Mondo
La censura dei governi sul web è un fenomeno in preoccupante crescita. Praticata nel 2002 da un numero relativamente basso di Paesi, la tendenza a controllare internet e i suoi utenti sarebbe oggi un’abitudine consolidata in almeno 25 paesi, sui 41 presi in esame da uno studio condotto da Open Net Initiative.
L’associazione ha preso in esame centinaia di siti web gestiti da 120 provider in 41 paesi e i risultati sono tutt’altro che confortanti: “In 5 anni – ha spiegato John Palfrey, docente alla Harvard Law School – siamo passati da un paio di paesi a ben 25 che praticano una censura imposta dal governo sulla rete”.
Secondo lo studio la censura non solo si sta espandendo a macchia d’olio, ma diventa sempre più sofisticata dal momento che non vengono bloccati soltanto siti web, come quelli pornografici o di download illegale, ma anche applicazioni molto popolari come Skype e Google Maps. Tra i paesi più attivi in questo senso, Iran, Cina e Arabia Saudita.
Lo studio ha scoperto attività censorie estremamente radicate in Asia, Medio Oriente e Nord Africa, dove i governi vietano l’accesso a informazioni relative alla politica, alla sessualità, alla cultura e alla religione perché ritenuti argomenti troppo sensibili.
La censura politica è inoltre praticata in maniera estensiva in Siria, Tunisia, Vietnam, Iran, Cina e Birmania. In Corea del Sud è impedito l’accesso a qualsiasi sito contenga informazioni sulla Corea del Nord e ai siti di separatisti ed estremisti, per motivi inerenti alla sicurezza nazionale, così come avviene anche in Birmania, Cina e Pakistan.
Nello Yemen e in Arabia Saudita, ma anche in Iran e Tunisia, si bloccano le informazioni di carattere sociale.
Nessuna prova di censura è stata invece trovata in 14 paesi tra cui Afghanistan, Egitto, Iraq, Israele, West Bank e Gaza, Malaysia, Nepal, Venezuela e Zimbabwe, dove è invece opinione diffusa che la rete sia strettamente sorvegliata dalle autorità.
La censura della rete continua dunque a crescere e non a sorpresa, vista l’importanza del mezzo.
“Le implicazioni di questo trend – ha detto ancora Palfrey – sono preoccupanti per i diritti umani, l’attivismo politico e lo sviluppo economico”dei paesi che lo praticano.
Lo studio condotto dall’ONI rappresenta la prima valutazione completa e globale delle pratiche di filtraggio della rete, finora descritte solo da rumors e aneddoti.
“Abbiamo dimostrato che le forbici dei governi diventano sempre più pervasive e subdole, spesso mascherate da errori della rete”, ha spiegato Jonathan Zittrain, docente di Internet Governance e Regulation alla Oxford University.
I test sono stati effettuati anche in paesi occidentali, dove però si sono incontrate maggiori difficoltà per il fatto che non sono i governi quanto il settore privato a filtrare i contenuti e gli sforzi sono concentrati a risolvere questioni quali il diritto d’autore o la pedopornografia.
“Il cyberspazio è diventato un forum di competizione strategico tra gli Stati, ma anche tra governi e cittadini”, ha dichiarato Rafal Rohozinski della Cambridge University, sottolineando come “autorità e intelligence considerano la rete un ‘campo operativo’ decisivo che sarà soggetto a un controllo e a una regolazione uguale se non maggiore a quella degli altri media”.
La ricerca, ha concluso, sottolinea l’emergere di nuovi trend nel filtraggio dei contenuti, incluso il ‘filtraggio relativo ad eventi’ quali le elezioni politiche e altri momenti sensibili e quello dei contenuti, attuato dagli stessi produttori che vietano l’accesso al loro materiale in determinati paesi ma non in altri. C’è poi l’upstream filtering, dove la censura avviene al di fuori della giurisdizione nazionale.