Internet governance: parte lunedì il primo meeting IGF tra nuovi progetti e vecchie polemiche

di Alessandra Talarico |

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Si aprirà lunedì 30 ottobre il primo meeting del Forum sulla Governance di Internet, che riunirà ad Atene fino al 2 novembre circa 1.200 diplomatici, ministri ed esperti del settore per discutere della gestione della Rete, ripartendo probabilmente – ma speriamo di no – dalla polemica sull’eccessivo controllo del governo Usa nella gestione tecnica della rete.

 

Ufficialmente, i temi da analizzare riguarderanno la libertà della rete in tutte le sue sfaccettature -di espressione, del flusso di informazioni, di idee e di conoscenza – ma non solo.

I diversi workshop verteranno su temi legati alla sicurezza delle infrastrutture, alla multiculturalità del web, ai diritti umani (a dire il vero troppo spesso violati da molti dei governi i cui rappresentanti che presiederanno al meeting) al libero scambio di informazioni, per poi discutere – ma proprio alla fine dei lavori – dell’ingresso di un gruppo di ‘intellettuali’ nel Forum, che in quanto “organo deliberativo”, dovrà “pensare” alle questioni relative alla governance per spingere poi all’azione i decisori politici.

 

Saremmo troppo ottimisti, tuttavia, a pensare che il tema centrale non sarà anche stavolta quello dell’ingerenza degli Usa sull’Icann, anche alla luce del discusso mutamento delle relazioni tra il Dipartimento del Commercio e l’Icann, l’ente che si occupa della gestione tecnica del web.

Alcune settimane fa, infatti, il DoC ha annunciato di voler favorire la maggiore apertura della governance di internet sostituendo il Memorandum of Understanding  che lo legava all’Icann con un accordo più leggero – battezzato “Joint Project Agreement” (JPA) – che dovrebbe scadere definitivamente nel 2009 e, secondo le intenzioni manifestate dall’amministrazione Usa, non dovrebbe più essere prolungato.

 

Sarà sufficiente questo volenteroso passo degli Usa a smorzare la tensione che ha caratterizzato l’ultimo Summit mondiale sulla società dell’informazione di Tunisi?

 

Sia la Commissione europea che la venerabile Internet Society sembrerebbero propensi a credere che questo basterà: “credo nell’Icann, nella sua esperienza e nel modello multi-stakeholder che esso rappresenta”, dichiarava il Commissario Ue ai media e alla società dell’informazione Viviane Reding lo scorso 2 ottobre, ma “seguiremo da vicino la sua transizione verso la piena indipendenza, per assicurarci che avvenga in piena trasparenza e rifletta gli interessi dell’industria e della società civile”.

Mentre l’Internet Society definiva la decisione del Governo americano “un passo costruttivo verso una gestione (del Web) affidata al settore privato…un accordo che continuerà a garantire la stabilità di internet e allo stesso tempo darà più libertà all’Icann”.

 

Non è così d’accordo, tuttavia, il gotha accademico americano, riunito nell’Internet Governance Project, che definisce  il JPA “vino vecchio in una bottiglia nuova”.

Per rispondere alle critiche ricevute negli ultimi mesi dai diversi stakeholder, gli Usa e l’Icann – spiega IGP – “hanno spogliato il loro vecchio MoU e l’hanno rivestito con abiti nuovi, al solo scopo di rafforzare la percezione pubblica che l’ente sia relativamente indipendente”, ma in realtà le relazioni di dipendenza restano fondamentalmente “invariate”.

 

L’Icann dovrà sempre rendere conto del suo operato al DoC, anche se non più ogni sei mesi ma ogni anno, e l’accordo dura sempre tre anni, proprio come il vecchio. Considerando poi anche il contratto IANA – l’ente che ha responsabilità nell’assegnazione degli indirizzi IP, controlla ogni modifica del root DNS ed è controllato interamente dagli Usa – si può ben capire che è cambiato davvero poco.

 

“Se il nuovo accordo fosse un film – spiega ancora JPA – potrebbe essere considerato il sequel del veto sul dominio .xxx esercitato dal DoC lo scorso anno”.

Il nuovo accordo, ordina infatti all’Icann “di rafforzare le esistente politiche Whois” (il servizio che consente di stabilire a quale provider Internet appartiene un indirizzo IP) che richiedono all’ente di consentire “accesso pubblico, illimitato e appropriato alle informazioni complete del Whois”. E il diritto alla privacy, in tutto questo?

 

Di carne al fuoco, dunque, ce n’è, da un lato e dall’altro. Non dimentichiamo, infatti, che al centro delle polemiche non sono solo gli Usa, ma anche molte delle nazioni che hanno richiesto con più forza l’allargamento della governance di Internet.

Tra queste c’erano anche Paesi come l’Iran, la Cina, Cuba e lo Zimbabwe che non si possono certo definire a favore della libertà di espressione, visti i metodi che usano per ripremere il libero scambio di informazione sul web.

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