Italia
Il centrodestra raccoglierà la proposta avanzata dal Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, di collaborare alla riforma del sistema radiotelevisivo? Dalle pagine di un’intervista al Messaggero, Gentiloni, al centro del dibattito nazionale dopo l’approvazione del Governo del decreto che porta il suo nome, si apre all’opposizione per chiedere una mediazione.
“…Maggioranza e opposizione lavorino insieme in Parlamento per approvare la riforma della Rai”, ha detto il Ministro e ha spiegato anche le motivazioni: “…ne hanno convenienza entrambi gli schieramenti ed è una riforma che serve al Paese”.
Il Ministro ha quindi fatto riferimento alla necessità di depoliticizzare la Tv pubblica, sostenendo: “…Il mio obiettivo e quello del Governo è palese: bisogna separare questi due fratelli siamesi che sono ormai diventati la Rai e i partiti, la Rai e la politica, la Rai e la lottizzazione. Se non lo facciamo c’è un rischio molto forte per il servizio pubblico”.
Quanto al Cda di Viale Mazzini, il Ministro ha ricordato che “…nella scorsa legislatura si è modificato il sistema di nomina del vertice Rai nella direzione esattamente opposta a quella che sarebbe stata necessaria. La presa dei partiti è aumentata. Con la legge Gasparri , per la prima volta dopo 50 anni, la proprietà della Rai è stata posta direttamente nelle mani del Governo”.
“…Ora – ha detto ancora Gentiloni – si tratta di fare una inversione a U. Ecco. Lo dico a maggioranza e opposizione: mettere una intercapedine, separare la Rai e i partiti, la Rai e il Governo, è uno di quei classici obiettivi che deve essere condiviso, con un’azione bipartisan”.
E ha aggiunto: “…Peraltro anche tatticamente non vedo perché l’opposizione dovrebbe condividere la proposta di un Governo che si spoglia della proprietà di una azienda trasferendola a una Fondazione, stabilendo dei criteri di nomina che non consentono un controllo sull’azienda da parte della maggioranza pro-tempore”.
Dall’opposizione, Giulio Tremonti ha detto di condividere “…l’idea di Gentiloni di mettere la proprietà dell’azienda in una Fondazione“. Ma per un Ministro promosso, ce n’è un altro bocciato, Tommaso Padoa Schioppa. “…Petroni, che pure stimo molto, non è stato nominato da me. Dagli atti emerge che il Ministro non si è mosso sulla linea privatistica, ma pubblicistica, emettendo un provvedimento d’autorità che è un vero e proprio contrarius actus – ha spiegato l’ex Ministro dell’Economica – Da alcuni secoli i provvedimenti d’autorità devono essere motivati. La motivazione adottata è la tipica motivazione suicida. Il Ministro ha detto che avrebbe fatto ciò che non poteva: azzerare l’intero vertice aziendale a causa della situazione economica della Rai. Non ha fatto invece quello che poteva fare su questo presupposto, estendere il contrarius actus anche al direttore generale e al presidente, revocando pure loro”.
L’approvazione del Ddl Gentiloni, che reca provvedimenti di riforma soprattutto per la Tv pubblica, ha lasciato scontenti in molti del centrodestra.
Dalla Commissione parlamentare di vigilanza, il presidente Mario Landolfi ha espresso il proprio dissenso, sostenendo che le nuove norme non assicurano la Rai dall’influenza dei partiti.
Anche Maurizio Gasparri, ex Ministro delle Comunicazioni e firmatario della precedente legge sul sistema radiotelevisivo, non condivide: “…Il Cda verrebbe formato con procedure complesse e affidando poteri di nomina ad ambienti e strutture la cui legittimità appare assai dubbia in riferimento alle funzioni di quella che resta comunque una Spa”.
Il Ddl Gentiloni, tra le altre cose, introduce la Fondazione che sarà garante dell’autonomia del servizio pubblico, incaricata di verificare il valore sociale della programmazione e di assicurare una gestione efficiente, e di un Consiglio composto di 11 membri, con misure stringenti di incompatibilità. La Fondazione controlla Rai Spa, che realizza le attività del servizio pubblico radiotelevisivo. Rai Spa realizza le attività di servizio pubblico, controlla le società operative del gruppo e ne nomina i consigli di amministrazione.
I membri del Consiglio della Fondazione durano in carica sei anni, una parte di essi verrà rinnovata dopo il primo triennio dall’insediamento, per favorire un criterio di rinnovo non contemporaneo tra le diverse componenti. Non possono essere confermati nella carica. Sono scelti tra persone di “indiscussa moralità e indipendenza e di comprovata professionalità” nel settore delle comunicazioni, dell’audiovisivo, del cinema, della arti, della cultura. Non possono essere nominati coloro che nei due anni precedenti hanno ricoperto incarichi elettivi politici o ruolo di rappresentanza dei partiti. I membri del Consiglio della Fondazione non possono esercitare “direttamente o indirettamente” alcuna attività professionale o di consulenza, essere amministratori o dipendenti di soggetti pubblici o privati, né ricoprire altri incarichi pubblici. E’ fatta salva solo l’attività di studio e ricerca.