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Tutti ci accorgiamo di come quanto segnalato nell’articolo ‘Distrazioni a portata di mouse: quanto costano alle aziende gli effetti collaterali dell’always on?’ sia vero, anche se probabilmente le cifre in gioco sono di “qualche” ordine di grandezza superiori a quelle cui istintivamente si sarebbe portati a pensare.
Chat e instant messaging possono distrarre a volte in modo cronico e, più in generale, la possibilità di avere tutto quello che ci interessa personalmente a portata di pochi click dà la pericolosa sensazione che partecipare a una discussione su di un forum, fare una breve passeggiata tra le offerte di eBay o tra gli scaffali dei dischi di un Jukebox virtuale abbia un impatto marginale modesto sul nostro tempo (lavorativo).
Tuttavia questo fa ormai parte della vita da cui il nuovo “homo digitalis” si trova sempre più travolto, di anno in anno e di lustro in lustro. Come facevano notare la settimana scorsa Key4Biz e Punto Informatico, commentando il rapporto Internet 2006 dell’ITU, sono profondi i segni che la digital life sta tracciando sulla vita quotidiana e sull’interazione sociale delle persone. “L’amicizia con persone conosciute online è ormai altrettanto importante di quella con persone ‘reali’ e questo nuovo stato di cose ha fatto la fortuna di siti come MySpace e Facebook” e “l’interazione mediata dalla Rete induce ad una critica permeabilità tra sfera pubblica e sfera privata” come tra vita privata e lavorativa.
Vi sono altresì almeno un paio di aspetti ulteriori da non sottovalutare se si vuole dare un quadro economico completo – anche se sommario – della faccenda. Non va dimenticato, ad esempio, che proprio la cultura “always-on” è quella che fa in modo che da ormai diversi anni il lavoro segua il lavoratore a casa propria. Molti di noi possono avere accesso alla mail, alla intranet e perfino ai progetti aziendali da remoto, prolungando di fatto – in caso di necessità o no – la permanenza in ufficio; inoltre la sempre crescente ubiquità e pervasività delle reti, unita alla potenza dei dispositivi, fanno in modo che quelli che un tempo erano i tempi necessariamente morti di una giornata lavorativa (come l’attesa alla stazione del mezzo pubblico o all’aeroporto, oppure semplicemente la pausa pranzo o la pausa caffè) si trasformino in momenti di lavoro potenziale.
Inoltre l’aumento della produttività portato dall’ICT durante questi anni potrebbe più che compensare la perdita di un poco di questa a causa delle varie distrazioni segnalate. Rispetto a quando l’IM non esisteva e gli acquisti natalizi venivano fatti esclusivamente durante giornate campali passate nelle shopping mall, molto probabilmente quello che si riesce a “produrre” in media sul posto di lavoro in 40 minuti equivale a quello che prima si poteva fare in un’ora.
E non bisogna dimenticare che gli strumenti di instant messaging e l’acceso alla propria casella di posta personale possono essere sfruttati a fini lavorativi oltre che di piacere. Certamente, se torniamo alle cifre di partenza e facciamo una “paradossale” analisi costi/benefici, scopriamo che le 2,1 ore perse durante la giornata lavorativa tipo, moltiplicate per il costo medio orario del lavoro e per il numero di giorni lavorati, se risparmiate consentirebbero al datore di lavoro di “offrire” al dipendente la più potente connessione a banda larga in fibra in commercio da usare a casa nel tempo libero, e con un ampio margine.
Tornando invece alla realtà, probabilmente le inefficienze derivanti dall’always-on si attenueranno nel tempo, come le inefficienze da pausa caffè, grazie a una miscela di controlli e regole più vincolanti da parte dei datori di lavoro e di maggiore responsabilità del lavoratore “digitale”.
Infine, due ulteriori riflessioni, di indiscutibile buon senso.
La prima: Internet è un piattaforma di comunicazione che, se usata a supporto di una attività lavorativa, accresce senza alcun dubbio la produttività e l’efficacia del lavoro. Ma come tutti gli strumenti, il risultato dipende dal modo o dallo scopo per cui la si usa. Sappiamo che anche quando Gutemberg inventò la stampa, non pochi uomini di potere segnalarono l’innovazione come pericolosa perché distraeva i villici dal lavoro manuale (…e diffondeva una cultura pericolosa).
In tempi moderni, la lettura del quotidiano in ufficio (anche nei momenti in cui il flusso lavorativo era interrotto) è spesso considerata “oziosa” dai datori di lavoro.
La seconda osservazione nasce da una semplice domanda: ma siamo sicuri che tra la comunicazione di lavoro e quella “ludica” (fatta eccezione, ovviamente, per alcune forme evidenti di “evasione”) ci sia incompatibilità? O non c’è piuttosto, grazie anche a Internet, un “continuum” che produce un ininterrotto travaso di idee, nozioni, culture e innovazioni?
In altre parole: è difficile stabilire quando Internet (e in generale l’interazione con il computer) “disturba” il lavoro delle persone, e quando lo arricchisce.
L’impressione del “disturbo” nasce soprattutto da forme di organizzazione del lavoro desuete o non più compatibili con i mezzi di comunicazione moderni. Se le persone, invece di essere remunerate in funzione di un certo risultato, ricevono lo stipendio per stare 7 ore al giorno chiuse in un ufficio, con orari rigidi, cartellino da timbrare, a svolgere mansioni ripetitive, allora è vero che una passeggiata su Internet può essere una pericolosa distrazione… Ma non farla sarebbe molto più pericoloso per la loro salute (e apertura) mentale!
Jean-Francois Segalotto
Fabio Magrino