Italia
Il mondo della pubblicità televisiva non pare abbia apprezzato molto il Ddl Gentiloni, perlomeno stando a quanto emerso dalle audizioni in Commissioni Cultura e Trasporti della Camera.
Ad aprire il confronto è stato Giuliano Adreani, presidente e amministratore delegato di Publitalia (Mediaset), che ha sostenuto che con il Ddl Gentiloni in vigore “a regime”, Mediaset perderebbe un terzo del suo fatturato che non sarebbe più recuperabile.
Adreani, nella sua audizione sul disegno di legge di riforma del sistema radiotelevisivo, ha spiegato che questo sarebbe un risultato, “…che nessuna azienda potrebbe sostenere“, della restrizione “artificiosa alla sola pubblicità del mercato televisivo che, invece, è costituito anche da abbonamenti e canone”. Quindi il Ddl non sostiene il sistema “…ma lo distorce e lo deprime colpendo un solo player, Mediaset” e negandogli il “diritto di impresa“.
Secondo l’Ad le nuove disposizioni focalizzano “…l’attenzione solo su una delle risorse disponibili (i mercati pubblicitari) e il limite del 45% alla raccolta pubblicitaria è per questo sproporzionato e ingiustificato”.
“…Una normativa discriminatoria – ha aggiunto – che costringerà Mediaset a una decurtazione di un terzo del fatturato: nessuna azienda sarebbe in grado di sopportare un taglio così rilevante. Si avvantaggiano per legge i concorrenti e si preclude ogni possibilità di recupero”.
Inoltre provocherà danni sia ai telespettatori che alle Imprese che utilizzano la pubblicità per la loro crescita. I primi, “…vedranno ridursi l’offerta free, e saranno costretti a rivolgersi alla Pay TV“. Le Imprese italiane, specialmente le medio-piccole “…si vedranno negata la possibilità di accedere alla pubblicità televisiva che diventerà più cara e non avranno questo strumento che alla base della crescita di ciascuna azienda”.
L’Ad ha detto senza mezzi termini: “…Il mercato della pubblicità se lo sono inventati perché noi viviamo solo di pubblicità. E’ una legge contro Mediaset, diciamolo chiaramente: si vuole fare fuori Mediaset”.
Secondo Adreani, “…non è vero che le risorse pubblicitarie si trasferiranno sulla stampa, metterà solo in ginocchio alcune Imprese italiane che hanno fatto la loro fortuna con la pubblicità televisiva”.
L’Ad della pubblicitaria di Mediaset ha anche sottolineato che ormai “…il sistema televisivo italiano è aperto e il duopolio è morto e sepolto”.
Prova ne è l’ingresso nel mercato di un operatore come Telecom Italia che “…fa utili per 3,7 miliardi cioè un importo superiore al fatturato di Mediaset” e di Sky Italia che fa capo alla holding di Rupert Murdoch e dispone di “138 reti”.
Di conseguenza “…focalizzare l’attenzione sulla pubblicità non crea pluralismo ma una distorsione fra gli operatori presenti perché – ha affermato Adreani – Mediaset è pesantemente colpita e Sky fortemente avvantaggiata“.
Appare chiaro, secondo Adreani, che il tetto alla pubblicità del 45%, le tele-promozioni nel computo degli affollamenti pubblicitari, Rete4 “anticipatamente” sul digitale terrestre, costituiscono “una serie di restrizioni che equivalgono a una forte penalizzazione per un solo player“.
Bocciatura del Ddl Gentiloni, poi, anche da parte dell’UPA (Unione pubblicità associati).
“…Il Ddl Gentiloni è pericoloso perché limita gli investimenti pubblicitari – ha spiegato il presidente Giulio Malgara – limitando così le imprese“.
“…Vengono penalizzate le aziende italiane che non andranno più in Tv. Col tetto del 45% alle risorse pubblicitarie è indubbio che diminuirà la pubblicità. Non siamo favorevoli a questa legge – ha detto ancora Malgara – perché meno pubblicità significa meno sviluppo, e noi abbiamo bisogno del contrario”.
Il presidente dell’Upa “boccia” così la riforma, spiegando che le aziende che investono in Italia “…sono 16mila, 44 mila in Gran Bretagna. In Italia la percentuale di investimento è di circa 154 euro a persona, in Inghilterra sono 200-220 euro, negli Usa si arriva a 400 euro. Insomma siamo un piccolo Paese dal punto di vista della pubblicità”.
Secondo Malgara a essere penalizzate in particolare sarebbero “…le medie aziende che non potrebbero più permettersi investimenti”.
Per quanto attiene il digitale terrestre, ha, quindi, spiegato di aver proposto di togliere il passaggio del 2008 “…perché è utopistico pensare che il prossimo anno passeremo al nuovo sistema” e andare direttamente al termine del 2012.
“…A quel punto si dovrebbe verificare se almeno il 70% degli italiani ha il decoder si passa al digitale altrimenti” si rimanda.
“Io credo – ha commentato – che realisticamente il passaggio avverrà tra il 2012 e il 2015″ .
A margine dell’audizione, il presidente dell’Upa ha poi spiegato che il Ddl “…è frutto di un errore tecnico, perché tra le risorse da includere nel limite inserisce solo la pubblicità, e non anche quelle derivanti da canone e abbonamenti, da cui il mercato è anche composto. Il nostro sarebbe così l’unico Paese al mondo che limita la pubblicità, una risorsa che fa sviluppo”.
Nei giorni scorsi, sul tetto per la raccolta pubblicitaria fissato nel Ddl Gentiloni, è intervenuto davanti le Commissioni Cultura e Trasporti della Camera anche il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, che ha sottolineato: “…La norma che limita al 45% la raccolta pubblicitaria va bene se è transitoria e punta a sviluppare il pluralismo e il digitale terrestre“.
Aggiungendo: “…E’ legittima la norma con il limite sulla raccolta pubblicità, perché è a garanzia del pluralismo. In più è evitabile con il trasferimento di una rete sul digitale terrestre e quindi, dovendone comunque trasferire una eccedente le due reti in anticipo potrebbe aiutare il digitale. Ma deve essere strumentale e temporanea e proporzionata al fine del pluralismo a condizione che serva a sviluppare il digitale e abbia carattere temporaneo”.
Calabrò ha sottolineato: “…Se dovesse avere un carattere definitivo diventerebbe norma asimmetrica con effetti su un solo soggetto”.
E ha detto ancora che il tetto alle risorse pubblicitarie per operatore, previste dal Ddl Gentiloni sul riassetto del sistema televisivo, “…deve includere anche i proventi derivanti dagli abbonamenti e quelli delle Pay TV”.
La polemica riguardo alla soglia del 45% è montata dopo l’audizione del presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che ha suggerito: no al tetto del 45% alla raccolta pubblicitaria, sì a una “Maccanico bis” con soglia al 30% di una “torta” più ampia che comprenda anche i canoni di Rai e Sky Italia e la pay-per-view.
Dubbi sulla disposizione in questione sono sorti anche al presidente emerito della Corte Costituzionale, Antonio Baldassarre, che ha commentato: “…La critica di Catricalà è fondata, porre un limite che ricade solo su un’azienda può far nascere qualche dubbio dal punto di vista costituzionale”.
“…Anche se non conosco l’articolato specifico del disegno di legge – ha spiegato Baldassarre – non mi sembra sbagliato esprimere perplessità su una misura che in definitiva colpisce solo le aziende che vivono di pubblicità: o il limite riguarda tutte le imprese, è di sistema, e allora non fa una piega, oppure qualche dubbio è legittimo”.
Quindi è più corretto, ha precisato Baldassarre, rifarsi a un modello di ‘tetto’ come quello della legge Maccanico, che fissa una soglia ma su un bacino più ampio, che magari comprenda anche il canone Rai.
Tutti sembrano indicare un’unica via, quella di riprendere i limiti stabiliti dalla legge Maccanico, ma per il Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, la sua disposizione non intende colpire nessuna azienda e ha spiegato: “…Non c’è nessun tetto contro singole imprese. C’è il fatto che bisogna distribuire le risorse pubblicitarie in modo tale che ai telespettatori arrivi un’offerta maggiore, attraverso una maggiore concorrenza tra diversi editori. Sono le posizioni dominanti o ‘eccessive’ di un’azienda su un determinato settore economico a bloccare lo sviluppo, e non gli eventuali limiti antitrust”.
“…L’eccessivo affollamento pubblicitario – ha inoltre aggiunto il Ministro – non fa bene alla Tv generalista, ma neanche alla stessa pubblicità che da noi in Tv è venduta spesso a prezzi stracciati”.