Italia
L’Agcom ha istituito una Task Force per coordinare un’evoluzione regolamentare in grado di garantire un accesso paritario alle reti di telecomunicazioni.
La Task Force, che riferirà settimanalmente all’Autorità sullo svolgimento dei lavori, avrà il compito di avviare un confronto con Telecom Italia per “delineare in tempi brevi le fasi di un nuovo processo di apertura della rete e gli strumenti tecnico-giuridici diretti ad assicurarne l’effettiva operatività”.
Tematiche importanti che evidenziano come il processo di liberalizzazione, avviato 8 anni fa, possa dirsi tutt’altro che concluso e sulle quali l’Authority intende avviare consultazioni con gli altri operatori e i consumatori.
Quello che appare più urgente in questo momento è infatti la definizione di regole chiare che tolgano asprezza al dibattito in corso sullo scorporo della Rete Telecom e la creazione di una società separata. Un percorso la cui realizzazione, ha sottolineato il presidente della società Guido Rossi, richiederà diversi mesi e che nasce soprattutto dall’esigenza “di garantire al regolatore la trasparenza nelle transazioni fra la componente di rete locale d’accesso e il resto dell’azienda”.
Di fronte alle Commissioni parlamentari, Rossi ha altresì respinto al mittente le accuse di chi sostiene che Telecom Italia mantenga ancora una posizione monopolista, sottolineando che in realtà “la quota di mercato in ricavi della società, pari al 77,5%, è assolutamente in linea con quella degli ex monopolisti europei e al di sotto di quella in paesi come Spagna e Germania”.
Il mercato italiano, con 6 milioni di utenti passati in questi anni ai servizi degli operatori alternativi e altri 2 milioni che hanno rinunciato completamente a quelli Telecom risulta dunque per Rossi “altamente competitivo”.
Il presidente Telecom, sottolineando la volontà del gruppo di collaborare con l’Autorità, ha inoltre confermato che entro la fine dell’anno il debito della società – quello che forse più confonde chi non riesce a star dietro alla bagarre politico-finanziaria delle ultime settimane – scenderà a 38 miliardi di euro entro la fine dell’anno, contro i 41,3 miliardi del giugno scorso.
“Al momento – ha aggiunto ancora Rossi – non sono previste ulteriori cessioni di asset” e se ciò dovesse avvenire, sarà solo in funzione “della necessità di reperire risorse per perseguire gli obiettivi di sviluppo delle nuove reti e della convergenza”.
Già perché, non dimentichiamolo, le tlc corrono veloci verso un futuro che non aspetta la risoluzione di giochi di potere incomprensibili ai più e quello che più conta al momento – oltre a fare la massima chiarezza sulle molte questioni sul piatto dell’affaire Telecom – è anche definire con chiarezza le strategie del gruppo per posizionarsi sul mercato, sia quello della banda larga e dei contenuti (la cosiddetta media company) o quello della convergenza fisso-mobile.
Qualsiasi sarà la strada che il gruppo intenderà percorrere, serve “flessibilità” e “rapidità di reazione” ma, soprattutto, servono risorse – e tante – per “stare al passo con una tecnologia che nel prossimo futuro permetterà la fruizione di contenuti ad altissima qualità e di servizi innovativi a prescindere dal dispositivo che si ha a disposizione”, ha spiegato Rossi.
Come dire, non è possibile escludere a priori un’eventuale cessione totale o parziale di asset, ma non è questo l’obiettivo primario del gruppo, che si oppone altresì strenuamente a una “nuova, sia pure larvata, nazionalizzazione dell’impresa”.
Una prospettiva alla quale il presidente Telecom, non intende “assistere passivamente”.
Entrando, infine, nel merito dell’ingerenza politica sulle decisioni prese dal cda Telecom l’11 settembre, Rossi ha ribadito che è “normale e giusto” che il Governo e il Parlamento si interessino “delle sorti di un settore strategico” come quello delle telecomunicazioni, ed è altrettanto “comprensibile che le aziende ricerchino un dialogo e con confronto con l’esecutivo, soprattutto quando le loro strategie hanno implicazioni internazionali”.
Ciò che non va dimenticato è che come le istituzioni sono “sovrane nel loro ambito di decisione”, anche le imprese hanno diritto a “veder pienamente salvaguardata la loro autonomia”.