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IEM – Fondazione Rosselli: incontro per discutere di diritti Tv e produzione, alla luce dello sviluppo dell’industria italiana ed europea

Italia


A Roma, nella suggestiva sede dell’Accademia dei Lincei in Via della Lungara, l’Istituto di Economia dei Media (IEM) della Fondazione Rosselli, ha organizzato una Tavola rotonda con i principali attori del panorama multimediale italiano. Nodo del dibattito e titolo del seminario è stato: “Gestione dei diritti e produzione audiovisiva – Scenari di sviluppo dell’industria italiana ed europea“.

  

Si è trattato di un primo momento di confronto a porte chiuse in attesa del Summit della Comunicazione, che si terrà a Roma il 14 dicembre 2006.
  
Il tema oggetto del dibattito è un argomento spinoso del mercato italiano, ma non solo. Nel nostro Paese i processi di moltiplicazione dei canali distributivi e delle modalità di accesso, assieme alla convergenza delle varie piattaforme, non sono accompagnati da un processo normativo adeguato.

Nel mercato europeo, in sede di contrattazione, vi è una separazione tra diritti primari (diritti di prima trasmissione e un determinato numero di repliche) e diritti secondari o residuali, ovvero le modalità di sfruttamento su altre piattaforme quali cavo,satelliti, pay-per-view, VoD.

  

Riccardo Viale, Presidente della Fondazione Rosselli, ha commentato a Key4biz che “…questo incontro dedicato alla produzione televisiva e ai diritti s’inserisce in un’attività seminariale a porte chiuse che la Fondazione Rosselli organizza periodicamente per favorire il dibattito fra imprese e istituzioni e lo sviluppo delle più adeguate politiche pubbliche nei settori ad alto tasso d’innovazione.”

  

Ha aperto i lavori Flavia Barca, coordinatrice dell’Istituto di Economia dei Media – IEM della Fondazione Rosselli, che nel suo intervento introduttivo ha sottolineato come “…l’esigenza di analizzare il tema dei diritti è emersa da una ricerca condotta da IEM sull’industria della produzione televisiva, che verrà presentata a Roma il prossimo 14 dicembre nell’ambito del IV Summit sulla Comunicazione. Lo Studio, che offre dati e analisi originali sul mercato italiano, mostra quanto fondamentale per lo sviluppo del settore sia la gestione dei diritti.”

  

Subito dopo Marco Marzano De Marinis , della World Intellectual Property Organization, ha evidenziato la definizione del contesto economico mondiale in cui, “…da una economia industriale siamo passati ad una economia di servizi, basata sugli intangibili. È una economia della conoscenza, in cui la crescita delle imprese è basata sulla capacità gestionale di queste intangibile. (…) In passato le imprese che lavoravano con la televisione hanno utilizzato la proprietà intellettuale come difesa. Oggi la strategia è quella di indirizzare tale proprietà allo sfruttamento, di utilizzarla come veicolo di accesso e gestione dei capitali, soprattutto da parte delle piccole e media imprese“.

  

Secondo Elio De Tullio (consulente giuridico dello IEM) e Andrea Marzulli (responsabile dell’area studi dello IEM),”…lo sviluppo di nuove piattaforme di distribuzione e l’evoluzione complessiva del mercato rendono particolarmente rilevanti le problematiche relative alla titolarità e alla gestione dei diritti secondari sui contenuti audiovisivi. Perciò continueremo a monitorare attentamente le evoluzioni del mercato italiano ed europeo della produzione.”

De Tullio ha dichiarato che il produttore indipendente televisivo è oggi un player che in Italia non gode di uno statuto privilegiato: “Nel 2004 le società di produzione hanno fatturato 700 milioni di euro per le attività televisive (sono il 25-30% del fatturato complessivo dei broadcaster). In Italia vi sono sole due grandi imprese con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro.”

La normativa italiana che tutela il produttore indipendente andrebbe rivista: Secondo l’art 44, comma 3 del Testo Unico sulla Radiotelevisione: “…i concessori nazionali riservano alle opere europee indipendenti almeno il 10% del tempo della diffusione“. La quota sale al 20 per il servizio generalista nazionale.

  

Per il rinnovo del Contratto di Servizio tra la RAI e il Ministero delle Comunicazioni, scaduto da un anno, De Tullio ha elencato una serie di esigenze che vengono dagli operatori di mercato: “Per il biennio 2006 2008 si è parlato per la prima volta di negoziazione separata dei diritti secondo il tipo di piattaforma, di una maggiore specifica sulle quote di investimento dedicate ai produttori indipendenti, di una riformulazione della definizione di investimenti che escluda la spesa di attività accessorie della RAI (edizione, promozione, distribuzione) di diffusione televisiva e di una specifica, tra gli investimenti riservati alle opere cinematografiche, della ripartizione tra produzione e acquisto“.

La situazione italiana attuale “vede un mercato caratterizzato da uno squilibrio di potere contrattuale tra emittenti e produttori non verticalmente integrati“. Secondo Di Tullio, l’aspetto controverso è “la titolarità esclusiva e senza restrizione temporale, da parte delle emittenti televisive, dei diritti sulla trasmissione analogica, ma anche quella su altre piattaforme“.

Nello scacchiere legislativo europeo, il Regno Unito appare il mercato di riferimento, nel quale sono state introdotte, attraverso il Communications Act e i Code of Practice misure regolamentari dirette a tutelare i rapporti tra produttori e broadcaster. Lì vi è una “separazione tra diritti primari e secondari e vige il principio per cui tutti i diritti non espressamente ceduti al broadcaster rimangono nella titolarità del produttore“. La Riforma ha dato risultati incoraggianti, permettendo “ai produttori di far crescere i profitti derivanti dallo sfruttamento internazionale dei diritti del 21% rispetto al 2004 e un’importante capitalizzazione nella Borsa inglese da parte di cinque società televisive”.

 

I rappresentanti delle aziende presenti si sono dichiarati concordi a una profonda revisione delle contrattazione sui diritti e più in generale non hanno mancato di auspicare un’alleanza tra i produttori e broadcaster per rivedere insieme le regole del gioco.

 

Francesco Sciacchitano, dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni,  ha rivendicato che: “…la gestione dei diritti residuali e secondari della produzione televisiva è importante per noi. Negli altri Paesi sono le piccole e medie imprese che fanno i mercato”.

Secondo Sciacchitano, “La direttiva 185/03 dell’AGCOM (che fissa le quote dei diritti residuali per i produttori televisivi indipendenti, ndr) può cambiare. Oggi sono sulla scena nuovi player, nuovi fenomeni del mercato, vi deve essere un adeguamento agli sviluppi attuali“.

 

Giorgio Gori, Presidente e amministratore delegato di Magnolia ha parlato di provincialismo della classe dirigente televisiva: “Per poter vendere qualcosa in Italia, dobbiamo prima raccontare che lo hai comprato in Olanda (…) Oggi si privilegia l’acquisizione di format internazionali, e non format italiani (…) Nel mercato italiano dell’anomalo duopolio televisivo vi è un rapporto sbilanciato tra broadcaster e produttori”.

Gori ha invocato di un intervento legislativo forte: “…Qui ci sta un interesse nazionale, l’impegno deve venire dal legislatore. Se pensiamo a ciò che è successo in Inghilterra, alcuni colleghi sono in Borsa, c’è stato aumento del 21% dei ricavi dopo l’arrivo della delibera“. Per Gori, non dobbiamo parlare solo dei proventi dai diritti residuali, perchè “Il vero valore aggiunto è investire nello sviluppo. Noi impegniamo un milione e mezzo di euro l’anno in ricerca e sviluppo. Oggi quello che non è rappresentato è il valore della proprietà intellettuale“.

 

Chiamati in causa, i broadcaster hanno replicato. Giuseppe Pasciucco, Responsabile supervisione diritti sportivi della RAI, si è interrogato sulla effettiva divisione dei diritti: “Quali sono i diritti primari e secondari? Il diritto secondario sta diventando sempre più primario. Duranti gli scorsi mondiali, Sky Italia ha avuto lo stesso valore di mercato rispetto alla RAI, pur pagando molto meno tali diritti”. In materia di esclusiva, Pasciucco è stato chiaro: “L’esclusiva non è vessatoria nei confronti dell’utente, quando si tratta di un operatore free“.

  

Per Andrea Ambrogetti, Direttore Ufficio Relazioni Istituzionali Mediaset, i contenuti del broadcaster si stanno trasformando: “I film sono insostenibili per la televisione generalista. Sky insegna che questi devono essere utilizzati tramite un supplemento di abbonamento da parte dell’editore. Oggi in televisione abbiamo da una parte la fiction, dall’altra i reality. Sport e film stanno fuori dalla logica produttiva primaria del broadcaster”.

Per la miglior promozione e vendita dei contenuti televisivi italiani all’estero, Ambrogetti suggerisce di “…creare una società congiunta tra produttore e broadcaster. Dobbiamo fare massa critica di questo punto di visto“.

 

 

Ma per alcuni, manca una consapevolezza tecnologica, industriale e culturale, come ha denunciato Giovanna Grignaffini, Consigliere di Amministrazione di Cinecittà: “Vi è una inerzia del servizio pubblico nel valorizzare la produzione televisiva e cinematografica. Dobbiamo tutelare il patrimonio cinematografico, di cui spesso è difficile capire chi mantiene i diritti. Da una parte pensiamo a una articolazione non commerciale (messa online, consultazione), dall’altra pensare alla commercializzazione, con lo sfruttamento dei diritti secondari, da coadiuvare con nuove strutture“.

 

Purtroppo l’industria televisiva nazionale sembra troppo debole rispetto al mercato di altri Paesi esteri. Secondo Alessandro Signetto, Presidente di Doc/It, l’Associazione dei Documentaristi Italiani: “…Vi sono alcune criticità del contratto di servizio vigente scaduto da un anno. In una futura revisione dobbiamo rivedere tra tutti gli operatori dell’industria televisiva italiana le linee editoriali e le linee contabili“.

Signetto ha suggerito, innanzitutto, una separazione delle diverse tipologie di diritto: “Dobbiamo normalizzare i diritti derivati dall’opera di un autore, ma non dobbiamo mettere insieme i diritti sportivi“.

 

  

Per Lucia Bistoncini, Direttore Sezione Cinema SIAE, vi è la necessità di “…un tavolo intercategoriale. Sul cinema il problema è trovare nuove forme di remunerazione. In ambito cinematografico e televisivo, i produttori non hanno possibilità di sfruttamento. Dobbiamo definire una nuova finestra, quali siano i prezzi di accesso da parte dell’utente“.

   

Ma forse il sistema dei media andrebbe ripensato nella sua struttura, quanto alla gestione dei diritti. Secondo Francesca Medolago Albani, Responsabile Ufficio Studi dell’ANICA: “…va messo al centro il prodotto e occorre ragionare non più in maniera verticale – per piattaforma e per singolo diritto – ma in maniera orizzontale sulla complessità di rapporti che si sviluppano durante il ciclo di vita di un film. Se a un produttore di quiz non interessa molto che cosa accadrà del suo programma dopo 7 anni, a un produttore cinematografico decisamente sì, e ancor più cosa è accaduto in ciascuno di quegli anni.”

  

Per Carlo Bixio, Vice Presidente dell’Associazione Produttori Televisivi: “Dobbiamo far diventare chiare le norme”. Nel coro di critiche, si sofferma tuttavia sugli effetti positivi della legge 122, (obbligo della RAI di investire il 20% del canone, e per le altre emittenti il 10% degli introiti pubblicitari in prodotti audiovisivi italiani ed europei): “C’è stato un grande riconoscimento all’identità culturale degli italiani. Abbiamo prodotto cose che prima non si facevano. Oggi un film straniero perde, rispetto ad un film italiano, quando passa alla televisione“.

Sui diritti residuali, Bixio ha dichiarato che: “…c’è la volontà di alcuni broadcaster di mantenere questi diritti per non utilizzarli. Qualche anomalia c’è. Vorrei trovare una strada mista tra il modello inglese, che è un codice di comportamento, e quello francese, che è una vera e propria legge“.

Infine, esprimendo un parere negativo sull’indice di valutazione dell’Auditel, Bixio ha concluso “Non dobbiamo creare l’aspettativa sugli ascolti generalisti. È un errore anche nei confronti delle società pubblicitarie, le quali vogliono certezze nell’investimento“.

  

E’ stata poi la volta di Piero De Chiara, Responsabile regolamentazione multimedia Telecom Italia, che ha tracciato un quadro a tutto tondo sulle future strategie di mercato della sua azienda: “I grandi cambiamenti di questi anni ci impongono anche maggiore attenzione al rapporto tra costi e ricavi. Per quanto riguarda Internet, com’è noto, il modello di business è fallito, ad eccezione di loghi e suonerie () Oggi il broadcaster deve pensare a una distribuzione su più reti (…) Non sono d’accordo sulla distribuzione tra diritti primari e secondari. Le negoziazioni devono essere separate, ma fino ad un certo punto. Possiamo distinguere tra streaming e download, ma non le diverse piattaforme che hanno la stessa modalità di distribuzione”. De Chiara ha affermato inoltre che: “…facciamo fatica a parlare di esclusiva, perchè per i nostri clienti il passaggio tra una piattaforma all’altra ha un costo“.

  

Per Pietro Campedelli, Presidente Cartoon Italia, “…il modus operandi tra produttore e broadcaster, mina il sistema, è distruzione di ricchezza. Alla base ci sta un’opera intellettuale che va sfruttata per tutto quello che è il suo potenziale. Fondamentale che ci sia una redistribuzione dei compiti“.

  

E’, quindi, intervenuto Marcello Berengo Gardin, Corporate Communication Manager di SKY Italia, il terzo grande attore del panorama televisivo italiano, che ha espresso qualche riserva su una regolamentazione dall’alto dei diritti da parte dello Stato: “Dobbiamo valutare con attenzione un intervento legislativo in questo ambito. La legge ha le sue motivazioni. Meglio è lo stimolo a una serie di accordi di categoria, per far funzionare i codici di comportamento”.

Berengo Gardin ha lanciato la proposta di “…dividere i diritti pay e i diritti free. Riguardo al futuro sono terrorizzato alla diversificazione sui diritti della IPTV. Si andrà diversificando la mobilità di fruizione, ma non la quantità di fruizione“.

  

La realtà del mercato – secondo Stefano Passigli, Presidente Istituto LUCE – è che vi è una debolezza estrema sulla proprietà intellettuale. In materia delle norme, è necessario stabilire cosa sia il diritto“. Ha richiamato all’appello il ruolo del legislatore, per “fare chiarezza su certi punti fondamentali“. Passigli propone inoltre “la decadenza dello sfruttamento dei diritti secondari da parte del contraente se, dopo un lasso di tempo, non vi è stato un utilizzo appropriato”.

  

Anche Umberto Croppi del Consiglio Superiore delle Comunicazioni, ha ribadito la necessità della definizione della “durata, il compenso e le modalità” dello sfruttamento di un diritto commerciale.

Secondo Croppi, la questione dei diritti mal si associa con le proprietà ontologiche del mezzo televisivo: “Nel caso di un’opera d’arte l’opera esiste a prescindere dal suo sfruttamento commerciale. La distribuzione televisiva, invece, ha bisogno di più soggetti per esistere. Su questo il legislatore deve fare chiarezza. È materia assolutamente nuova“.

  

L’ultimo intervento è stato quello di Alessandro Corsi, Responsabile Contrattualistica e Regolamentazione Contenuti di Fastweb, il quale ha suggerito di trovare un sistema di equa distribuzione sui diritti non ceduti dell’autore: “Dobbiamo trovare un regime intermedio, l’unico detentore dei diritti non può essere il broadcaster che ha comprato i diritti anni fa. Questo produttore spesso non si trova. Meglio destinarli a un fondo comune“.

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