Italia
Nessun impatto sul titolo Telecom Italia dalla notizia che ieri il colosso britannico della telefonia mobile Vodafone ha aumentato la richiesta di risarcimento danni nei confronti dell’ex monopolista a 759 milioni di euro per abuso di posizione dominante.
Rasbank ha infatti confermato il giudizio ‘neutral‘ sul titolo, con target price a 2,32 euro, mentre il premier spagnolo Zapatero si è detto favorevole a un’eventuale ingresso di Telefonica nel capitale di Olimpia, la holding che controlla Telecom Italia.
Durante la conferenza stampa congiunta con Romano Prodi a Ibiza, Zapatero ha spiegati che la line del governo spagnolo è quella di “rendere costantemente compatibili i principi europei e gli interessi di espansione delle imprese spagnole in settori strategici”.
“La nostra volontà – ha aggiunto – è che qualsiasi iniziativa che può portare ad alleanze e a partecipazioni in Paesi comunitari debba essere vista in modo favorevole e amichevole”.
L’argomento, tuttavia, non è stato oggetto di discussione tra Prodi e Zapatero: “non è nel programma e quindi non ne abbiamo parlato. Ma ci avete dato un ottimo spunto”, ha detto il premier italiano ai giornalisti, anticipando che probabilmente se ne sarebbe discusso “a pranzo”. Ma evidentemente così non è stato.
Telecom Italia, intanto, lavora all’elaborazione del nuovo piano industriale triennale che dovrà essere presentato entro il prossimo 8 marzo, anche se resta ancora in alto mare la definizione del futuro assetto azionario della società.
Proseguono infatti i contatti col management di Telefonica, anche se il cda si è affrettato a sottolineare che l’ipotesi iberica è soltanto una tra le tante che si stanno valutando: starebbero infatti proseguendo le trattative informali con altri gruppi tlc europei, tra cui Deutsche Telekom e France Télécom.
Per quanto riguarda l’opzione Telefonica, restano ancora tutte da verificare le sinergie industriali, nell’ordine di 1-1,5 miliardi di euro, senza le quali l’ingresso del gruppo iberico in Olimpia – con una quota di circa il 35% – resterebbe una mera ipotesi.
Queste sinergie potrebbero arrivare dagli asset detenuti da entrambe le compagnie in Brasile, Germania e Argentina.
L’ultimo cda Telecom ha infatti escluso la possibilità di vendere Tim Brasil, alla luce della strategicità delle attività della controllata, leader del mercato mobile brasiliano. L’integrazione o una forma di collaborazione con l’operatore Vivo – controllato da Telefonica e Portugal Telecom – potrebbe portare una serie di vantaggi a entrambi i gruppi. Fermo restando che qualsiasi operazione in tal senso dovrà essere approvata dall’antitrust brasiliana.
L’Ok all’ingresso degli spagnoli di Telefonica nella cassaforte del gruppo è arrivato ieri anche dal ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, secondo cui l’interesse del governo non va tanto alla nazionalità dell’eventuale acquirente, quanto ai piani industriali, agli investimenti proposti e all’affidabilità dell’investitore.
“Siamo europei – ha dichiarato il ministro – e come tali non poniamo alcun limite alla proprietà italiana o straniera della telefonia o delle reti”.
Per quanto riguarda la cessione della rete Telecom, tuttavia, Di Pietro ha avanzato alcune perplessità, proprio come quando fece trapelare la sua opposizione alla cessione di Wind al magnate egiziano Naguib Sawiris.
Secondo Di Pietro, infatti, “quando si ha a che fare con asset fondamentali dello Stato, come la telefonia, per cederla non basta la mera logica di mercato. Lo Stato deve salvaguardare la propria sicurezza e deve sapere chi è l’acquirente”.
Parlando da magistrato oltre che da politico, Di Pietro ha aggiunto: “ero contrario al fatto che Wind andasse in mano ad un soggetto strano legato ad una serie di soggetti strani contigui anche con l’ex rais Saddam”.
“Non ho nulla contro Sawiris – ha sottolineato Di Pietro – dico solo che la cessione di Wind andava valutata con maggiore attenzione, sia in riferimento al faccendiere, o meglio all’intermediario, della cessione, proprio per le sue caratteristiche, i suoi trascorsi giudiziari e il suo costo, sia anche in merito all’assetto societario finale”.
“L’Italia – ha concluso – deve sapere se dietro le reti c’è un grande imprenditore o un Totò Riina o un Bin Laden della situazione”.
Parallelamente, vanno avanti allo stesso modo i contatti anche con altri potenziali investitori, a cominciare dalle istituzioni finanziarie, chiamate da Marco Tronchetti Provera a controbilanciare con una presenza italiana l’ingresso degli spagnoli nella holding di controllo della società.
L’ipotesi trova in effetti pochi riscontri nella realtà: sono stati molti i “non siamo interessati” da parte delle banche, ma pare che nelle ultime ore ci sia stata una certa apertura da parte di qualche istituto.
Mediobanca ha smentito di star lavorando a fianco di Telefonica per accelerare la conclusione delle trattative a favore del gruppo guidato da Cesar Allerta – “non stiamo lavorando a favore degli spagnoli nel modo più assoluto”, ha spiegato un portavoce della banca – si affaccia anche l’ipotesi di una cordata di banche pronta a fare il suo ingresso nella cassaforte del gruppo Telecom nel caso non dovesse concretizzarsi l’accordo con la società spagnola. Tra le banche interessate, ci sarebbe proprio Mediobanca.
Niente di certo, dunque, sotto il cielo, mentre ieri il gruppo ha pubblicato il rapporto “comitato per il controllo interno e per la corporate governance“, il quale giunge in sostanza alla conclusione che la società non ha alcuna responsabilità in merito alle vicende concernenti l’ex responsabile della Funzione Security, Giuliano Tavaroli.
Osserva l’avvocato Francesco Mucciarelli che “nessuna contestazione è stata mossa a Telecom Italia in riferimento al d.lgs. 231/01, in quanto i fatti di reato posti in essere appaiono commessi in danno alla Società e non a vantaggio o nell’interesse della stessa; a tale considerazione si accompagna quella per cui le condotte illecite sarebbero state realizzate al di fuori della consapevolezza dei vertici aziendali”.
La società, si legge nel rapporto, “ha già realizzato un impegno di risorse interne per 2 milioni di ore/lavoro, con un investimento stimato in oltre 30 milioni di euro per il 2006 (7 milioni per gli anni 2007-08)” e si propone per il futuro di “integrare e rafforzare le azioni già avviate in modo da dare risposte definitive e tranquillizzanti riguardo alla correttezza dell’organizzazione e dei comportamenti”.
Nei ‘buoni propositi’, Telecom include l’attuazione delle richieste dell’Autorità Garante per la Privacy entro il 31marzo 2007; di verificare l’adeguatezza organizzativa del settore Security, “con particolare attenzione ai presidi per il rispetto della correttezza operativa e all’efficacia dei controlli” e di accertare “eventuali comportamenti di oggettiva agevolazione da parte di uffici o singoli dipendenti/collaboratori della Società all’acquisizione e al trattamento di dati riservati o comunque estranei alle attitudini professionali dei candidati all’assunzione”.
Secondo il GIP – che secondo lo stesso comitato ha usato “parole assai severe” – la Security avrebbe infatti raccolto informazioni su un certo numero di dipendenti nel periodo febbraio-agosto 2004.
Dall’indagine interna della Direzione del Personale emerge poi che i controlli erano stati disposti “per iniziativa di Tavaroli”, con la motivazione di dover disporre di elenchi del personale “in relazione al pericolo di infiltrazioni terroristiche”.
La Direzione del Personale ha dichiarato di non essere al corrente dei metodi di indagine utilizzati da Tavaroli, ma di essersi limitata a prendere atto dell’indicazione di ‘non idoneità’ di due candidati, che non vennero assunti.
Insomma, ai piani alti di Telecom nessuno sapeva niente dei metodi spiccioli utilizzati per schedare dipendenti e ignari cittadini. Possibile? E se avesse ragione Beppe Grillo?