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Uno degli errori più diffusi nell’analisi del Progetto di legge Gentiloni sulla nuova disciplina per la transizione del sistema radiotelevisivo alla tecnologia digitale è l’analisi stand-alone del disegno, quasi questo fosse un sasso precipitato all’improvviso nel già turbolento stagno televisivo nostrano.
Non è così, questo “progetto legislativo” è parte di una strategia partita con la costituzione del comitato “Italia digitale“, braccio operativo per la realizzazione della transizione al digitale, e proseguita con il capitolo della Finanziaria che porta capitali a questa operazione nei nodi strutturali del sostegno alle strutture e ai contenuti. Ultima, l’audizione open-ear sul contratto della Rai, che ha portato alla nuova delibera dell’Agcom con le linee guida per il futuro prossimo della Tv pubblica.
Delibera, va almeno sottolineato, che ha molte novità e la cui analisi meriterebbe uno spin-off valutativo.
Solo inquadrando il Progetto di legge in questa ottica più ampia si può avere un quadro obiettivo di una strategia pragmaticamente aliena da derive ideologiche che peraltro difficilmente troverebbero nel Parlamento, in particolare al Senato, i numeri necessari all’approvazione.
E pragmaticamente, il PdL si muove in un solco tracciato da anni dalla stessa storia dell’evoluzione legale del sistema televisivo. Rotta “cambiata” dalla precedente Amministrazione, che questo Pdl vuole ripristinare con la gradualità necessaria a evitare che la nave, nel suo complesso, possa rompersi.
Questo ha reso necessario cercare una via di equilibrio, tra quella che avrebbe potuto essere che ormai è impossibile realizzare, e quella di chi farà di tutto per evitare di arrendersi all’evidenza di un sistema che già ora non è quello che alcuni vorrebbero rimanesse ad libitum.
Questa via di mezzo si concretizza nella disposizione dei paletti mossi a gestire il periodo di transizione con l’obiettivo di creare i presupposti economici per favorire l’ingresso di operatori terzi:
1 – Una data più realistica per lo switch-off, il
2 – La modifica al Sic, che cambia nome (settore delle comunicazioni) e viene drasticamente ridotto (meno 3,8 miliardi).
3 – La regolamentazione delle telepromozioni, che dalla Gasparri erano state deregolate, e i vincoli sulla raccolta pubblicitaria, fissata al 45%. Certamente un limite per Mediaset, ma solo per l’attuale. Il futuro per le reti generaliste, più aperto a nuovi operatori, potrebbe portare a interessanti evoluzioni complessive.
4 – La nuova disciplina sull’Auditel, che viene ampliato da tutte le piattaforme e la cui alterazione dei dati costituirà reato;
5 – La presa d’atto come i canali Pay costituiranno nel futuro una fetta importante e forse predominante del panorama televisivo, per cui i canali pay entreranno a far parte del 20% della quota massima di canali digitali che si può trasmettere.
Qualche difficoltà si vede invece sulla volontà, in linea di principio corretta, di far tornare allo Stato le frequenze in eccesso. L’ostacolo prende il nome di Alta Definizione, che nel 2012 sarà una realtà consolidata. Miracoli del software di compressione a parte, questa si ritroverà comunque a dir poco ingabbiata nello spettro di frequenze oggi disponibili.
Altra criticità si ritrova anche laddove si prevede come i contenuti “lineari” trasmessi da operatori dominanti IPTV debbano essere ceduti a operatori alternativi che ne fanno richiesta, insieme all’accesso all’infrastruttura che consente di trasmetterli. Il nodo è nella parola “lineari”, perché i contenuti multimediali in rete si trasformano in modelli di business validi principalmente in un contesto “non lineare”, on-demand.
Il buco, anzi il cratere, forse non l’unico, ma certamente quello più evidente, è lo sviluppo della Radio Dab. Manca totalmente, nella legge come nel comitato Italia Digitale. Altra mancanza è quella relativa la mutazione della mission Rai, che il Ministro ha sempre affermato volere con più canone e meno pubblicità. L’assenza della parte sulla Rai potrebbe essere voluta, lasciata strategicamente a provvedimenti dedicati che in futuro dovrebbero completare il quadro complessivo, ma comunque non rallentare l’iter di questo dispositivo.
Al contrario, l’assenza del Dab, già decollata nel resto dell’Europa, appare inspiegabile. Il riapparire della radio digitale nella delibera di Agcom sulla Rai, aumenta paradossalmente la disarmonia del tutto.
La vera criticità di questa legge è però nel suo stesso limite temporale, l’autunno del 2012. Lo scenario previsto all’alba del 2013 rivela infatti una visione Verniana del futuro che non trova corrispondenza negli input che già oggi si manifestano e che solo oltreoceano pare sappiano interpretare. Verne aveva infatti il limite di interpretare al meglio le tecnologie disponibili, ma non di fantasticarne altre, per cui quando si trattò di mandare sulla Luna i suoi eroi, non trovò niente di meglio che un fantascientifico cannone, visto che all’epoca le astronavi a razzo non erano ancora state ideate.
E così tutti gli attori, politici e imprenditoriali continuano a prefigurarsi uno scenario che si ostina a voler vedere il cittadino del 2020 tornare a casa la sera e, stanco, abbioccarsi homericamente sul divano pronto a sorbirsi il precotto televisivo (cosa che faccio regolarmente). Il mondo del futuro, al contrario, non avrà la televisione al centro del suo svago casalingo, ma altro: la Rete e i videogiochi in primo piano o chissà cosa ci inventeremo fra trent’anni, comunque interattivo. I giovani peraltro se ne stanno già andando, al massimo si guardano i canali mondo di Sky Italia (Jimmy, Fx, Fantasy, Fox, etc.). Vivono in rete, giocano e si divertono online; si ribattezzano con i nickname, si materializzano via avatar. Il pivot su gireranno le stanze dei nostri figli prima e i salotti poi vedrà sempre più un Pc mediacenter con un grande schermo che farà tutto e al cui interno potrà trovare anche spazio una finestra con la tv tradizionale, sia pur digitale, ma come ultima istanza, e solo per quei programmi che suscitino l’interesse del singolo. Programmi, non canali, che comunque potranno essere comodamente registrati per una fruizione comoda, asincrona e, soprattutto, senza pubblicità, quando non direttamente on-demand, funzioni già oggi in essere per gli utenti Fastweb, tramite i servizi “Videorec” e “Replay”, per quelli Sky con “MySky”.
Insomma, il 2012, e soprattutto i decenni successivi, potrebbe rivelare un sistema, quello “sincrono”, senza più una platea, o comunque senza una platea pubblicitariamente interessante (tranne che per chi vende pannoloni e mastice per dentiere). Cosa succederà a quel punto a quelli che avranno investito i loro soldi nel cannone, mentre il Cyberspazio dei contenuti digitali sarà occupato da miriadi di navicelle spaziali, dagli incrociatori interstellari di Fastweb e Telecom Italia (?) e, soprattutto, dall’Enterprise di Rupert Murdoch, non è difficile immaginarlo. La cosa comunque ineluttabile è che questo sta già accadendo, e proseguirà a prescindere da qualsivoglia legge si riuscirà a promulgare.