad esporre le sue opinioni: “Io l’ho votata e mi sono sentita tradita” dice la signora Cinzia Bottene, rivolgendosi a Romano Prodi.
Ma dove sta la notizia?
Non ci sono state grandi e pacifiche manifestazioni con migliaia di partecipanti che dicevano le stesse cose?
In compenso non sapremo mai, salvo andarlo a leggere sui giornali specializzati, cosa è stato detto al convegno (probabilmente finanziato con soldi pubblici) sul rapporto tra crescita economica e intelligenza.
Stesso metodo e stessa logica a Rostock, quando meno di duemila Black Bloc, venuti da tutta Europa, ingaggiano una dura battaglia con la polizia tedesca per contestare il G8. Anche qui lunghe immagini di sassaiole e violenze, di cariche della polizia (430 i poliziotti feriti e 520 tra i manifestanti), mentre solo alla fine e per pochi secondi si viene a sapere che c’era stata una grande manifestazione pacifica con migliaia di partecipanti, famiglie e bambini compresi.
“Solo con la violenza ci si fa ascoltare, la protesta pacifica non porta a nulla“, teorizza un piccolo Lenin tedesco, di buona famiglia, orgogliosamente battagliero a Rostock.
E il sistema dei mass media sembra confermare e rafforzare questa microideologia postrivoluzionaria.
Del resto anche i nostri rappresentanti in Parlamento non disdegnano di manifestare con striscioni, urli e strepiti, quando sanno che ci sono le riprese televisive, tanto che alcune visite di scolaresche sono state sconsigliate per non diffondere il cattivo esempio.
Sempre più spesso i nostri politici, specie davanti alle telecamere, indulgono nel movimento aggressivo, che nel programma futurista precede lo schiaffo e il pugno, e i richiami del Presidente della Repubblica alla sobrietà della politica sembrano destinati a ridursi a delle “prediche inutili”.
Eppure la sobrietà è possibile. I media possono raccontare la realtà con misura e senso delle proporzioni, senza censure, ma senza eccitarsi solo per lo scontro. Nell’Europa di Voltaire tutti hanno diritto ad esporre le proprie opinioni, basta che l’urlo e l’insulto lascino un po’ di spazio anche a chi tenta di parlare e ragionare con moderazione e rispetto per gli altri.
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