Italia
Sarà, questa, una settimana cruciale per la definizione del futuro assetto azionario di Telecom Italia?
Dopo le turbolenze del lungo ponte pasquale, iniziato con le dimissioni di Guido Rossi, oggi Intesa Sanpaolo fa sapere di avere avviato contatti con più parti per l’eventuale cessione di una quota di maggioranza del capitale di Olimpia (holding di controllo di Telecom Italia), mentre il governo è al lavoro per tentare di rafforzare i poteri dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, unica strada percorribile per avere maggiore certezza sugli investimenti del maggiore gruppo telefonico italiano.
In merito all’interessamento di possibili cordate bancarie, il gruppo ha comunicato – su richiesta della Consob – che sono in corso dei contatti con diversi soggetti, ma che si tratta ancora di una fase interlocutoria e non è quindi possibile “formulare indicazioni in merito al loro possibile esito”.
Eventuali sviluppi, ha concluso Intesa Sanpaolo – “verranno debitamente comunicati al mercato”.
Questi contatti non includono – come invece sostenuto da alcune fonti – UniCredit, che ha dichiarato di “non far parte di alcuna cordata e che, allo stato, non ha negoziazione in corso con partecipanti alle predette cordate o con la parte venditrice”.
Un vortice di ipotesi e smentite che si rincorrono veloci quasi quanto lo sono le sortite politiche, mentre il governo sarebbe al lavoro per rafforzare i poteri dell’Agcom – come più volte richiesto dal suo presidente Corrado Calabrò – dal momento che solo l’Authority, ha spiegato il ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni, “può porre le basi” per garantire che chiunque sopraggiunga nel capitale della società si impegni a effettuare adeguati investimenti per ammodernare la rete.
Per questo, si potrebbe decidere di inserire il rafforzamento delle funzioni regolatorie dell’Agcom sulla rete – prendendo a modello la britannica Ofcom – nel disegno di legge Bersani sulle liberalizzazioni o nella riforma delle Authority già all’esame del Parlamento.
Le regole sugli investimenti, secondo Gentiloni, “non possono venire per legge, ma devono essere argomento della trattativa tra l’operatore e l’Autorità, garantendo da una parte un ritorno adeguato al capitale investito e dall’ altra impegni precisi sulla realizzazione di infrastrutture e sul loro continuo aggiornamento”.
Di riforme parla anche dal suo blog il ministro per le infrastrutture Antonio Di Pietro, riferendosi però alla legge Draghi, del 1998, che introdusse la normativa per l’Offerta Pubblica di Acquisto e la scalata delle società quotate in Borsa.
Telecom Italia è stata tra l’altro la prima società oggetto di OPA, da parte dell’Olivetti di Roberto Colaninno.
L’Italia dei Valori presenterà dunque un suo disegno di legge, con l’intento di dar voce anche ai piccoli azionisti e abolire la pratica delle cosiddette scatole cinesi, che permette “a Olimpia di Tronchetti Provera di controllare il 75% del consiglio di amministrazione di Telecom Italia con il 18% del capitale”.
Di Pietro ha anche aderito all’iniziativa lanciata da Beppe Grillo, ma – spiega il ministro, “la Consob mi ha notificato una lunga lettera dove si spiega che serve una procedura complicata e farraginosa. E così Grillo, che non ha le particolari qualifiche richieste, non potrà parlare a nome di tutti” alla prossima assemblea del 15 e 16 aprile.
Dal suo cilindro, Di Pietro tira fuori anche un’altra proposta, che richiede però lo scorporo della rete.
“Quando sono in gioco reti fondamentali per il Paese – spiega Di Pietro – se uno vende lo può fare, ma chi compra deve ottenere una nuova autorizzazione dello Stato per quanto riguarda l’utilizzo della stessa. Il tutto per evitare, per esempio, che uno utilizzi la rete per intascare dividendi anziché fare gli investimenti per migliorare il servizio”.
Sono gli investimenti, giustamente, a catalizzare l’attenzione di tutti, proprio perché ce ne vogliono tanti: realizzare una rete di nuova generazione (NGN) richiede un esborso pari ad almeno 900-1.000 euro a utenza.
Per questo, ha spiegato il ministro Gentiloni, “serve un quadro regolatorio chiaro. E’ chiaro che bisogna assicurare questi investimenti al Paese, e non sappiamo se il nuovo proprietario della società li realizzerà o se invece, vista la loro notevole entità, non preferisca evitare e magari avviare uno spezzatino della società”.
AT&T, da canto suo, torna a ripetere che il suo interesse primario è quello di dar vita a una partnership, non di prendere il controllo di Telecom Italia.
Il portavoce per l’area europea di AT&T, Niall Hockey, ha ribadito che la società vorrebbe ottenere “una quota indiretta pari al 6% del capitale di Telecom Italia e nessuna presenza nel Cda”.
Una partnership, del resto, farebbe bene a Telecom Italia, che potrebbe far leva sulle risorse di AT&T per competere con BT Global Services – attualmente l’Italia è il secondo maggiore mercato per BT Group – T-Systems (controllata da Deutsche Telekom) e Orange Business Services (ex Equant).
Come hanno notato alcuni analisti, del resto, AT&T “non è più un dinosauro, ma un agile cacciatore” e ora che il consolidamento negli Usa è stato completato “ha tutti i mezzi per iniziare a investire a livello globale”. E la piattaforma Telecom – con i suoi 8,7 milioni di utenti a banda larga in Europa e i 25,4 milioni in Brasile – sarebbe la base ideale per il debutto europeo.
Nell’ultimo giorno utile per l’acquisto di azioni da portare all’assemblea del 16 aprile, il titolo Telecom Italia non brilla: a metà pomeriggio cede lo 0,74% a 2,4 euro.