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Pubblicità ingannevole: multa da 62 mila euro a Telecom Italia per lo spot sulla Tv mobile

Italia


È ingannevole lo spot televisivo di Telecom Italia diretto a reclamizzare il servizio di trasmissione televisiva verso i terminali mobili in tecnologia DVB-h.

Il messaggio pubblicitario, con protagonista Christian De Sica nei panni di un vigile urbano incaricato della regolarità dei commerci nel mercato romano di Porta Portese, costerà a Telecom Italia una sanzione di 62.600 euro e non potrà più essere mandato in onda.

 

Lo ha stabilito l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Agcm), in seguito a un intervento richiesto dall’associazione di consumatori Movimento Difesa del Cittadino, Associazione Nazionale Consumatori e Utenti, che segnalava la presunta ingannevolezza dello spot.

 

L’ingannevolezza è stata appurata anche dalle indagini effettuate dall’Antitrust, che ha stabilito che il messaggio non chiariva che il servizio offerto si trovava in una fase di sperimentazione e non indicava, dunque, la sua “sostanziale inesistenza almeno fino alla fine del mese di giugno  2006” .

Le immagini proiettate sul terminale nel corso dello spot contestato, chiarisce inoltre l’Authority, non corrispondono al vero, in quanto si tratterebbe di “immagini ricostruite in studio e, quindi, non rappresentative di quella che sarà la reale qualità e definizione del servizio DVB-h”.

 

La società inoltre ha omesso di indicare il limite di fruibilità del servizio reclamizzato, limite rappresentato dalla possibilità di utilizzarlo solo con la carta Sim Tim abbinata.

 

Lo spot in questione era stato sottoposto a novembre anche all’attenzione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, la quale aveva però ritenuto che esso non costituisse una fattispecie di pubblicità ingannevole.

 

L’Agcom aveva infatti rilevato che il messaggio era completo nell’indicare l’esistenza di limitazioni alla fruizione del servizio offerto, sia in termini di copertura che di utilizzo della Sim per il servizio Umts; che le immagini proposte erano verosimilmente rappresentative della reale qualità del servizio stesso, e che l’estrema complessità delle condizioni economiche dell’offerta non poteva essere riportata in maniera esaustiva in uno spot televisivo senza vanificarne l’efficacia informativa.

 

In effetti, la dicitura “I servizi UMTS e DVB-h sono disponibili solo nelle rispettive aree di copertura, prima dell’acquisto verifica l’effettiva disponibilità del servizio nelle zone di tuo interesse, la copertura del territorio è riferita ad aree aperte. Verifica sul sito www.tim.it o chiama il 119″ e l’avvertenza “il servizio UMTS TV funziona solo con la Sim Tim abbinata” scorrevano in sovrimpressione, ma a caratteri così ridotti che ci sarebbe voluta una lente di ingrandimento per poterli leggere.

 

Per l’Antitrust, lo spot in questione mira a “convincere i consumatori a passare all’operatore di telefonia mobile Tim attraverso la suggestiva prospettazione del vantaggio di poter aver il terminale mobile idoneo alla ricezione del segnale televisivo in tecnica digitale”.

L’intera pubblicità infatti è incentrata sulla prospettiva di poter utilizzare il servizio televisivo sul telefonino in tecnica digitale in modo completo cioè con la messa a disposizione sia del software che del hardware necessari – solo cambiando il proprio operatore a vantaggio di Tim (“[…] passa a Tim e avrai il nuovo telefonino per vedere la Tv […]”).

 

In realtà, come chiarito anche dalla stessa Telecom Italia, l’offerta consiste nel proporre, agli utenti che decidono di abbandonare il loro vecchio operatore per passare a Tim, la sottoscrizione di abbonamenti per l’acquisto rateizzato in due anni di un cellulare che, abbinato con la corrispondente scheda Tim, permette di vedere contenuti televisivi trasmessi in tecnologia digitale DVB-h (Digital Video Broadcasting Handheld), derivato dall’adattamento dello standard trasmissivo in tecnica digitale per la televisione terrestre fissa DVB-t, (Digital Video Broadcasting terrestrial) alle esigenze legate alla ricezione del segnale in mobilità.

 

Spiega dunque l’Antitrust che “…Il messaggio, inducendo a credere, contrariamente al vero, che la possibilità di avere il terminale per vedere contenuti televisivi in mobilità e in qualità digitale sia correlata unicamente alla decisione di migrare dal proprio operatore mobile verso Tim, non esplicita né allerta i destinatari sull’esistenza di condizioni economiche e vincoli particolarmente onerosi per ottenere il terminale mobile idoneo alla ricezione del servizio televisivo”.

 

La rateizzazione del telefonino è, infatti, realizzata attraverso la previsione di un impegno contrattuale minimo di due anni (salvo il corrispettivo di 400 euro in caso di recesso anticipato), di un entry ticket pari, rispettivamente, a 49 e 99 euro, e di una rata mensile pari, rispettivamente, a 50 e 25 euro. Inoltre, l’offerta prevedeva, solo nel caso in cui fosse attivata in abbinamento con l’opzione “TV Telefono Relax”, l’azzeramento della rata mensile nel caso di una spesa per chiamate telefoniche di almeno 25 euro al mese. Nessuna soglia minima di traffico in entrata o in uscita è, in ogni caso, prevista per la fruizione del servizio TV.

 

Il messaggio, tralasciando deliberatamente qualsiasi riferimento alle reali condizioni economiche per poter fruire del servizio Tv mobile, trasgredisce – contrariamente a quanto ritenuto dall’Agcom – all’obbligo “di un’informazione chiara e completa che, soprattutto nel settore della telefonia, caratterizzato dal proliferare di offerte e da una continua evoluzione tecnologica, costituisce…un onere minimo indefettibile”.

 

La completezza e la chiarezza della comunicazione commerciale vengono a mancare anche in relazione alle modalità con cui lo spot del servizio veicola l’informazione relativa alla necessità di accertare preventivamente la copertura dei segnali UMTS e DVB-h su cui è costruita l’efficacia persuasiva del messaggio. L’avvertenza, infatti, è riportata in caratteri minuscoli e del tutto inidonei alla lettura, trattandosi, di fatto, di un’informativa relativa alla principale caratteristica tecnica a cui è subordinata l’effettiva fruizione del servizio.

 

In riferimento al segnale DVB-h, secondo i dati forniti dalla stessa Telecom, risulta che la copertura, al momento del lancio commerciale del servizio, comprendeva esclusivamente le quattro città di Milano, Pavia, Roma, Latina, venticinque Comuni della Provincia di Milano, sette delle Province di Roma e Torino, due delle Province di Lodi e Como e una delle Province di Lecco, Varese, Bergamo e Cuneo, e alla data del 30 agosto 2006, raggiungeva circa il 38% dei capoluoghi di Regione e circa il 30% dei Comuni.

 

Omettendo di indicare chiaramente questi limiti di copertura, Telecom non ha dunque osservato la Delibera AGCom 266/06/Cons del 18 maggio 2006, che impone agli operatori di indicare nella propria carta dei servizi “la disponibilità del servizio all’utente anche in relazione al grado di copertura del territorio nazionale e provvedere alla trasmissione della medesima all’Autorità”.

 

Riguardo, infine, alla contestazione relativa alla pretesa inattualità del servizio DVB-h e alla pretesa esistenza della limitazione nota come “Sim Lock”, le risultanze istruttorie hanno evidenziato, sotto il primo profilo, che il sevizio di trasmissione televisiva in tecnica digitale verso terminali mobili è un servizio attuale, seppur in una fase ancora di avvio e che la limitazione della cd. “Sim Lock”, nel caso di specie, non ha operato: infatti, solo un primo lotto dei terminali offerti presentava, per iniziativa del fornitore, tale limitazione, che però Telecom ha prontamente rimosso in modo che nessun pregiudizio si sia prodotto per il cliente.

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