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È stata respinta definitivamente la proposta di creare un dominio .xxx per i siti pornografici.
Dopo diverse vicissitudini e tentativi di resuscitare la controversa idea, il board dell’ICANN – l’ente che si occupa dell’assegnazione dei Top Level Domain (TLD) – ha infatti bocciato in via definitiva la proposta con 9 voti contro 5 e l’astensione del CEO Paul Twomey.
La decisione – ha spiegato il chairman ICANN Vinton Cerf – è “il risultato di un’attenta valutazione e considerazione di tutti gli argomenti. Considerazioni che hanno portato la maggioranza del Board a credere che la proposta dovesse essere respinta”.
Per Vittorio Bertola, socio di ISOC Italia e membro senza diritto di voto del Board di ICANN, la proposta era sostenuta soltanto dai membri statunitensi del board, o comunque da persone con quel tipo di cultura.
“Nel Board – ha spiegato Bertola – ci sono un neozelandese, un giapponese cresciuto in America, eccetera – mentre praticamente tutti coloro che vengono da altre culture sono contrari. Se fossi l’applicante, penserei di avere fatto un clamoroso errore ad incentrare la discussione sul primo emendamento della Costituzione americana”.
“Certo – ha aggiunto – probabilmente l’atteggiamento liberale americano è più coerente con Internet di quello “tradizionale”, centralista e politicizzato, del resto del mondo, ma non si può pensare di imporre un punto di vista, invece che impegnarsi per convincere chi non è d’accordo e trovare un modo di gestire anche le sue preoccupazioni”.
L’idea di creare un’etichetta apposita per i siti pornografici è nell’aria dal 2001, dettata dalla volontà di delimitare chiaramente i siti a carattere pornografico, per renderne più facile la ricerca e il filtraggio. La proposta venne accolta nel giugno del 2005 ma l’approvazione finale è stata rinviata diverse volte poiché le organizzazioni e i governi hanno richiesto più tempo per stabilire l’opportunità di creare un simile dominio, che legittimerebbe, di fatto, l’industria pornografica.
L’ICANN, trovatasi al centro delle polemiche internazionali per il suo ruolo esclusivo di supervisore di internet – rimasto intaccato nonostante la volontà di allentare nei prossimi anni la presa del Dipartimento del commercio Usa – si è trovata dunque con una grossa gatta da pelare e ha più volte bloccato la proposta.
ICM, la società che ha proposto l’istituzione del dominio ha però lavorato per venire incontro alle perplessità della Governmental Advisory Committee che aveva sollevato diversi dubbi circa la liceità di un simile TLD e ha elaborato una nuova proposta, in cui si è impegnata su diversi punti, tra i quali: il divieto di pubblicare immagini pedo-pornografiche; l’obbligo di una chiara classificazione dei registrant; la proibizione di frodi e di pratiche di marketing illegali (spam).
ICM aveva anche proposto di affidare a un ente indipendente il compito di sorvegliare il pieno rispetto di queste policy e di rafforzare gli strumenti a disposizione dei genitori per evitare che i minori vengano a contatto con materiali pornografici, nonché di coinvolgere i gruppi a tutela dei minori e i difensori della libertà di espressione nel processo di sviluppo del nuovo TLD.
Le critiche al progetto di creare un dominio .xxx sono arrivate – oltre che dall’industria pornografica che teme di essere ‘ghettizzata’ – anche da personaggi al di sopra di ogni sospetto.
Per Karl Auerbach, ex membro dell’ICANN, la decisione è addirittura ‘oscena’, mentre per le associazioni a difesa dell’infanzia è ‘pericolosa’ oltre che inutile.
Nessuno infatti, potrà costringere i siti pornografici a migrare al suffisso .xxx e, secondo molti, non tutti lo faranno: saranno piuttosto creati siti ‘paralleli’, cosa che per le associazioni anti-pornografia equivale a fare un buco nell’acqua.
Per Auerbach, l’associazione dovrebbe dunque dare priorità a domini ‘socialmente positivi’ piuttosto che favorire la già fiorente industria pornografica.
“Il board è sicuramente consapevole delle controversie, ma al cuore della decisione non ci sono motivazioni politiche”, quanto preoccupazioni legali e giuridiche, spiegava a maggio dello scorso anno Paul Twomey, sottolineando come una decisione diversa avrebbe messo l’ICANN in una posizione troppo difficile, dovendosi poi districare fra tutte le leggi che, nel mondo, governano la pornografia.
Twomey ha spiegato che l’organizzazione ha ricevuto centinaia di migliaia di messaggi contrari all’approvazione del suffisso: i più accaniti provenivano, oltre che dall’industria dell’intrattenimento, proprio dalle associazioni per la tutela delle famiglie e i gruppi religiosi.
Troppi, infine, i dubbi su chi o cosa sia in realtà ICM, l’organizzazione a cui l’ICANN avrebbe delegato il compito di occuparsi dello sviluppo del TLD, dietro cui si cela un business – quello del porno online – da 12 miliardi di dollari l’anno: sul sito non si trova altro che la sparuta biografia dei fondatori e qualche dichiarazione sulla proposta di creare il dominio .xxx che – si legge – “creerà un’area chiaramente identificabile così che gli utenti saranno più informati quando sceglieranno di selezionare o evitare i siti di intrattenimento per adulti”.