Spot mirati sul telefonino? Sì, grazie! Ma gli analisti avvertono: attenti all’effetto boomerang

di Alessandra Talarico |

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Mobile advertising

Dopo aver invaso le strade, la televisione, internet e ogni mezzo di comunicazione disponibile – ivi comprese diverse parti del corpo di irriducibili della reclame – gli spot pubblicitari si avviano a diventare onnipresenti anche sui telefonini, pare col beneplacito degli utenti, almeno quelli intervistati da Enpocket.

 

Secondo 1.200 persone interpellate tra l’Europa, gli Stati Uniti e l’India la pubblicità sul telefonino può anche starci, purché sia mirata e permetta di avere in cambio servizi gratuiti come programmi Tv, musica e giochi.

 

I telefonini del resto sono ormai diffusissimi e offrono un canale di comunicazione diretta con le persone molto più efficace della Tv o di internet. Ecco perché advertiser e operatori sono dietro l’angolo a valutare le opportunità del business.

 

E le porte sembrano aperte, meglio, spalancate, dal momento che gli autori del sondaggio spiegano che il 78% del campione intervistato dice che sarebbe addirittura felice di ricevere sul cellulare spot pubblicitari fatti su misura. Il 64% sarebbe anche favorevole a fornire dettagli personali per permettere alle aziende di marketing di confezionare offerte specifiche in base ai suoi gusti e ai suoi interessi.

 

Gli operatori da canto loro, dispongono già di database pieni zeppi di dati relativi alle abitudini, all’età, al genere, alla posizione e alle spese degli utenti che finora, però, si sono sempre dimostrati riluttanti alle intromissioni pubblicitarie sul loro beneamato personalissimo gadget.

 

In che modo, dunque, si potrà introdurre la pubblicità sul telefonino in maniera che la strategia si riveli vincente e non un boomerang?

 

Prima che il mobile advertising possa affermarsi come medium pratico, dicono gli analisti, bisogna risolvere alcuni aspetti fondamentali, tra cui i modelli di business, la condivisione dei profitti, oltre a questioni prettamente tecniche come la misura dello schermo dei cellulari, disponibilità di banda, interoperabilità delle reti e ancora il tipo, la lunghezza e la frequenza degli spot e via dicendo.

 

Quale sia il modello di business migliore da implementare lo decideranno comunque le caratteristiche e le dinamiche del mercato e questo iter comporterà sicuramente test ed errori, almeno in un primo momento.

 

Se tutto andrà per il verso giusto, comunque, il settore dovrebbe decollare per generare – in Europa e negli Usa – profitti per oltre 1 miliardo di dollari nel 2009, contro i 255 milioni del 2005.

 

La pubblicità, spiega invece IDC, rappresenta anche una parte importante delle strategie e dei profitti ‘off-portal’, un’area che gli operatori stanno cercando di rafforzare come complemento delle strategie ‘on-portal’, basate sull’introduzione di offerte come navigazione gratuita o di piani tariffari flat.

 

Come sottolinea anche un rapporto KPMG, il 3G permette di arricchire l’offerta di contenuti, ma c’è un limite rappresentato dall’effettiva propensione degli utenti a pagare per questi extra.

 

A questo punto entra in scena la pubblicità, che – attraverso contenuti sponsorizzati interamente o parzialmente dagli inserzionisti – potrebbe accelerare sia la diffusione dei nuovi contenuti che l’ingresso sul mercato di nuovi operatori che offrono chiamate gratuite in cambio di spot mirati.

 

Così facendo, sarebbe più facile per gli utenti, accettare l’invasione della pubblicità anche sul telefonino a patto sempre che gli operatori seguano un codice etico. Dunque niente spam, ma solo brevi spot utili e mirati.

 

Ma siamo sicuri che tutto questo sia davvero necessario?

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