Stati Uniti
Un nonsense. Così un giudice federale ha bollato la proposta della FCC di estendere anche alle chiamate su internet gli obblighi previsti dal CALEA Act (Communications Assistance for Law Enforcement Act), che impone agli operatori di lasciare delle backdoor di sorveglianza per consentire all’FBI di mettere sotto controllo una determinata linea telefonica.
La FCC non perde occasione per rilanciare la proposta di sottoporre i network telefonici via Internet ai controlli previsti dalla legge varata nel 1994, ma si è dovuta scontrare con lo scetticismo di un giudice del panel della Corte d’appello e prima di lui, con quello delle associazioni americane a difesa dei diritti civili, delle università e di molte aziende hi-tech statunitensi che hanno più volte espresso preoccupazione per una pretesa di controllo al di là di qualsiasi giustificazione.
Il Congresso approvò il Calea quando la i telefonini cominciavano a diffondersi con prepotenza sul mercato consumer e le forze dell’ordine avevano difficoltà a intercettare le telefonate sulle reti mobili ma, per evitare abusi, dispose che la legge non si applicasse ai “ai servizi di informazione come le email, ai servizi online quali CompuServe, Prodigy, America Online o Mead Data o agli ISP”.
Se e come mantenere allo stato attuale questa deroga è una questione molto controversa e implicherebbe il riconoscimento del fatto che i servizi di trasmissione vocale via internet non debbano essere considerati servizi di informazione ma servizi telefonici a tutti gli effetti.
La FCC, da un lato, pretende che sia il VoIP che l’accesso internet a banda larga rientrino nel Calea, ma il giudice Harry T. Edwards sostiene invece che “se un termine ha un chiaro significato tecnico, non si può affermare che significa qualcosa di diverso. Non si può chiamare arancia un telefono solo perché si sta tentando di definire il telefono in base a un altro statuto. Questo non farà di un telefono un frutto”.
Nonostante il parere sfavorevole del giudice Edwards, che ha anche definito le argomentazioni della FCC ‘ridicole’ e si è definito contrario a far rientrare nella legislazione l’accesso a internet broadband, il panel di giudici del District of Columbia è tuttavia sembrato propenso a sostenere la tesi in base alla quale il VoIP potrebbe rientrare negli ambiti del Calea Act. La tecnologia che permette la trasmissione vocale, secondo il giudice David B. Sentelle offre infatti “le stesse identiche funzioni” delle line telefoniche tradizionali e le chiamate su internet possono, dunque, diventare oggetto di intercettazione.
Ed è proprio questo il punto più controverso, poiché se il VoIP rientra negli obblighi del Calea Act, allora i fornitori di accesso ai servizi Internet tradizionali, a banda larga, via satellite e via cavo nonché i fornitori come Vonage, dovrebbero assumere un atteggiamento definito “wiretap friendly” (favorevole alle intercettazioni) e dunque mettere in atto tutti gli strumenti tecnologici per consentire all’FBI di intercettare le chiamate.
La decisione finale della Corte è attesa nei prossimi mesi, ma il Calea dovrebbe entrare in vigore già nella primavera del 2007.
Secondo i rappresentanti delle associazioni, l’amministrazione starebbe cercando di far passare per buona un’interpretazione del CALEA “arbitraria e contraria al pieno significato dello statuto, e quindi in contraddizione con la legge stessa”.
Gli operatori telefonici, che entro un anno dovranno molto probabilmente adeguare le proprie reti ai dettami del Calea, sono preoccupati anche per i costi richiesti da una simile operazione, che non verranno rimborsati.
L’amministrazione Bush, da canto suo, difende le regole varate lo scorso anno dalla FCC, ritenendole necessarie per catturare “criminali, terroristi e spie” che potrebbero altrimenti sfuggire alle indagini e trovare su internet un porto franco per le loro malefatte.
Il Congresso, inoltre, non avrebbe mai costretto i fornitori di servizi Internet e i network privati di aziende e università a costruire sistemi di sorveglianza per scopi inquisitori.
Nel frattempo le forze dell’ordine hanno comunque facoltà di intercettare le comunicazioni su Internet grazie a sistemi come il “Carnivore” DCS-1000, un sistema passivo denominato “sniffer”, capace di filtrare i pacchetti di dati che transitano tra l’utente ed il provider e di ricostruire i messaggi scambiati: posta elettronica, pagine Web visitate, e conversazioni in diretta.
Questi strumenti, però, non sono abbastanza e l’FBI sostiene l’urgente bisogno “di sistemi di intercettazione standardizzati, alla luce delle crescenti minacce alla sicurezza nazionale e della nuova abitudine dei criminali di usare metodi di comunicazione sempre più clandestini”.