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Dopo mesi di trattative, YouTube, popolare sito per la condivisione di video, e Warner Music Group hanno stretto un accordo che consentirà alla major discografica di distribuire video musicali, riprese girate dietro le quinte, interviste agli artisti e programmi originali.
Ma che cosa rappresenta realmente YouTube e che ruolo avrà nella comunicazione del futuro? Il formidabile tasso di crescita delle consultazioni (100 milioni di video distribuiti ogni giorno) fa sognare.
Gli amici di YouTube continuano a moltiplicarsi e la stampa rilancia l’idea di un medium interattivo, con il potere che torna nelle mani degli spettatori che diventano attori della loro televisione.
Qualcuno però avverte: se il fenomeno YouTube segna una svolta con l’avvento del video sul web, l’interpretazione del fenomeno è molto più complessa di quanto appare.
Per cominciare, dietro queste cifre, una verità: il numero medio di visualizzazione di un video su questi siti è inferiore a 10 hits (dati forniti recentemente da BFM: 4 hits in media).
Alcuni video (quello, per esempio, della testata di Zidane a Materazzi) sono visti migliaia di volte, ma la grande maggioranza resta invisibile (su 4 persone che in media guardano un video si può supporre che ci sia anche l’autore).
Siamo lontani dai canali televisivi a forte audience prodotti da utenti e invece molto vicini ai video familiari condivisi tra una cerchia di amici. E’ sufficiente guardare in modo approfondito i video postati: molte gags, poca informazione.
Aggiungiamo l’impossibilità di trovare video di qualità, persi in un oceano di video a scarso valore aggiunto: la classificazione per tags ha i suoi limiti.
Ricordiamo inoltre che la maggior parte di questi siti, YouTube in testa, non ha ancora trovato il proprio modello di business e l’arrivo della pubblicità non aiuta la qualità.
Del resto fare una televisione partecipativa di qualità con forte audience è più facile a dirsi che a farsi.
Per fare Tv di qualità è necessario produrre contenuti di qualità: interviste, reportage, accesso a luoghi e a persone fino a oggi riservato solo ai grandi media.
Sicuramente la forza della rete e delle relazioni gioca un ruolo chiave che fa la differenza. Un’intervista podcast diventa di successo soprattutto se realizzata da qualcuno con grande seguito personale. La Tv partecipativa di qualità non è chiaramente aperta agli amatori di tutto il mondo.
Altro situazione controversa è quella degli aventi diritti. Molto più complessa di quanto appare. E, mentre si discute ancora la questione dei diritti d’autore per la stampa online, sembra che nessuno, neanche le major, si preoccupi della distribuzione totalmente illegale dei video su YouTube. Tra le major discografiche, solo Warner Music ha chiuso le trattative.
Al momento non c’è niente da guadagnare, visto che YouTube ha già le casse dissanguate dalle spese di alloggio.
Le parti coinvolte lasciano fare, come in una pesca online dove si lascia che il pesce mangi tranquillamente l’esca per poi tirarlo su quando serve.
Per sottrarsi dalla sindrome del video gag è necessario adottare una linea editoriale. Solo che la scelta mette in crisi il modello di Tv partecipativa. Il potere non è nelle mani degli utenti internet, ma dei responsabili editoriali che vogliono selezionare argomenti, contenuti, per proporre ai telespettatori un’insieme strutturato e coerente. Il prezzo da pagare per avere la qualità.
Tuttavia ci sono alcuni elementi da considerare per realizzare una Tv partecipativa di qualità. Innanzitutto la Tv online non può essere una replica della Tv classica. La considerazione del comportamento dell’utente gioca un ruolo determinante.
L’utente/spettatore è un ultrazapper: resta in media 7 minuti per canale. Per questo è indispensabile privilegiare contenuti brevi o contenuti lunghi indicizzati, con lavoro editoriale supplementare.
Lo spettatore usa il medium facendo altre cose. Comincia a guardare, poi legge la posta, ritorna sul video in alcuni momenti…
La concentrazione non è continua e catturare la sua attenzione mentre è preso da altre cose è un’impresa davvero ardua.
L’utente si aspetta dalla web Tv un’indicizzazione che va ben oltre i tags: i più visti, i più commentati…ma anche una ricerca per keywords, una navigazione ramificata attraverso tutti i contenuti, che rivela un lavoro editoriale complesso.
Desidera più che video: contenuti rich media, video sincronizzati con immagini, formulari, testi…
La considerazione di tutti questi fattori implica l’elaborazione di un modello economico di largo consumo, che combini informazione di qualità, audience e modello interattivo. Equazione impossibile? No.
Ma in tutti i casi più difficile di quanto possa immaginare a primo impatto.
Per contro, la declinazione di Tv 2.0 in un contesto di impresa, per un’intranet ad esempio, o per i clienti, è più facile da trattare.
Canali televisivi interni, con reporter che collaborano dall’azienda, canali Tv online che mettono avanti il know-how dell’impresa, canali di televendite per aumentare i servizi di eCommerce.
E’ tuttavia necessaria l’integrazione nei processi dell’impresa, in particolare in un contesto intranet in cui la coerenza con la linea editoriale deve essere rispettata.