Europa
Gli ex monopolisti delle tlc europee non stanno attraversando un periodo molto felice. Il cambio ai vertici di Deutsche Telekom non è che l’ultimo episodio di una storia che testimonia le difficoltà degli incumbent nel passaggio dalla condizione di monopoli statali a società privatizzate alle prese con le sfide tecnologiche e competitive che caratterizzano il mercato.
Un presente fatto di esodo degli abbonati, guerra dei prezzi, calo degli utili, indecisioni strategiche e, in molti casi, debiti stratosferici.
Mali che accomunano tutti gli ex monopolisti che, di fronte all’erosione dei profitti provocata dalla doppia aggressione dei new entrant e degli operatori mobili, si trovano costretti a stare sulla difensiva.
Pochi sono i gruppi che sono intervenuti tempestivamente sulle infrastrutture, riuscendo a fare migrare i clienti verso le nuove tecnologie. Tra questi, la britannica BT Group, che con la “Rete del 21° Secolo” (21 CN), la più estesa rete MPLS a livello mondiale, è riuscita ad aumentare in modo significativo portata e capacità di banda, evitando un’emorragia fatale di clienti.
Dopo 4 anni alla guida del maggiore operatore di telecomunicazioni europeo, dunque, Kai-Uwe Ricke ha rinunciato alle sue funzioni effetto immediato ed è stato sostituito da Renè Obermann, manager 43enne che – provenendo da una famiglia tutt’altro che agiata – ha interrotto gli studi di economia per iniziare lavorare.
Prima di Ricke, a cadere a causa dei debiti accumulati da DT era stato Ron Sommer, responsabile del crollo del titolo in Borsa dopo l’acquisto dell’americana Voicestream. Il prezzo pagato per rilevare l’operatore mobile statunitense è stato altissimo ed è stato saldato con azioni DT che sono state poi emesse sul mercato causando la caduta libera del loro valore. E l’allontanamento di Ron Sommer.
L’uscita di scena di Ricke balza alle cronache due mesi dopo la crisi che ha investito Telecom Italia, culminata con le dimissioni di Marco Tronchetti Provera. Prima di lui, ad aprile, a prendere la porta era stato il patron di Swisscom Jens Alder, che aveva rassegnato le dimissioni dalla sua funzione di CEO in seguito alle controversie in merito alla strategia internazionale del Gruppo, andando poi a ricoprire la stessa carica in seno all’operatore danese TDC.
Andando un po’ più indietro nel tempo, nel 2002 toccò a Michel Bon di France Télécom fungere da capro espiatorio della disastrosa condizione di quella che era ormai la società più indebitata del mondo. Bon venne sostituito da Thierry Breton, che riuscì a riportare la società in utile e a ridurre il debito del gruppo, per poi dimmettersi nel febbraio del 2005 dopo essere stato nominato ministro dell’Economia al posto di Hervè Gaymard, che ha lasciato il proprio incarico perché travolto dallo scandalo dell’appartamento da 14.000 euro al mese pagato dai contribuenti.
Il valzer ai vertici delle maggiori compagnie europee non è dunque un fatto strettamente legato alla situazione attuale del mercato, ma torna sempre utile come soluzione per ridare credibilità all’operato di questi mastodontici gruppi, la cui taglia e struttura ne inibiscono spesso la capacità di reazione di fronte alle sfide di un mercato in continua evoluzione.
Gli ex monopoli, inoltre, pagano l’esitazione e a volte l’ambiguità che caratterizza le loro scelte strategiche: France Telecom e Deutsche Telekom, ad esempio, dopo aver distaccato le filiali Wanadoo, T-Online e T-Mobile, le hanno reintegrate, suscitando le ire degli azionisti. Lo stesso vale per Telecom Italia che, dopo aver puntato tutto sul mobile fondendosi con TIM, cambia rotta e vira sulla banda larga e le reti di nuova generazione, tentando di separare di nuovo la filiale mobile. Ipotesi che causa di fatto la crisi del gruppo.
A pesare sulle strategie di questi gruppi è molto spesso anche lo Stato che, in qualità di azionista, interferisce nella gestione societaria.
Sullo sfondo delle dimissioni di Tronchetti Provera da Telecom, i contrasti col premier Romano Prodi sull’orientamento strategico del gruppo, mentre Jens Alder di Swisscom ha subito le conseguenze del cambio di orientamento deciso dal governo elvetico.
Molto spesso, le dimissioni degli amministratori delegati non risolvono la crisi del gruppo, ma servono a dare l’impressione che qualcosa per rimettersi in piedi la si sta facendo.
Queste società, privatizzate in un mercato liberalizzato, non hanno la struttura e le sinergie dei gruppi privati e, secondo alcuni analisti, “non possono sopravvivere in condizioni di concorrenza aperta”.
Obermann, insomma, difficilmente riuscirà a fare meglio del suo predecessore, nonostante tutto il suo carisma di self-made-man che, a soli 43 anni, è riuscito a salire al vertice di uno dei più importanti gruppi europei.