Arriva la ‘spot generation’, in bilico tra sogno e realtà. Gentiloni avverte: ‘Troppa pubblicità’

di Raffaella Natale |

Presentato a Roma il III Rapporto su Minori e Tv  

Italia


Televisione

“Una generazione di precoci massmediologi in bilico fra famiglia e no limits”. Questo l’istantanea scattata ai giovani di oggi che emerge dal III Rapporto “Minori e pubblicità” redatto dall’Osservatorio sull’immagine dei minori e presentato ieri nella sede Unicef di Roma alla presenza del Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni.

L’Unicef parla di ‘spot generation‘, di ragazzi che sognano di essere belli, aggressivi, vincenti come i protagonisti della pubblicità a cui vengono quotidianamente sottoposti, ma sembrano ancora in grado di riconoscere la distanza tra finzione e realtà, tra il “chi vorrei essere” e il “chi posso essere”.

 

L’indagine, voluta dalla società Pincopallino e condotta in collaborazione con Unicef Italia, è stata realizzata su un campione di 700 ragazzi, tra i 10 e i 12 anni, attraverso un questionario strutturato, sottopostogli dai docenti delle scuole medie del nord-centro-sud Italia.

Obiettivo, analizzare il rapporto fra i preadolescenti e alcuni degli spot più trasmessi in prima serata, come quelli di Vodafone, Breil, Sector e Rovagnati. E cogliere giudizi e reazioni dei ragazzi ai diversi messaggi, cercando anche di evidenziarne gli aspetti valoriali percepiti e quelli indotti.

 

Per la maggioranza degli intervistati il messaggio pubblicitario è perfettamente chiaro e invitante, con una lucida capacità di distinguere tra storie reali e sfide impossibili: lo dimostra la differenza tra la percezione dello spot Breil, definito mediamente come “abbastanza reale” e “abbastanza divertente”, e quello di Sector, più aggressivo, giudicato come più divertente ma decisamente meno realistico. Nel complesso, i preadolescenti giudicano il linguaggio pubblicitario “piacevole e attraente”. 

 

Ma il Rapporto mette in luce anche il rischio che lo spot possa essere rivelatore “di un’autentica consapevolezza” ma anche “di potenziali frustrazioni”. Soprattutto le bambine, si legge nella Ricerca, “sembrano avere aspirazioni molto plasmate sui modelli proposti“, cioè donne bellissime, aggressive, protagoniste, nessuna delle quali svolge un lavoro “normale“.

E su questo aspetto si è soffermato il Ministro Gentiloni che ha commentato: “…Non facciamo processi alla pubblicità, ma attenzione alle dosi. Nel 2006, nella fascia tra le 13 e le 18 sono stati trasmessi più di quattro milioni di secondi di pubblicità, cioè 97 spot ogni ora. Abbiamo tantissima pubblicità, un problema soprattutto per i bambini che in Europa hanno già deciso di affrontare: in Gran Bretagna, entro la fine del 2008, saranno vietati gli spot in tutti i programmi rivolti ai bambini”.

Il Ministro ha fatto sapere che in Italia bisogna “…intervenire anzitutto nella protezione di alcune fasce orarie, vietando ad esempio che i trailer di programmi non indicati vadano in onda in fasce protette, e che i warning per i bambini accompagnati da adulti siano visibili per tutta la durata del programma”.

E ha poi aggiunto “…occorre intervenire sulla corretta alimentazione, con delle norme per regolamentare gli spot sul cosiddetto Junk Food, il cibo veloce e troppo salato o troppo dolce e grasso. Ma la normativa – ha sottolineato – va estesa a tutto il sistema della comunicazione, e penso soprattutto a internet, con la diffusione dei sistemi di parental control, la velocizzazione delle forme di repressione, e meccanismi di tutela integrata”.

 

Danila Brancati, coordinatrice dell’Osservatorio, ha però voluto evidenziare che il primo elemento che emerge dalla Ricerca è che le storia raccontate dagli spot vengono percepite “realisticamente” e il loro contenuto appare chiarissimo ai ragazzi che sanno distinguere tra “storie” reali e sfide impossibili.

Altrettanto interessanti, è stato evidenziato, le risposte che contrappongono il possesso dell’oggetto al messaggio morale valoriale dello spot. Anche in questo caso i ragazzi distinguono con grande lucidità tra le due percezioni ed entrambe suscitano una propensione al consumo. Si pensa al possesso dell’oggetto promosso o al sistema valoriale che il bene pubblicizzato richiama.

Anche l’analisi dell’identificazione è molto sofisticata e presenta diversi aspetti di novità. Tra gli spot presi in considerazione, solo due si esprimono con linguaggi che non spingono verso l’emozione ma verso il racconto mentre tutti gli altri spingono a fondo su questa leva. Non sono tesi quindi a promuovere il prodotto ma piuttosto l’identificazione con i personaggi all’interno delle situazioni. La percezione dei ragazzi appare doppia: da un lato consapevolmente dichiarano che il personaggio proposto è per loro, nella maggior parte dei casi, irraggiungibile, ma dall’altro aderiscono completamente al modello proposto.

 

Accettano acriticamente come modello la figura del protagonista dello spot, al punto che circa l’80% dei preadolescenti intervistati dichiara di riconoscersi nei personaggi protagonisti di alcuni spot.

Dunque, se da un lato questi ragazzi sembrano avere i piedi ben piantati per terra, dall’altra sognano di essere come i protagonisti della pubblicità.

Di pari passo la spinta verso l’acquisto appare meno rilevante, solo il 34,28% dei loro acquisti sono suggeriti dalla pubblicità. Non è forte nemmeno la pressione che esercitano sui propri genitori per avere ciò che la pubblicità propone. Inoltre, pochissimi pensano che gli oggetti proposti dagli spot aiutino ad essere accettati dai compagni.

 

Riguardo le domande sociologiche emergono comportamenti e atteggiamenti noti. Amici, sport e musica rappresentano, in quest’ordine, gli interessi primari. Ancora internet non è stato pienamente scoperto (e non stupisce che solo il 4% lo usi), ma ci sono tutti i presupposti perchè presto questa percentuale salga.

 

Colpisce comunque un dato: i giudizi e la lettura che i ragazzi sanno dare degli spot mostra un’eccellente consapevolezza dei linguaggi della comunicazione di massa. La conferma della maturità e della competenza dimostrata dai ragazzi viene dalle perentorie risposte alla domanda sui luoghi dell’apprendimento. La scuola e la famiglia, infatti, sono le due vere agenzie educative (punteggio 8,7), i veri ambienti dell’apprendimento, mentre dalla pubblicità si tira fuori molto poco.

 

In definitiva appare lo spaccato di una generazione di “bravi ragazzi” attratti dal mondo colorato, divertente ed effervescente della pubblicità, ma consapevoli del ruolo della famiglia e della scuola, con genitori meno disposti che in passato a cedere alle loro pressioni verso gli acquisti suggeriti dagli spot. Capaci altresì di valutare i limiti della fiction pubblicitaria.

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