Italia
Vi sono cose, nella vicenda Telecom Italia di questi giorni che proprio non si riescono a comprendere. Sarà forse perché noi casalinghi di Voghera siamo destinati a rimanere fuori dai meccanismi dell’Alta Finanza, però leggendo le motivazioni “ufficiali” a supporto del valzer che Telecom Italia e Murdoch hanno intrapreso, alcuni dubbi restano.
Perché Sky Italia dovrebbe sentire il bisogno di fondersi con Telecom Italia per veicolare i propri contenuti digitali? Quello di cui Sky ha bisogno, in teoria, è solo una immensa batteria di server per consentire il download dei propri contenuti on demand allocati strategicamente in modo da garantire un flusso di dati idoneo (e qui già la cosa si fa difficile e comunque terribilmente costosa). In sintesi quello di cui Sky ha bisogno è solo di un “buon” contratto di housing: tanto ferro e tanta banda garantita.
Perché Telecom Italia avrebbe bisogno di fondersi con Sky?
La storia della Media company non regge. A parte il fatto che, dalle nostre parti, risulta incomprensibile perché una Media company debba avere un indice di valutazione più alto di una Telco, da noi vali quello che porti a casa.
E comunque, Telecom Italia ha già due canali televisivi analogici, trasmette sul digitale terrestre, possiede Alice (la IP-TV del gruppo e portale di contenuti digitali). E’ quindi già una Media company. E indipendentemente da ciò, non c’è bisogno di matrimonio con Murdoch per avere i canali Sky, basta seguire la strada già percorsa da Fastweb, che veicola l’offerta premium di Sky via cavo senza annoverare Murdoch tra i suoi soci pesanti. E non dovrebbero sorgere obiezioni di sorta: è la legge del must-carry.
D’altronde, se c’è tanta voglia di contenuti, perché Telecom Italia non veicola l’offerta Rai, analogamente a quanto fa Raiclick con Fastweb?
Anche lì ostacoli non ce ne dovrebbero essere.
E allora?
I contenuti Rai non conferiscono status di Media Company?
E ancora, Fastweb che veicola contenuti di Sky e di Rai, che ha un suo canale on demand OnTv, che ha stretto un accordo con Itunes per i contenuti musicali, che vende lezioni di inglese e che ha un canale di giochi interattivi, è da considerare Telco o Media company?
Infine, posto che un matrimonio del genere si facesse, il nido d’amore reggerebbe? Perché ciò che rimane più oscuro è capire se con la rete attuale sia poi possibile inviare non dico milioni, ma almeno centinaia di migliaia di flussi da 6 Megabit (per non parlare dell’HDTV, che ne richiede 12).
Non sono un ingegnere (ho troppe faccende da sbrigare in casa), ma due conti a spanne li può fare chiunque, perfino un casalingo di Voghera: dal momento che in Rete il collegamento è point-to-point (il server che fornisce il flusso e il client che ne ha fatto richiesta), la velocità del collegamento sarà inevitabilmente quella del router più lento che si incontrerà nel percorso (e mediamente non sono pochi).
Quindi, se per servire 1.000 clienti in contemporanea serviranno 6 Gigabit (ovvero 1.000.000 di clienti=6 Terabit) è in grado la rete Telecom Italia di sostenere questi ordini di grandezza, con il dimensionamento armonico di tutte le componenti coinvolte, continuando peraltro a garantire almeno gli standard attuali agli abbonati tradizionali?
E quanto bisognerà comunque investire per raggiungere questo obiettivo?
E se i clienti dovessero diventare 4 milioni e fra dieci anni tutti ad alta definizione (e siamo a 48 terabit), e se poi decidessero di comperare i contenuti digitali dallo store di Itunes (che al cinema vuol dire Walt Disney-Pixar)?
Perché forse quello che bisognerebbe ricordare è che in rete non è come sul satellite, ogni cliente in più vuole banda in più, e tutto questo ha un costo.
Ma per cosa? Per inviare a casa del cliente un film (gli appassionati di sport ormai si sono attrezzati con Sat e Dtt) a un prezzo di 4 euro a Milano e 3 euro a Roma e mettersi in concorrenza con i noleggiatori che sono ormai presenti su base territoriale in modo capillare, quartiere per quartiere?
Ma quanti film dovrà noleggiare il gestore del nuovo servizio, prima di recuperare le spese sostenute?
E allora, ripeto: cui prodest?
Non lo so.
Non so rispondere a queste domande. Dopo tutto non sono un mago della finanza, né un architetto della rete.
Sono solo un casalingo di Voghera.
Il Casalingo di Voghera