Italia
Quella di oggi si presenta come una giornata di lavoro intensa e non priva di qualche complessità per l’intreccio di temi di particolare rilevanza e per la scansione di eventi che segnano sotto molteplici aspetti l’inizio di una fase nuova.
L’occasione ci è data dalla presentazione dell’opera utile ed importante di Fernando Bruno e Gilberto Nava, condensata nel libro sul “Il nuovo ordinamento delle comunicazioni“.
Una riflessione che si intreccia con l’avvio di un nuovo corso politico, di una nuova legislatura e di un nuovo Governo. Rispetto agli indirizzi degli ultimi anni c’è, quindi, da mettere in conto su molte questioni una fisiologica e legittima discontinuità mentre su altre quella che potremmo definire una continuità critica.
Ma tutto ciò coincide anche con l’avvio di una nuova fase di mercato che richiederà con prevedibile probabilità nuovi significativi percorsi regolamentari.
Lungi dall’essere un mero compendio di leggi, regolamenti e sentenze (ma assolve bene anche a questo scopo), questo libro si propone da un lato come una guida attenta e critica all’attuale assetto dell’ordinamento delle comunicazioni in Italia e dall’altro come uno strumento indispensabile per capire la complessità e le linee di tendenza del sistema.
Fin dalle prime pagine gli autori ci spiegano come si stia oggi concludendo un processo complesso di riforme e di riordino dell’intero corpo normativo in materia di comunicazione, sviluppatosi, in parte significativa, su impulso comunitario. Un processo che trova oggi il suo approdo sistemico nei due codici: quello radiotelevisivo e quello delle comunicazioni elettroniche, ambedue oggetto di approfondita analisi nel libro. Ma anche, a mio giudizio, nel Codice della Privacy per la stretta connessione che tale disciplina ha con la materia della comunicazione.
Sembra a me che dal libro emerga un giudizio secondo cui il nostro ordinamento, pur in presenza di qualche deficit di coordinamento, costituisca oggi uno strumento adeguato a garanzia sia degli operatori che dei consumatori finali. Tuttavia Bruno e Nava ci avvertono che permangono, soprattutto nel campo radiotelevisivo “antichi problemi interpretativi e vecchie contraddizioni“.
Si tratta, in verità, di vecchie questioni irrisolte, che oggi possono, però, essere affrontate in un contesto normativo e di mercato profondamente cambiato. Una problematica, oggi, alla vigile attenzione dei regolatori europei. Parliamo della rivoluzione introdotta dall’avvento della tecnologia digitale con la connessa questione del digital dividend. La questione delle frequenze costituisce senza dubbio oggi l’aspetto più opaco e meno decifrabile, anche sotto un profilo economico, del sistema delle comunicazioni nel nostro Paese. Va, quindi, sottolineata con favore e particolarmente apprezzata la decisione del nuovo Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, di attuare, d’intesa con l’AGCOM, quella che il Ministro e il Presidente Corrado Calabrò hanno definito l’“operazione trasparenza“, per dotare il nostro Paese di un Database delle frequenze: un passo decisivo per armonizzare e sviluppare correttamente il mercato, all’insegna dell’enaudiano motto “conosci per decidere“.
Il settore dell’ICT è destinato a giocare un ruolo decisivo nella crescita della produttività e della competitività delle economie occidentali, come è avvenuto, del resto, negli ultimi venti anni. L’indirizzo e la qualità del suo sviluppo devono quindi essere oggi al centro dell’attenzione del Governo e delle imprese di cui fa parte anche l’impegno a proseguire nelle politiche e nelle azioni volte a favorire, il nostro Paese al passaggio al digitale.
Un ruolo determinante è affidato alla capacità dell’industria di assicurare accanto ai servizi tradizionali – voce e dati – un’offerta di servizi innovativi integrati e fruibili sulle diverse piattaforme.
Ma parimenti importante è la capacità di suscitare la domanda e l’utilizzazione delle nuove tecnologie da parte dei cittadini, delle imprese e della pubblica amministrazione.
Questa osservazione ci induce a riflettere sul ruolo delle politiche pubbliche a sostegno dello sviluppo nel settore dell’ICT, pur avendo presenti, per evitarli, passati “deficit attuativi“: penso ad es. alle politiche di liberalizzazione dei mercati.
L’esperienza americana ci dice che lo sfruttamento delle potenzialità dell’ICT è fortemente connesso ad almeno altre tre politiche complementari:
1) liberalizzazione del mercato dei servizi, dei prodotti e del lavoro;
2) investimenti per e a sostegno della ricerca;
3) riforma dell’attuale quadro regolamentare ed antitrust per favorire la sviluppo della nuova industria dei servizi convergenti di comunicazione elettronica.
Siamo in presenza di forti fattori di novità e discontinuità che investono tanto il mondo della radiotelevisione quanto quello delle telecomunicazioni, avvicinando sempre più l’uno all’altro: cambia il complessivo assetto del mercato e i relativi ruoli dei diversi soggetti protagonisti. La stessa fisionomia di impresa (broadcaster, tlc fissa e mobile) è oggi divenuta mutevole sulla base di scelte tecnologiche, commerciali, ma non solo.
Ed è quindi difficile prevedere le conseguenze industriali che questo fenomeno è destinato a produrre sui singoli settori coinvolti. Penso ad es. a come il tradizionale modello di business televisivo stia sempre più pervadendo l’area delle telecomunicazioni, che, con la caduta verticale del costo dei servizi tradizionali, vede lo spostamento dei propri ricavi sull’offerta di contenuti. Siamo di fronte a delle reazioni a catena: la tecnologia digitale ha reso possibile un’ espansione orizzontale dell’ industria delle telecomunicazioni sui mercati contigui, penalizzando gli intermediari, cioè l’industria musicale, cinematografica e televisiva.
A loro volta gli operatori di telecomunicazione, che hanno il loro punto di forza nel rapporto/conoscenza con l’utente, vengono quotidianamente sfidati dai vari operatori della tecnologie e dei servizi Web, come Google, e dai fornitori di servizi applicativi, come Skype, che tendono ad unire al loro tradizionale coreBusiness i servizi tipici dell’area tlc: emblematica l’offerta gratuita o quasi delle chiamate vocali tramite VOIP (Voice Over Internet Protocol).
A loro volta gli operatori TLC, soprattutto in America, dove è in atto un vivace dibattito intorno alla Net Neutrality, pensano di reagire puntando a far pagare prezzi più elevati per l’utilizzo delle proprie reti sulle quali fanno ingenti investimenti per diversificarle anche in relazione alla volontà con cui i gli operatori dei servizi web e i fornitori di servizi applicativi vorranno far viaggiare i propri contenuti e servizi.
In questo quadro così complesso e diversificato, la concorrenza diviene sempre più pressante anche per i vecchi broadcaster analogici, in rapporto alla crescente diffusione degli abbonamenti Pay TV satellitare insieme all’offerta su Internet di prodotti audiovisivi (IPTV).
Si impone quindi anche per i broadcaster una “riconfigurazione” del proprio modello di business.
Del resto, l’introduzione dei servizi televisivi in mobilità, rappresenta già un mutamento significativo di paradigma per l’intero settore televisivo. In questi ultimi mesi abbiamo potuto osservare in relazione al DVB-H (Digital Video Broadcasting – Handheld) come attraverso innovativi modelli di business e innovativi accordi commerciali con gli operatori di tlc, l’industria televisiva si sia mostrata in grado di raccogliere le sfide offerte dalle nuove tecnologie, espandendo e diversificando il proprio tradizionale coreBusiness.
Il ruolo di apripista dell’Italia nella tecnologia DVB-H, è un’occasione importante per guadagnare una posizione competitiva del nostro Paese sul mercato internazionale della produzione di contenuti.
E qui tocchiamo un punto assolutamente decisivo: nel nuovo ambiente multipiattaforma, i contenuti si pongono al centro del nuovo scenario competitivo, richiedendo da un lato una forte e innovativa creatività e dall’altro una sempre più definita chiarezza regolamentare. Di questo si discute, tra l’altro, in questi giorni in sede europea, nell’ambito della revisione della Direttiva “Tv senza Frontiere“. Così come l’attenzione è alta attorno alle connesse e delicate tematiche legate al copyright e ai diritti di proprietà intellettuale. L’orientamento europeo sembra essere quello di una regolamentazione sempre più “leggera”, che garantisca “pari condizioni di concorrenza” per tutte le società che forniscono servizi di tipo televisivo, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata per distribuirli e che introduca, anche, maggiore flessibilità nel finanziamento dei contenuti audiovisivi attraverso nuove forme di pubblicità.
Si tratta ora di vedere come il nostro Paese intenderà recepire l’orientamento europeo e come governare sotto il profilo giuridico, economico e di regolamentazione i cambi di paradigma che stanno investendo il sistema dei media.
Come evidenziano Bruno e Nava nel libro, regge sempre meno una netta separazione tra la normativa delle telecomunicazioni e quella radiotelevisiva.
E’ quindi necessario intervenire per adeguare la normativa giuridica alle novità tecnologiche. Anche in rapporto a ciò emerge la questione della revisione della legge Gasparri che è ormai sul tappeto. Una legge che a mio personale giudizio ha avuto il merito di avere agganciato l’Italia alla locomotiva della rivoluzione tecnologica, ma che in punti di particolare importanza e sensibilità non ha retto e ancor meno regge oggi ad un esame critico.
Il cosiddetto SIC (Sistema integrato delle comunicazioni), pur avendo finalmente raggiunto una possibile parametratura, continua a mostrarsi inadeguato a costituire un efficace strumento anti-concentrazione e quindi questo aspetto richiederà un intervento legislativo in grado di assicurare più validi e penetranti meccanismi antitrust che non penalizzino alcuno, che non restringano ma anzi aumentino le possibilità di sviluppo delle nostre imprese del settore, che già soffrono una minorità nel contesto europeo e mondiale, ma che consentano uno sviluppo pluralistico del mercato.
Un altro punto di forte debolezza e contraddittorietà della legge Gasparri, come ho avuto tante volte occasione di sottolineare, riguarda il servizio pubblico e la sua presunta privatizzazione. Si tratta di un tema di grande rilevanza che merita che ad esso sia dedicata una iniziativa a sé stante. Mi limito ad esprimere la convinzione che pur nel nuovo contesto tecnologico digitale multipiattaforma le missioni peculiari del servizio pubblico e le ragioni della sua esistenza lungi dall’affievolirsi ne vengono anzi confermata ed in qualche misura esaltate.
Coesione sociale, pluralismo democratico, apripista dello sviluppo tecnologico, contrasto al digital divide, sono alcune delle più qualificanti missioni a cui è chiamato il servizio pubblico. Ma penso a un servizio pubblico radicalmente riformato, innanzitutto sul punto decisivo del forte allentamento della pressione su di esso del sistema dei partiti, esercitato sotto tutte le bandiere sia di centro destra che di centro sinistra. Poiché non può continuare a rimanere un’invocazione penso siano ormai necessarie coerenti scelte legislative. In questo senso la riforma della Rai postula un’autoriforma della politica, con una netta separazione tra indirizzo strategico e gestione anche attraverso una “costituzionalizzazione” dei principi ispiratori del servizio pubblico radiotelevisivo.
Ho letto con molto interesse ed apprezzamento a questo riguardo l’idea esposta dal Ministro Gentiloni relativamente alla creazione di una Fondazione che può, a mio giudizio, essere detentrice delle azioni della società Rai ed essere intestataria del canone. Questa Fondazione, potrà essere guidata da un Comitato di Garanti, nominato attraverso collegi elettorali plurimi, dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento, dalle Regioni e da alcune Istituzioni di alta rilevanza scientifica e culturale. Tale Fondazione potrà dar vita ad una holding, a cui spetterà la gestione della società RAI, mantenendo il regime di finanziamento pubblico-privato secondo l’orientamento europeo, ma potendo definire una societarizzazione articolata che possa separare, anche rispetto al prodotto, canone e introiti pubblicitari.
Ma su questo credo veramente di avere già detto troppo e qui mi fermo. Vorrei esprimere ancora un grazie ai due autori che ci hanno offerto questa occasione di confronto e a tutti coloro che hanno accolto il nostro invito. Un saluto particolare al Prof. Enzo Cheli al quale volentieri lascio la parola. Mi piace anche sottolineare la presenza insieme con il Prof Cheli del Presidente dell’AGCOM Corrado Calabrò, che interverrà all’inizio della seduta pomeridiana; e quella di altri illustri componenti dell’Autorità ed esponenti del mondo universitario oltre ai rappresentanti di numerose imprese. Il fatto che una delle prime uscite pubbliche del Ministro Gentiloni avvenga in sede Isimm è un altro motivo di soddisfazione; ed approfitto dell’occasione per annunciare che il 4 luglio, su iniziativa di Isimm e Key4biz, si svolgerà l’istant meeting, un brefieng dell’industria con il Ministro Gentiloni, una sorta di Stati Generali dell’industria dell’ICT italiano.
E’ prevista la partecipazione di oltre 35 imprese, con un metodo molto anglosassone e poco convegnistico all’italiana. Ciascun rappresentante delle imprese prenderà la parola per un intervento che andrà dai 5 ai 7 minuti massimo.
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