Italia
Si è tenuto a Roma il 14 dicembre scorso il IV Summit sull’Industria della Comunicazione in Italia, organizzato dall’Istituto di Economia dei Media (IEM) della Fondazione Rosselli in collaborazione con la Camera di Commercio di Roma. L’appuntamento è stato l’occasione per un interessante confronto fra esperti di settore, regolatori, manager e decisori istituzionali sul futuro mercato dei contenuti, delle reti digitali, ma anche per capire quali saranno le strategie dei nuovi operatori nel settore dell’audiovisivo.
Riccardo Viale, Presidente Fondazione Rosselli, ha commentato a Key4biz: “Il Summit rappresenta un appuntamento importante nel dialogo tra l’industria dei media e le istituzioni pubbliche. L’evento di quest’anno ha voluto in particolare mettere in evidenza il fondamentale ruolo ricoperto dai diritti di proprietà intellettuale all’interno dell’economia della cultura e della conoscenza e i benefici che una positiva gestione degli stessi porterebbe all’intero mercato della comunicazione”.
Viale ha aggiunto: “I beni immateriali, come noto, presentano delle peculiarità difficili da articolare da un punto di vista normativo. Tuttavia è auspicabile che al riguardo, come sottolineato anche dal vicepresidente del Consiglio Rutelli, si proceda presto alla definizione di una cornice legislativa più coerente con l’attuale quadro tecnologico, tale da promuovere la crescita e l’innovazione nel mercato”.
Nel corso dell’evento è stato presentato il IX Rapporto IEM sull’Industria della Comunicazione in Italia: unico esempio nel nostro Paese di analisi sistematica, quantitativa e qualitativa, che aggrega in un unico prodotto editoriale lo stato dell’arte dei diversi mercati della comunicazione e dei media.
Il Rapporto è stato curato da Flavia Barca coordinatrice dello IEM, docente di Economia e gestione delle Imprese di comunicazione alla facoltà di Scienze della Comunicazione di Teramo.
Flavia Barca ha sottolineato a Key4biz: “Abbiamo iniziato a colmare un vuoto e continueremo a farlo, anche nel confronto con gli altri Paesi europei. Lo Studio IEM approfondisce la situazione economica e industriale del settore della produzione televisiva in Italia e l’auspicio è che tale lavoro favorisca lo sviluppo di policy più efficienti per valorizzare una delle principali industrie creative del Paese. L’innovazione e la qualità nei contenuti sono un elemento di crescita per tutta la filiera audiovisiva“.
Nel suo intervento Laura Aria, Direttore Contenuti Audiovisivi e Multimediali, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha tracciato le linee guida dell’attività dell’Authority in materia di diritti. L’attività dell’Agcom è basata su quattro filoni principali. Innanzitutto l’attività regolamentare in senso stretto; ricordiamo la delibera 9/99 emanata subito dopo l’insediamento dell’Autorità e che ha introdotto alcuni principi necessari per l’applicazione delle regole sulle quote europee e la delibera 185/03/CSP che invece ha affrontato il tema di diritti residuali. Altro tipo di attività che l’Autorità svolge è il monitoraggio delle trasmissioni televisive di un certo numero di canali, analogici e digitali, attraverso un fornitore selezionato dall’Autorità stessa tramite un appalto pubblico. L’Agcom è anche attiva nel controllo del rispetto degli obblighi di programmazione delle emittenti che si effettua attraverso l’informativa economica di sistema. L’Autorità infatti ha creato il Registro degli Operatori della Comunicazione (ROC) dove annualmente confluiscono i dati relativi alle programmazioni. Non ultima poi l’attività attinente alla Relazione Biennale alla Commissione Europea, relazione dovuta ai sensi della Direttiva TV senza Frontiere.
A queste attività tradizionali, ha spiegato Laura Aria, si affianca la redazione delle linee guida per la definizione del Contratto di servizio con la Rai, attività introdotta dalla legge Gasparri e dal Testo Unico Radiotelevisivo. Tale attività tiene conto dello sviluppo dei mercati del processo tecnologico e in particolare delle esigenze strutturali nazionali e locali che possono mutare nel triennio.
Gli obblighi relativi all’attività di servizio pubblico sono disciplinati dal legislatore, ma è poi il regolatore che individua ulteriori obblighi proprio in relazione all’evoluzione del mercato. Che cosa prevedono le linee guida emanate dall’Autorità nel luglio scorso di concerto con il Ministero delle Comunicazioni in particolare sulla produzione indipendente?
“…Prendono atto – ha aggiunto Aria – del cambiamento introdotto dall’obbligo di investire in produzioni indipendenti il 15% di tutti i ricavi dell’azienda di servizio pubblico compreso il canone (in passato era solo il 20% dei proventi da canone). Il Testo Unico Radiotelevisivo chiede all’Autorità anche di verificare la qualità dei programmi offerti dalla Rai. Tale sistema di valutazione si deve basare su indicatori di qualità che dovranno essere stabiliti dal Contratto di servizio. Tra i criteri di valutazione, merita una speciale considerazione il principio di promozione culturale, cioè la valorizzazione di opere teatrali, documentari, film, con particolare riguardo alle opere della produzione indipendente, da trasmettere in tutte le fasce orarie anche in quelle di maggior ascolto”.
“I produttori indipendenti occupano un posto di rilievo nell’attività dell’Autorità e rappresentano una priorità nell’agenda dell’Autorità per il prossimo anno”.
Aria ha detto ancora che l’Autorità, tuttavia, può agire nella maniera più efficace possibile in virtù di una collaborazione più stretta con i produttori, attraverso consultazioni periodiche.
“La delibera 9/99 prevede che l’Autorità stili un elenco dei produttori indipendenti in Italia. L’elenco è stato stilato già dal 2003 e viene regolarmente aggiornato, ma il numero di dati contemplato non è soddisfacente se rapportato ai dati che il Nono Rapporto IEM contiene.”
Sul tema dei diritti residuali Laura Aria ha dichiarato che in Italia scarseggia sia la produzione autonoma di programmi sia la co-produzione; in genere le produzioni vengono effettuate su commessa ossia vengono pagate dalle emittenti televisive. Questo pone dei problemi in tema di diritti residuali, “…perché quasi mai i diritti residuali sono stati negoziati sulla base della delibera 185 del 2003“ . Ed è per questa ragione che su istanza di alcuni produttori indipendenti l’Autorità ha avviato un’indagine conoscitiva del mercato che sta per essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale e che mira a conoscere tutti i metodi di negoziazione dei diritti tra produttori e broadcaster e a verificare come vengono gestiti i diritti di sequel o di utilizzo di produzioni su più piattaforme trasmissive.
Del Sistema Pubblico Radiotelevisivo e l’industria audiovisiva in Europa ha parlato Giacomo Mazzone, Assistente del Segretario Generale e Direttore Audit strategico, EBU.
“…Prima considerazione da fare – ha esordito Mazzone – è che in ciascun Paese europeo la TV pubblica è fra le più grandi industrie culturali (ad esempio BBC, ARD/ZDF e RAI sono nei rispettivi Paesi i maggiori committenti audiovisivi e dell’industria culturale nel suo complesso). Questo ruolo è paradossalmente più incisivo in Paesi piccoli come la Finlandia (YLE), la Norvegia (NRK), per non parlare di intere nazioni la cui identità si è costruita intorno al servizio pubblico e di piccole comunità che per non perdere le loro identità linguistiche hanno utilizzato il mezzo televisivo (il caso della Catalogna o della comunità basca che per mezzo di TV3 Catalunya o della TV Basca hanno riproposto al pubblico la lingua nazionale destinata altrimenti all’oblio). Così in Italia la RAI contribuì alla diffusione della lingua italiana su tutto il territorio nazionale. Gli esempi sono molteplici; ciò è dovuto al fatto che le TV pubbliche sono le naturali alleate delle industrie audiovisive nazionali e, in quanto centri di spesa e non di profitto, contribuiscono a far produrre e distribuire i prodotti nazionali”.
In questo senso un esempio è quello della BBC che ha appena rinnovato per i prossimi dieci anni (2007-2016) la Royal Charter, lo statuto che regola i rapporti tra il Governo inglese e la BBC per la concessione di servizio pubblico. Nella nuova Charter, infatti, il finanziamento della creatività del Paese è uno dei primi doveri della BBC. Va nella stessa direzione la ratifica imminente della convenzione dell’UNESCO prevista per l’inizio del 2007, che contempla la protezione, la salvaguardia e lo sviluppo dell’identità culturale nazionale. “Esistono quindi – ha proseguito Mazzone – le condizioni perché si possa sviluppare un patto virtuoso tra il servizio pubblico e la produzione audiovisiva nazionale, innanzitutto a livello europeo. E’ necessario a tal fine che il servizio pubblico abbia una adeguata copertura finanziaria stabile e duratura nel tempo e che la quota di finanziamento proveniente dal canone sia preponderante rispetto a quella dei ricavi pubblicitari, perché solo in questa maniera il servizio pubblico può svincolarsi dalla dittatura degli ascolti ed esercitare il suo dovere di sperimentare, producendo nuovi format, lanciando nuovi autori e sperimentando nuove tecnologie.”
Il servizio pubblico deve, quindi, rappresentare lo standard di riferimento in materia di qualità e autorevolezza. Perché ciò avvenga si rende però necessario un suo cambiamento strutturale. Innanzitutto il servizio pubblico deve “…ridisegnare il perimetro del suo coreBusiness concentrandosi sui punti d’eccellenza lasciando il resto al mercato; deve poi passare dalla logica dei “programmisti registi” del passato, schiacciati oggi in una condizione di disagio, visto che la maggior parte della programmazione che passa nelle loro reti non è da loro ideata, ai ‘commissioning editors’ cioè coloro che fissano le basi dei contratti con i fornitori di servizi stabilendo le programmazioni. Deve inoltre imporre regole chiare e trasparenti nei criteri di scelta artistica, controlli efficaci sugli investimenti, e svolgere funzioni di audit costanti su tutto quello che viene appaltato all’esterno; deve infine innovare ed investire nei settori in cui i privati non hanno ritorni sufficienti, in attesa che questi settori diventino mercati con ritorni assicurati.
Mazzone ha portato l’esempio della BBC che ha investito in tempi non sospetti nel web. Oggi infatti la BBC è il primo content provider di internet in Gran Bretagna e uno dei primi nel mondo anglosassone; nel digitale terrestre, Freeview ha oltre 6 milioni di abbonati. In Italia la RAI ha investito in passato sperimentando l’Alta Definizione con Rai Clic, primo canale on demand su fibra ottica, e con i canali tematici via satellite.
“…Purtroppo la RAI da alcuni anni sembra aver perso questa missione ma deve tornare a investire sulle nuove tecnologie digitali. Deve costruire con i produttori un rapporto diverso, che consenta di sviluppare prodotti esportabili, fornendo servizi, creando libraries comuni”.
Nell’intervento successivo Elio De Tullio dello IEM – Fondazione Rosselli ha offerto una lucida analisi in tema di gestione dei diritti e produzione televisiva, focalizzandosi sugli scenari di sviluppo dell’industria italiana e europea.
Perché la proprietà intellettuale e in particolare i diritti secondari sono diventati così importanti?
“…Essi – ha spiegato De Tullio – possono costituire un valore all’interno dell’azienda produttrice oltre che nell’ambito del rapporto di negoziazione tra broadcaster e produttori. Ma è stata l’introduzione delle nuove tecnologie con la possibilità di sfruttare gli stessi contenuti su diverse piattaforme a dare un nuovo impulso ai diritti residuali“.
Diritti primari sono i diritti di prima trasmissione con un determinato numero di repliche, i servizi di catch-up (la ritrasmissione su canali spin-off), incluso lo streaming simultaneo su altre piattaforme, i diritti sul format nel mercato di riferimento. Diritti secondari o residuali sono, invece, le modalità di sfruttamento su altre piattaforme (cavo, satellite, pay-per-view, video on demand e near-video on demand), l’interattività, il licensing, il merchandising, l’editoria, la musica, la mobile tv.
Quali le opportunità offerte dalla valorizzazione dei diritti secondari? La possibilità di sfruttamento diretto o indiretto attraverso diverse piattaforme innovative; lo sviluppo di nuovi canali di distribuzione/trasmissione; la possibilità di creare “un capitale intangibile” costituito da una library di diritti di sfruttamento sulle opere, vitale per le imprese del settore che soffrono l’aspetto dimensionale (ricordiamo che il tessuto delle imprese audiovisive è caratterizzato da PMI e da microimprese che tuttavia producono il 90% del fatturato complessivo del settore); infine l’accesso agevolato per i produttori a fonti di finanziamento per lo sviluppo di ulteriori progetti.
Alcuni aspetti innovativi relativi alla tutela della negoziazione tra broadcaster e produttori indipendenti sono stati recepiti dal nuovo contratto di servizio con la RAI per il biennio 2007-2009. Innanzitutto l’impegno della RAI a condurre con i produttori indipendenti negoziazioni eque, trasparenti e separate in relazione a ciascun diritto e a ciascuna piattaforma trasmissiva, naturalmente nell’ottica di un’offerta Multimediale (oltre a TV e Radio) estesa alle piattaforme distributive innovative (digitale terrestre, satellite, IPTV, internet, mobile).
Un esempio di best practice presentata da De Tullio è quella del Regno Unito. Il Code of Practice della BBC prevede infatti che BBC acquisti una licenza esclusiva nel mercato europeo per 5 anni; un’opzione per BBC di rinnovare la licenza esclusiva per un periodo di due anni secondo termini concordati; il diritto per BBC di esercitare un “holdback” che escluda ogni ulteriore sfruttamento da parte di terzi per il periodo di vigenza della licenza; che a BBC spetti una partecipazione agli utili per lo sfruttamento commerciale riservato al produttore sotto il profilo del merchandising. I New Media Rights inclusi nella licenza di base BBC sono: il diritto di simulcasting; il diritto di mettere il programma a disposizione on demand (inclusi gli sms); il diritto di utilizzare estratti del programma su siti web. Il produttore indipendente ha diritto a una partecipazione sui ricavi derivanti dallo sfruttamento commerciale di tali diritti; resta titolare dello sfruttamento di tutti gli altri diritti sui nuovi media.
“…Una corretta ed equa valorizzazione dei diritti secondari – ha concluso De Tullio – potrebbe dare vantaggi a tutti: ai produttori, la possibilità di sfruttare al meglio le potenzialità dei new media ed una maggiore forza economica sul mercato con un conseguente un incremento della produzione audiovisiva di qualità; agli operatori delle nuove piattaforme distributive nuove opportunità per utilizzare i loro servizi al meglio approfittando anche delle logiche di economia di scala, il vantaggio di incrementare e di sviluppare nuove forme di distribuzione e maggiore disponibilità di contenuti; infine al mercato dell’audiovisivo nella sua globalità maggior dinamismo e competitività“.
Peter Bazalgette, Chief Creative Officer di Endemol, ha presentato le caratteristiche del mercato inglese.
“…Endemol – ha esordito Bazalgette – è oggi il produttore indipendente televisivo più grande al mondo. Il suo progetto è investire in talenti e creatività, soprattutto locali. Endemol opera direttamente in 30 Paesi, e vende i suoi programmi in più di 100 Paesi. La nostra mission è di produrre per aumentare la competizione, e l’efficienza. Ciò che è accaduto in Inghilterra è che la produzione indipendente ha abbassato i costi di produzione ed ha catalizzato maggiori investimenti”.
Nella knowledge economy, ha continuato Bazalgette, la proprietà intellettuale sarà una risorsa vitale per l’economia del futuro ed essa si svilupperà in relazione ad un maggiore apporto da parte della produzione indipendente. La produzione indipendente crea maggiori stimoli per gli advertisers, i quali sono alla ricerca di audience per i loro marchi, prodotti e servizi. Infine, lo sviluppo della produzione indipendente costituisce un premio per il pubblico.
Cosa chiede infatti il pubblico?
“Programmi e contenuti; il pubblico non è interessato alla tecnologia e ai mezzi di distribuzione.”
“…Endemol, come produttore indipendente in Inghilterra ha guadagnato diritti, potere, e importanti vantaggi nel settore.” Oggi l’Inghilterra è seconda solamente agli Stati Uniti per esportazione di prodotti televisivi; negli scorsi BAFTA, i premi oscar per la televisione britannica, i produttori indipendenti hanno guadagnato il 60% dei premi, sebbene occupino il 25% del mercato.
Da un punto di vista della legislazione vigente in UK, il Communication Act del 2003, che nella sua prima stesura non contemplava i contenuti, ha introdotto un principio importante: i produttori indipendenti rimangono in possesso dei loro diritti. Questo ha contribuito allo sviluppo del settore; i profitti tra il 2001 e il 2005 sono saliti del 68% e le vendite all’estero, sempre nello stesso periodo, sono salite del 142%.
La nuova legislazione ha comportato quindi il declino del “warehousing”, ovvero l’impostazione dei broadcaster verticalmente integrati, proprietari dei diritti dei format e dei programmi televisivi.
Perché dobbiamo incoraggiare la produzione indipendente?
“Perché nella knowledge economy il valore della proprietà intellettuale è assolutamente vitale”, ha proseguito Bazalgette.
Un auspicio per il futuro della produzione indipendente?
“…Riuscire ad avere un mercato pubblicitario – ha concluso Bazalgette – aperto, mediante contatti diretti con gli advertiser, senza alcuna mediazione da parte dei broadcaster; gli advertiser dovranno poter investire direttamente sui prodotti televisivi, tramite il product placement.”
Gestione dei diritti e produzione audiovisiva
Elio De Tullio, Fondazione Rosselli
Il Sistema Pubblico radiotelevisivo e l’industria audiovisiva
Giacomo Mazzone, EBU
Endemol Model
Peter Bazalgette, Endemol Group