Mondo
Come si dice in questi casi: l’importante è che se ne parli.
Si è chiuso ieri ad Atene il primo meeting dell’Internet Governance Forum che ha riunito sotto lo stesso tetto oltre 1.200 delegati di 90 nazioni, le maggiori aziende del settore (da Microsoft a Yahoo! e Google), istituzioni internazionale (la Ue, l’Ocse, il Consiglio d’Europa) organizzazioni a difesa dei diritti umani e della libertà di stampa (da Amnesty International a Reporters sans Frontières).
Pur non giungendo a nessuna decisione concreta o accordo di rilievo, il meeting dell’IGF – che non è un ente decisionale ma di ‘dialogo’ – ha dato occasione per affrontare diverse questioni di stretta attualità: quasi inesistente il dibattito sulla tanto deprecata egemonia Usa sull’Icann, le diverse session si sono concentrate principalmente sulle questioni relative alla ‘libertà‘ della rete e alla censura che molti Paesi esercitano in maniera che viola i diritti umani, complici le maggiori web company mondiali.
Ed è proprio in questo contesto che è emersa forse la notizia che più ha trovato eco sulla stampa internazionale: l’annuncio che Microsoft potrebbe forse lasciare la Cina a causa dei rigidi controlli che il governo esercita al libero flusso di dati in rete.
Le imposizioni repressive di Pechino sono per Microsoft “inaccettabili e incompatibili” e starebbero infatti facendo riflettere il colosso americano, sul futuro della sua permanenza nel ghiottissimo mercato asiatico.
Certo, non è solo la Cina a perseguitare i blogger, a chiudere gli internet Cafè, a censurare le notizie provenienti dall’estero e a mettere in carcere persone ree soltanto di aver espresso una opinione sgradita al governo: dall’Iran alle Maldive, da Cuba al Vietnam, i governi stanno intensificando il giro di vite nei confronti di chi usa internet per comunicare i propri punti di vista e contestualmente negano ai propri cittadini l’accesso alle informazioni.
E di sicuro non solo Microsoft ad aver accettato la situazione pur di non rinunciare ai profitti generati da un mercato enorme e in piena fase di crescita: anche Sun Microsystems, Nortel Networks, Cisco Systems, Yahoo! e Google collaborano coi governi per censurare internet o rintracciare singoli utenti.
“Internet – ha denunciato Amnesty International – può essere un grande strumento per la promozione dei diritti umani: gli attivisti possono far sapere al mondo cosa accade nel proprio paese con un solo click. La gente ha un accesso senza precedenti a informazioni provenienti da un numero amplissimo di fonti. Ma il potenziale di internet per il cambiamento è sotto l’offensiva di quei governi che non tollerano la libertà d’informazione e di quelle aziende che sono disposte ad aiutarli a reprimerla”.
Per questo, un gruppo di delegati dell’organizzazione ha consegnato al rappresentate del segretario generale dell’Onu Nitin Desau, una petizione firmata da 50 mila persone, chiedendo “ai governi di mettere fine alle arbitrarie restrizioni della libertà di espressione su Internet ed alle compagnie di non aiutarli più a fare ciò che fanno”.
Nel corso dei vari eventi che hanno caratterizzato il meeting, il 1° novembre si è tenuto un workshop per promuovere una ‘Carta dei Diritti‘ della rete.
Fortemente sostenuta dall’Italia, la Bill of Rights è stata presentata da Stefano Rodotà, già capo del consiglio delle Autorithy europee della privacy, giurista e docente all’Università di Roma, con la collaborazione di Fiorello Cortiana (rappresentante al Forum del Senato italiano), Daniele Auffray (assessore del comune di Parigi), José Murilo Junior (ministro della Cultura brasiliano) e Vittorio Bertola (Icann).
“Internet – ha spiegato Rodotà – costituisce lo spazio pubblico più ampio e partecipato mai conosciuto dall’umanità, per questo occorre una ridefinizione dei diritti già affermati in relazione con la rete e le sue prerogative, inedite ed originali ad un tempo”.
Senza una definizione pubblica dei diritti – e dei doveri – degli internauti, le leggi, ha detto ancora Rodotà, “verranno fatte dalle corporation e dai singoli governi” e la rete non potrà più essere uno spazio libero né pubblico.
Tra gli strumenti per far fronte a questa necessità, Rodotà cita sia i Protocolli tra Stati sotto l’egida dell’ONU, sia Risoluzioni e Carte dei Diritti approvati da organismi sovranazionali, come il Parlamento europeo e il Mercosur in America Latina.
Le regole servono, soprattutto, perché internet è un “luogo di conflitto”, come lo è il mondo offline e per questo bisogna fare in modo che i diritti che vigono fuori dal virtuale siano fatti rispettare anche online.
“Internet – ha quindi aggiunto – deve rimanere un posto che garantisca nuove opportunità ai cittadini e alla democrazia e solo una Carta dei Diritti può fornire la base per garantire la libertà di aziende e persone”.
Il cammino che porterà alla definizione e all’approvazione di questa Bill of Rights sarà senz’altro tortuoso e irto di difficoltà.
Il Governo italiano si è tuttavia impegnato ad avviare il processo che si spera culminerà nella sua realizzazione, organizzando per il prossimo anno una conferenza internazionale nella quale verranno valutate tutte le proposte provenienti da ogni parte interessata alla Costituzione di Internet.
Molte, dunque, le sfide che attendono il futuro della Rete, ma il Forum è stato quantomeno occasione per assistere a scene difficilmente ripetibili in un altro contesto, come la solenne reprimenda a un rappresentante cubano a opera di uno studente americano, che ricordava come la percentuale di cubani dotata di connessione domestica sia prossima allo zero, dal momento che “il governo non lo consente”.
Appuntamento, dunque, al prossimo meeting IGF che si terrà l’anno prossimo a Rio de Janiero, dove speriamo non ci sarà più bisogno di parlare dei malanni della rete che – ma forse è solo un’utopia – per allora saranno se non curati, almeno in via di guarigione!